Ruini ricorda Ratzinger
Le dichiarazioni dell'anziano porporato sul pontefice tedesco, insieme al quale fu protagonista del pontificato wojtyliano: la custodia della fede nel mondo moderno, l'incontro tra fede e ragione. Temi cari a Benedetto XVI e sempre attuali.
Non si spegne l'eco dei ricordi lasciati dal Papa emerito, che appena sepolto è più vivo che mai (in Cielo ma anche nella memoria di tanta gente). E ritorna a parlare anche il card. Camillo Ruini, oggi 91enne, protagonista della vita ecclesiale nel pontificato wojtyliano che in Ratzinger aveva il suo uomo di fiducia e nel porporato emiliano una delle principali voci in Italia.
Del pontefice tedesco Ruini ricorda in particolare la volontà di «conservare intatto, nella sua pienezza, il deposito della fede. Ma lo ha fatto con quella straordinaria intelligenza e quella finezza spirituale che il Signore gli ha donato», afferma, intervistato da Paolo Rodari. «Già nel periodo del suo pontificato, a mio parere, la gente aveva compreso che rinchiudere la sua personalità nello stereotipo del cane da guardia della fede era una grossa sciocchezza, un autentico fraintendimento».
Ruini accenna anche una riflessione sulla rinuncia: « Si è trattato non tanto di stanchezza quanto della percezione che le proprie energie erano ormai insufficienti rispetto agli impegni del pontificato». E sul tema, particolarmente caro al Papa emerito, dell'incontro tra fede e ragione: «Benedetto XVI ha individuato con molta precisione le principali divergenze tra la fede cristiana – ma anche la retta ragione – e le correnti culturali oggi in qualche modo dominanti. Sono queste, a mio parere, anche le grandi questioni del futuro che ci sta davanti: è poco lungimirante, quindi, parlarne meno».