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1917-2017

Russia, a metà strada fra comunismo e ortodossia

Cirillo, patriarca di Mosca, mette in guardia da facili nostalgie per il regime sovietico, al 25mo anniversario della sua caduta e all'avvicinarsi del 100mo anniversario della sua instaurazione. Lenin impose l'ateismo di Stato e perseguitò i cristiani. Ma il rapporto fra neo-comunisti e cristiani ortodossi, oggi, è paradossalmente buono.

Libertà religiosa 28_12_2016
Cirillo

Questa fine del 2016, in Russia, segna due momenti molto importanti per la memoria. Il primo è il 25mo anniversario della fine dell’Urss: la bandiera rossa fu ammainata per l’ultima volta proprio nel Natale del 1991, 25 anni fa. Al tempo stesso, l’anno prossimo è il centesimo anniversario dell’inizio dell’esperienza sovietica: la Rivoluzione Russa. Il clero ortodosso russo mette in guardia dal revival del comunismo sovietico, pur non rinnegando del tutto l’esperienza dell’Urss.

Lo ha spiegato in modo chiaro il Patriarca Cirillo, nel suo discorso all’Assemblea Diocesana del clero di Mosca, il 22 dicembre scorso, tenuto presso la cattedrale di Cristo Salvatore nella capitale russa. Il 2017 “renderà viva la memoria degli eventi che sono occorsi un secolo fa, quando il paese fu scosso da due rivoluzioni”. La prima rivoluzione (scoppiata l’8 marzo 1917, nel nostro calendario gregoriano) rovesciò l’autocrazia dello Zar e provò, in piena Prima Guerra Mondiale, a stabilire regole democratiche di governo. La seconda, il 7 novembre 1917, fu un vero colpo di Stato militare, con cui il partito bolscevico di Lenin, in minoranza nel paese, instaurò il proprio regime rivoluzionario e ateo. Per il patriarca Cirillo è importante capire le cause e la natura di questa seconda rivoluzione, non solo storicamente, ma anche nella pratica, per capire il presente. “E’ di importanza vitale – dice nel suo discorso – evitare di sottovalutare o nascondere le imprese più brillanti e il bene che venne fatto in quegli anni passati. Ma è altrettanto importante non sottovalutare od oscurare i torbidi e le spaccature subite dalla nostra patria dopo quel 1917”. Cirillo usa non casualmente il termine “torbidi” che venne impiegato per la prima volta per descrivere la guerra dinastica occorsa nella Russia del XVI-XVII Secolo. I russi ortodossi di inizio XX Secolo richiamavano quell’esperienza di anarchia e guerra civile per descrivere il loro presente. Quel che più impressionò l’immaginario collettivo e resta nella memoria fu la Guerra Civile che iniziò immediatamente dopo il golpe bolscevico e si protrasse fino al 1920, in alcune aree dell’Asia Centrale anche fino al 1922. Un periodo di caos e violenza inaudita che si concluse con la vittoria definitiva dei bolscevichi e che provocò quattro milioni di morti. La maggior parte di questi furono “nemici di classe” assassinati a freddo per ordine di Lenin. Furono gli anni della nascita del Ceka (antenata del KGB) e dei primi gulag, il prototipo dei quali venne inaugurato nelle isole artiche delle Solovki nel 1918, per internare gli anti-rivoluzionari (i “bianchi”) e il clero.

Lenin e Stalin dopo di lui, per un ventennio condussero una lotta spietata, non solo contro il clero ortodosso, ma contro lo stesso senso religioso dei russi. Alle icone dei santi sostituirono, pari pari, quelle di Marx e poi quelle dei padri della rivoluzione. “La Chiesa Ortodossa – ricorda Cirillo – fu anch’essa soggetta a una persecuzione senza precedenti nel secolo scorso. Decine di migliaia (in realtà furono milioni, ndr) fra coloro che credevano in Dio, molti vescovi, chierici, monaci e laici soffrirono per Cristo in quegli anni. Molte chiese e monasteri furono distrutti o chiusi, le reliquie dissacrate o eliminate”. Per il Patriarca di Tutte le Russie, la lezione del comunismo è soprattutto una: quella società che prova a rinnegare Dio e la sua legge è destinata all’auto-distruzione. E in questo, Cirillo, vede alcune analogie con società del presente che provano a “marginalizzare” la religione. 

Difficile non notare come da questo discorso non compaia alcuna condanna all’imperialismo rosso, al tentativo di esportare la rivoluzione che si tradusse, soprattutto negli anni di Stalin, alla costruzione di un vero impero sovietico che si estendeva dal Pacifico al cuore dell’Europa. L’imperialismo rosso è intrinsecamente legato alla figura di Stalin, sotto il quale l’Armata Rossa si spinse a Ovest fino al fiume Elba, dopo aver sconfitto gli invasori nazisti e conquistato Berlino. E’ un aspetto che, purtroppo, viene ricordato da milioni di europei orientali che subirono occupazione e sterminio di classe, con milioni di morti specialmente nei primi anni del dopoguerra. Quanto i russi abbiano fatto i conti con questo passato, è più difficile da comprendere. E’ misurabile, con gli ultimi sondaggi, la popolarità dell’“imperatore rosso” per eccellenza: Stalin. Il Levada Center rilevava un grado di approvazione molto alto, in una popolazione in cui gli atei dichiarati sono appena il 14%. Nella primavera del 2016, il 54% degli intervistati mostrava un atteggiamento favorevole al dittatore del passato, solo il 17% negativo, gli altri più o meno indifferenti. Nello stesso sondaggio, un russo su quattro (il 26%) giustifica le repressioni staliniane, pur conoscendole. Il dittatore sovietico provocò, a freddo (non in battaglia), circa 20 milioni di vittime.

Se esiste un revival dello stalinismo, e giunte nostalgiche dedicano monumenti al dittatore nelle loro città, è ancor più difficile da comprendere il rapporto fra i comunisti e gli ortodossi. Molti comunisti si convertono, ma non abbandonano la loro ideologia. A partire dal loro vertice: “Per i comunisti e per la Chiesa ortodossa, unirsi è un dovere sacro”, ha scritto Gennadij Zjuganov, leader del Partito Comunista della Federazione Russa nel 2012. Impossibile dimenticare, a questo punto, che Stalin fu inizialmente un seminarista. Prima che abbracciasse la causa della rivoluzione comunista. Nel 2015, in un’intervista alla rivista Kommersant Zjuganov disse che esiste piena compatibilità fra comunismo e cristianesimo (e anche tutte le altre religioni): “Se Gesù, Maometto e Buddha non fossero stati profeti, sarebbero stati comunisti al 100%”. Il patriarca Cirillo, non ha rinnegato, ma ha ricambiato, conferendo a Zjuganov la medaglia per la Gloria e l’Onore, nel 2014, in occasione del 70mo compleanno dell’ultimo leader comunista. “Tutte le forze politiche devono essere unite nei valori della fede, della morale, della cultura e della nostra unità nazionale”, aveva detto allora il patriarca.

Ma allora i russi hanno realmente fatto i conti con il loro passato? Il 2017, anno del centenario, contribuirà a rispondere a questa domanda, importante per tutta l’Europa oltre che per la sola Russia.