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20 ANNI DOPO

Rwanda, la difficile riconciliazione nazionale

Le celebrazioni del genocidio in Rwanda durano 100 giorni, tanti quanti quelli dello sterminio dei Tutsi, ad opera degli Hutu, del 1994. In questi 20 anni il lavoro di riconciliazione è stato molto duro.

Esteri 22_04_2014
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Quando le milizie del Fronte Patriottico Rwandese Tutsi misero fine al genocidio nel luglio del 1994, il Rwanda era un paese in macerie, con una popolazione più che decimata dai massacri e, nei giorni successivi alla caduta del governo Hutu e alla disfatta del suo esercito, dalla fuga all’estero di alcuni milioni di Hutu.

I sopravvissuti dovettero far ripartire l’economia, ricostruire le infrastrutture distrutte, riorganizzare servizi e istituzioni, mancando di tutto, a partire dal personale: medici, infermieri, insegnanti, avvocati, giudici, ingegneri, geometri, contabili… nessuna categoria sociale e produttiva era stata risparmiata. Oggi il 42,3% della popolazione rwandese ha meno di 15 anni e il 19,1% si colloca nella fascia d’età tra i 15 e i 24 anni. Dunque la maggior parte dei rwandesi sono nati dopo il genocidio o erano bambini molto piccoli all’epoca. Non per questo la memoria di quanto è avvenuto è meno vivida e meno profonde sono le ferite inferte al tessuto sociale e ancora aperte. Quasi tutte le famiglie hanno infatti perso dei parenti e degli amici durante il genocidio e nei mesi seguenti oppure contano tra i propri parenti e amici qualcuno che ha preso parte alle stragi.

Un difficile processo di riconciliazione e giustizia è tuttora in corso. Nel novembre del 1994 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite istituì il Tribunale penale internazionale per il Rwanda, con sede ad Arusha, in Tanzania, per giudicare i principali responsabili del genocidio e delle altre gravi violazioni dei diritti umani commesse in Rwanda e nei paesi vicini tra il 1° gennaio e il 31 dicembre del 1994. Non appena fu possibile ripristinare il sistema giudiziario rwandese, al Tribunale di Arusha si affiancarono i tribunali nazionali. Nel 2006 questi tribunali avevano già giudicato circa 10.000 casi. Ma più di 120.000 persone erano ancora in attesa di giudizio, ammassate in condizioni disumane nelle carceri del paese, accusate di aver partecipato alle violenze e alle stragi. Inoltre centinaia di migliaia di altre persone, benché libere, attendevano di affrontare la giustizia.

Per accelerare i tempi, nel 2005 il governo rwandese aveva deciso di ripristinare il sistema tradizionale, comunitario, di amministrazione della giustizia, noto come Gacaca: assemblee di villaggio presiedute dagli anziani presso le quali chiunque poteva esporre le proprie rimostranze e le proprie ragioni, in origine destinate a risolvere dispute familiari, problemi legati all’uso della terra, accuse di furti, contrasti tra parenti e vicini e a riconciliare i contendenti. Ne furono istituiti 12.000, con la triplice funzione di amministrare la giustizia, coinvolgere nel processo la popolazione e offrire alle vittime il mezzo per conoscere la verità sulla morte dei loro famigliari e ai colpevoli l’opportunità di confessare i loro crimini, mostrare pentimento e chiedere pubblicamente perdono. Dal 2005 al maggio del 2012, quando sono stati chiusi, i Gacaca hanno esaminato più di 1,2 milioni di casi. 

Dal 1999 il complesso compito della riconciliazione è stato inoltre affidato alla Commissione per l’unità e la riconciliazione nazionale. L’organismo ha istituito programmi di educazione alla pace ai quali hanno già partecipato decine di migliaia di rwandesi. Dal 2007 organizza corsi e seminari di formazione per leader politici e comunitari, centri di consulenza per giovani e donne che hanno subito abusi (si stimano in almeno 250.000 le donne violentate durante la crisi), corsi di composizione dei conflitti. Dalla sua fondazione ha curato la pubblicazione di studi e ricerche e lo svolgimento di incontri nazionali sui temi della giustizia, dei diritti umani, del buon governo, della storia e dei valori nazionali.

Nel frattempo, però, non sono mancate tra Tutsi e Hutu tensioni, reciproche accuse, denunce, recriminazioni. Grave sopra tutte è stata la rivelazione, nel 2012, che i missili con cui il 6 aprile 1994 fu abbattuto l’aereo del presidente Hutu Juvénal Habyarimana, l’attentato all’origine del genocidio, furono lanciati da una base dell’esercito: a conferma del fatto, peraltro già accertato, che lo sterminio dei Tutsi era stato programmato e organizzato dagli estremisti Hutu. Solo il tempo dirà se Tutsi e Hutu hanno imparato a convivere, a fidarsi gli uni degli altri. Le celebrazioni in corso, iniziate il 7 aprile, dureranno 100 giorni, tanti quanti i giorni del genocidio. Per tutto il periodo arderà nel Memoriale di Gisozi a Kigali la fiamma accesa con una torcia che prima, per tre mesi, ha percorso tutto il paese.