Sala & Parisi: la politica si consegna alla tecnocrazia
Alle primarie del Pd a Milano a prevalere è stato un tecnico. Giuseppe Sala ha sempre smentito di voler correre come sindaco, salvo poi ripensarci. E ora è il candidato sindaco del centrosinistra. Anche il centrodestra è deciso a schierare un tecnico: il prescelto dovrebbe essere Stefano Parisi, imprenditore e manager.
Le primarie del centrosinistra per la scelta del candidato sindaco di Milano sono state accompagnate, anche questa volta, da polemiche al vetriolo. Infiltrati ai seggi, cinesi in fila per esprimere preferenze su candidati mai conosciuti, persone che sono riuscite a votare più volte in diverse zone della città. Tutto questo concorre a inquinare una pur lodevole consultazione popolare e a sminuirne il significato.
Nonostante questi elementi, che contaminano la chiamata alle urne del popolo della sinistra, si è registrato un calo dei votanti: poco più di 60.000 unità, il 10% in meno di cinque anni fa, quando ad essere incoronato fu l’attuale sindaco Giuliano Pisapia. Beppe Grillo, a proposito dell’invasione dei seggi delle primarie da parte di elettori con gli occhi a mandorla, ha parlato di consultazione “taroccata”. Il premier gli ha risposto per le rime, ricordando che la base pentastellata viene consultata on line e che i verdetti spesso vengono emessi con 50 click.
Al netto delle polemiche sulla regolarità e l’utilità di uno strumento come le primarie, il voto di sabato e domenica merita alcune valutazioni politiche. Il candidato risultato vincente, Giuseppe Sala, ha capitalizzato il successo di Expo 2015, ma si è fermato al 42% dei consensi. Era sostenuto in blocco dai renziani e anche da cittadini moderati tradizionalmente vicini al centrodestra. I due sfidanti più autorevoli, il vicesindaco Francesca Balzani e l’assessore Pierfrancesco Majorino, insieme hanno racimolato il 57% dei consensi. É vero che il “popolo delle primarie” non può essere preso come campione rappresentativo dell’intero universo del centrosinistra, ma il dato rimane significativo. Sala avrebbe perso se Majorino e Balzani avessero fatto un ticket e corso insieme.
Questo particolare suggerisce anche altre valutazioni. Renzi sul territorio fa fatica a radicarsi e a imporre la sua leadership. Sala in fondo era il suo candidato e ha raccolto meno della metà dei consensi. Il gradimento in città della giunta Pisapia rimane alto. Nonostante sette assessori si fossero schierati con Sala, le percentuali raccolte da Balzani e Majorino, espressione dell’amministrazione uscente, possono considerarsi ragguardevoli. E Renzi non può dormire sonni tranquilli, perché Pisapia potrebbe, una volta esaurita la sua esperienza di sindaco, radunare il popolo arancione e tutti gli elettori di Balzani e Majorino e creare un’area di sinistra riformista non renziana o addirittura anti-renziana, in grado di lanciare da Milano un’opa sul Pd e sull’intera coalizione. L’eventuale iniziativa politica di Pisapia potrebbe trovare sponde in altre zone d’Italia, nelle quali bersaniani, dissidenti dem e personaggi emergenti come il governatore della Puglia, Emiliano, stanno organizzando analoghe situazioni per distinguersi e prendere le distanze dal renzismo.
Altro verdetto delle primarie è che a prevalere è stato un tecnico. La società civile ha preferito un manager rispetto a due amministratori attualmente in forza alla giunta di Palazzo Marino. Sala ha sempre smentito, fino a qualche mese fa, di voler correre come sindaco, salvo poi ripensarci. E ora è il candidato sindaco del centrosinistra. Anche il centrodestra, che è rimasto alla finestra ad osservare la competizione tra i quattro aspiranti candidati sindaci del centrosinistra, pare ormai deciso a schierare un tecnico. Non c’è ancora l’ufficialità, ma tutto lascia supporre che il prescelto da Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega sarà Stefano Parisi, imprenditore e manager, con una carriera prevalentemente nel privato.
I due maggiori schieramenti, quindi, potrebbero puntare le loro fiches su due tecnici, al fine di catturare consensi nell’alta borghesia milanese e nel mondo delle professioni, senza tuttavia rinunciare a incanalare verso di loro i voti degli apparati di partito. Non è un caso che Sala sia stato scelto come direttore generale di Palazzo Marino all’epoca della giunta Moratti e che Parisi abbia ricoperto il ruolo di city manager durante l’amministrazione Albertini. Entrambi, quindi, hanno cercato di portare la cultura dell’efficienza manageriale nel pubblico. Se ai due probabili candidati (Sala e Parisi) ne aggiungiamo un terzo (Passera), ecco servito agli elettori il tris di tecnici.
E questo che vuol dire? Che la politica si vergogna di se stessa e ha da tempo rinunciato a selezionare la classe dirigente, attingendo in modo rassicurante al bacino del privato. Ma è mai possibile che i partiti non siano più in grado di esprimere volti “potabili” per le massime cariche rappresentative e debbano limitarsi a fare i portatori d’acqua di outsiders e personaggi cooptati?