Salis come Tortora? Un paragone assurdo
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Enzo Tortora - pur innocente - rinunciò volontariamente all’immunità parlamentare. Ilaria Salis, invece, no. Anzi, ha utilizzato proprio quell’immunità come scudo, usando il suo seggio elettorale per evitare il giudizio. Ma un’accusa di violenza non può essere derubricata a faccenda politica, solo perché commessa da una persona ideologicamente schierata a sinistra.

Il caso di Ilaria Salis è diventato uno dei simboli più controversi della stagione politica europea e italiana, con toni che spaziano dalla solidarietà alla polemica dura, ma ciò che lo rende particolarmente delicato è il continuo, quanto incauto, parallelo con il dramma umano e politico vissuto da Enzo Tortora negli anni Ottanta. Ecco allora che diventa necessario ristabilire la realtà dei fatti, ricordare con lucidità cosa accadde a Tortora, e analizzare con obiettività la vicenda giudiziaria e politica di Salis, evitando le scorciatoie emotive e i paragoni impropri.
Enzo Tortora fu arrestato nel 1983, vittima di un errore giudiziario colossale, accusato di collusioni con la camorra sulla base di dichiarazioni di pentiti che poi si sarebbero rivelate totalmente infondate. Era un volto noto della televisione, un simbolo di sobrietà e cultura, e proprio questa notorietà divenne il suo fardello mediatico. Dopo un anno di carcere, fu eletto al Parlamento europeo nelle liste dei Radicali con un plebiscito popolare di oltre 500.000 preferenze. Subito dopo la liberazione, tornò a Strasburgo, svolse il suo mandato con impegno e dignità, ma, quando venne condannato in primo grado, con una sentenza che lo definiva «cinico mercante di morte», fu lui stesso a chiedere al Parlamento l’autorizzazione a procedere, dimettendosi da eurodeputato per tornare agli arresti domiciliari, in attesa di quel processo che l’avrebbe poi assolto con formula piena. Scelse la via più difficile, quella del sacrificio personale, pagando un prezzo altissimo: la sua salute, e in definitiva, la sua vita.
Enzo Tortora rinunciò volontariamente all’immunità parlamentare. Ilaria Salis, invece, no. Anzi, ha utilizzato proprio quell’immunità come scudo, come salvacondotto, dopo la sua elezione all’Europarlamento nelle liste di Avs. La sua candidatura è arrivata dopo oltre un anno trascorso tra carcere e domiciliari in Ungheria, dove è imputata per lesioni gravi e per appartenenza a un’organizzazione di estrema sinistra, accusata di aver aggredito con altri attivisti individui di orientamento politico opposto, durante una manifestazione. Da lì è partita una campagna che ha catalizzato l’attenzione pubblica italiana e internazionale sullo stato delle carceri ungheresi e su presunti abusi da parte del governo di Viktor Orbán. Ma questo non può e non deve oscurare il punto centrale: Ilaria Salis, oggi eurodeputata, ha chiesto ai suoi colleghi di non autorizzare il procedimento giudiziario nei suoi confronti, rivendicando il diritto a non essere estradata o giudicata in Ungheria. Ed è proprio in questo gesto che il paragone con Enzo Tortora si sgretola completamente. Il volto televisivo, accusato ingiustamente, scelse di affrontare il processo; l’attivista, accusata di fatti violenti, cerca protezione politica per evitarlo. Non è una questione di simpatie politiche, ma di principi.
La Commissione Affari Legali del Parlamento Europeo, recentemente, ha scelto di non concedere l’autorizzazione a procedere nei confronti di Salis. Una decisione che ha sollevato indignazione soprattutto da parte del governo ungherese, che ritiene lesa la propria sovranità giudiziaria. Le parole più dure sono arrivate dal ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó, che ha commentato su X: «Nessuna sorpresa. La Commissione Affari Legali dell'Eurocamera ha scelto di proteggere dalla giustizia l'attivista Antifa Ilaria Salis, che nel 2023 ha aggredito persone innocenti per le strade di Budapest. Il messaggio è chiaro: con un background ideologico estremista, si può farla franca. Una vergogna per l’Europa».
Il voto decisivo che ha impedito la revoca dell’immunità è arrivato dal PPE, Partito Popolare Europeo, che, sorprendentemente per molti osservatori, ha votato a protezione dell’onorevole Salis. Questo ha reso l’esito della votazione inequivocabile: Salis continuerà a godere dell’immunità parlamentare, almeno fino a una nuova eventuale votazione in plenaria prevista per il 7 ottobre. Nel frattempo, le tensioni diplomatiche tra Italia e Ungheria si acuiscono, e anche il dibattito interno si polarizza. È doveroso ricordare che in Italia Salis ha già due condanne passate in giudicato, sebbene per fatti di minore gravità rispetto a quelli contestati in Ungheria. Tuttavia, il principio resta invariato: chi ha sempre predicato la necessità di “difendersi nel processo, non dal processo”, non può ora invocare privilegi per sottrarsi alla giustizia ordinaria. Una posizione, questa, sostenuta anche da voci liberali e garantiste, le stesse che difesero i diritti umani di Salis al tempo della detenzione in catene, ma che oggi non possono tacere di fronte al tentativo palese di evitare un giudizio, per quanto scomodo e in un paese discutibile dal punto di vista democratico.
Il padre di Ilaria, Roberto Salis, ha recentemente alimentato la tensione con un gesto considerato fuori luogo, pubblicando su X le coordinate di Piazzale Loreto in risposta provocatoria alle coordinate di un carcere ungherese inviate da un portavoce del governo Orbán alla figlia. Un comportamento che non ha giovato né alla causa, né all’immagine della deputata, e che rischia di spostare il discorso dal terreno della legalità a quello della vendetta simbolica.
Ma ciò che davvero preoccupa è il messaggio che si manda: che un seggio elettorale possa essere usato come scudo per evitare il giudizio, e che un’accusa di violenza possa essere derubricata a faccenda politica, solo perché commessa da una persona ideologicamente schierata a sinistra. L’Europa dovrebbe ribadire che i diritti sono universali, ma anche le responsabilità. Nessuno, nemmeno chi ha subito condizioni di detenzione disumane, può sottrarsi all’obbligo di rispondere delle proprie azioni, in un processo equo e trasparente. È compito del Parlamento europeo vigilare sulla correttezza del procedimento ungherese, non impedirlo del tutto. Perché lo stesso Enzo Tortora, da innocente, affrontò il processo e chiese di non essere protetto. Salis, oggi, è libera. Ma se davvero è convinta della propria innocenza, dovrebbe chiederlo lei stessa, come fece Tortora, il giudizio della legge. Tutto il resto è retorica e opportunismo.