Russia-Ucraina, il peggio è dietro l'angolo
La pace si allontana sempre più trovare una soluzione è diventato difficilissimo, anche se bisogna tentare sempre. Un'intervista all'arcivescovo cattolico di Mosca, monsignor Paolo Pezzi, dovrebbe aprire gli occhi sulla estrema gravità della situazione.
A giudicare dalle immagini che arrivano, i primi a non prendere bene la decisione del presidente russo Vladimir Putin di chiamare una parte di riservisti per rimpolpare le truppe impegnate in Ucraina, sono gli stessi cittadini russi chiamati in causa. Proteste, tentativi di varcare i confini per evitare la guerra, sono certamente segnali poco rassicuranti per Putin, anche se il presidente russo ha incassato almeno il sostegno di Kirill, patriarca di Mosca e di tutte le Russie: «Andate con coraggio ad adempiere al vostro dovere militare – avrebbe detto in un messaggio ai militari - e ricordatevi che se date la vita per il vostro Paese sarete con Dio nel suo Regno che vi darà gloria e vita eterna».
Non si sa quanto queste parole abbiano scaldato il cuore dei soldati russi e di quelli chiamati ad unirsi all’esercito, ma di certo fanno rabbrividire chi ha a cuore una soluzione pacifica a questo conflitto. Così come le decisioni annunciate due giorni fa da Putin che, oltre alla chiamata alle armi dei riservisti, prevedono il referendum per l’annessione delle province ucraine conquistate manu militari, e che è già cominciato.
«È una situazione che non lascia tranquilli», ha detto il 21 settembre all’agenzia SIR l’arcivescovo cattolico di Mosca nonché presidente della Conferenza Episcopale Russa monsignor Paolo Pezzi. E ha perfettamente ragione: l’escalation in corso non può lasciare tranquillo nessuno, neanche noi che continuiamo ad assistere incoscienti a quanto sta avvenendo preoccupandoci più che altro delle conseguenze sul prezzo dell’energia. E non sono di alcuna consolazione le analisi sulla debolezza di Putin, che sarebbe il motivo della sua decisione di alzare l’asticella nel conflitto in corso, e sulla perdita di popolarità in Russia che potrebbe portare anche alla sua caduta. Ammesso che le cose stiano proprio così, una eventuale instabilità della Russia potrebbe essere non meno pericolosa della sua compattezza dietro a Putin.
Non si può essere tranquilli perché davanti alla continua escalation del conflitto, che dura ormai da sette mesi, vediamo ancora l’opinione pubblica e i politici tutti divisi a mo’ di tifo oppure strumentalizzare il conflitto in Ucraina per motivi di politica interna (e l’Italia in questo primeggia). Ma come se la faccenda interessasse solo la popolazione dell’Ucraina e della Russia, senza rendersi conto che un incendio che parte da una stanza, se non viene spento subito è destinato ad allargarsi a tutto l’appartamento, poi al condominio e via via fino alla città intera.
«La pace, purtroppo, sembra allontanarsi», dice ancora monsignor Pezzi. È un’affermazione di una gravità tale che dovrebbe risvegliare le coscienze e far correre soprattutto i leader politici a cercare una soluzione per evitare il peggio. Trovare in tutti i modi i canali giusti per spingere le parti in causa a fermare le armi e sedersi a un tavolo negoziale: «Cercare di mantenere sempre dei canali aperti, di non chiudere mai», dice monsignor Pezzi facendo eco alle parole di papa Francesco.
Sempre più difficile, sia per l’escalation innescata, sia perché sembra che tutti – non solo Ucraina e Russia – anche senza dirlo apertamente confidano di guadagnare qualcosa dal protrarsi della guerra.
Mosca è convinta di poter riguadagnare il territorio tornato sotto il controllo di Kiev; il governo ucraino, galvanizzato dai primi successi della controffensiva, è fiducioso di recuperare tutti i territori che la Russia gli ha sottratto, Crimea inclusa; Europa e Stati Uniti contano sul logoramento della Russia per indebolirla e possibilmente mettere fuori gioco l’odiato Putin. In questo momento gli unici che sembrano vedere con preoccupazione il protrarsi della guerra sono Cina e India, con la Turchia pronta a sfruttare l’indebolimento della Russia per allargare la sua sfera d’influenza.
Ma se ci si aspetta che la guerra finisca con la dichiarazione di un vincitore e di uno sconfitto, è assai probabile che si arriverà invece a un ulteriore allargamento del conflitto, confine a cui siamo ormai prossimi visto che il coinvolgimento militare di Stati Uniti e Regno Unito è sempre più marcato, e ormai a Mosca si afferma esplicitamente che la guerra è contro l’Occidente. Ne è un segnale anche il fatto che si parla sempre più spesso e più esplicitamente dell’uso di armi nucleari. Del resto commettere sul golpe interno alla Russia, contando che salga al potere a Mosca qualcuno che ritiri tutte le truppe dall’Ucraina, è un azzardo che potrebbe costare molto caro.
Monsignor Pezzi individua quale sia la chiave di una possibile soluzione: «Mi sembra che il problema principale sia quello di trovare una via d’uscita che non faccia sentire nessuno sconfitto». Molto difficile, difficilissimo; ed è lo stesso arcivescovo di Mosca a spiegarlo: «È possibile questo, cioè uscire da una situazione di crisi senza nessuno sconfitto, solamente con un sacrificio di sé. Mi sembra oggettivamente difficile che qualcuno sia disposto a fare il primo passo. Quindi occorre continuare a insistere su passi creativi».
Le parole di monsignor Pezzi esprimono con grande lucidità l’estrema gravità della situazione e l’altrettanto estrema difficoltà, arrivati a questo punto, di evitare il peggio. C’è bisogno di leader veramente coscienti del pericolo incombente che tutto il mondo corre, disposti a mettere come priorità lo stop alla guerra; leader che non abbiano anzitutto la preoccupazione che vinca la Russia o l’Ucraina, ma che spingano le parti coinvolte a «fare il primo passo» perché si arrivi a una soluzione negoziata.
A parte Russia e Ucraina, il problema grave è che non emerge al momento nessun leader di questo spessore o che manifesti questa intenzione.