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l'intervista

Ruini e la Chiesa confusa che voleva salvare il salvabile

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Il progetto di Ruini voleva raccogliere i cattolici in una unità culturale pre-politica in modo che poi ognuno di essi la applicasse coerentemente nei diversi partiti. Era un progetto di una Chiesa confusa che cercava di salvare il salvabile. Ma era un sogno irrealizzabile.

Editoriali 18_06_2024

Lunga intervista del cardinale Camillo Ruini concessa a Francesco Verderami sul Corriere di domenica 16 giugno. L’analisi ha riguardato un lungo periodo, dal 1994 a quando nel 2007 Ruini lasciò la presidenza dei vescovi italiani. Crisi della DC, Tangentopoli, fallimento del nuovo Partito popolare, Berlusconi, Scalfaro, il convegno CEI di Palermo, la presenza dei cattolici nella cultura e poi tutti liberi in politica, la Margherita e Rutelli, il referendum del 2005 sulla fecondazione artificiale, il Family Day del 2007. Questi i temi dell’intervista, questi i personaggi raccontati con qualche aggiunta: Spadolini, che consigliava di non cambiare il nome da Democrazia Cristiana a Partito Popolare, Andreatta che Ruini annoverava tra i suoi amici, il Presidente Ciampi «persona intelligente e seria» di cui il cardinale fu pure grande amico. Di Scalfaro dice di essere rimasto sorpreso quando gli chiese di «aiutarlo a far cadere il governo Berlusconi». Di Rutelli parla bene perché dichiarò l’astensione nel referendum per la procreazione assistita. Di Berlusconi informa: «Non lo ritenevamo un pericolo».

L’intervista è ricca di puntuali ricordi personali, riemergono incontri e colloqui, si fanno nomi, si raccontano operazioni politiche intraprese, perché al centro c’è lui, il cardinale, che si dice amico se non di tutti almeno di molti, sia a destra che a sinistra. Emerge però anche l’impressione che ciò non sia solo conseguenza narrativa di una intervista ad un uomo di 93 anni che è stato a lungo influente sulla scena italiana, ma che rappresenti anche una chiave di lettura di quell’epoca, contrassegnata da tanti interventi personali del presidente della CEI su persone influenti, da operazioni di politica ecclesiale come la spinta all’astensione al referendum, da tanti contatti con “amici” militanti in tutto l’arco costituzionale, da invenzioni di richiamo come il “progetto culturale”.

Dal racconto del cardinale emerge così una Chiesa italiana ancora in grado - oggi non lo è più – di condurre qualche manovra politica ma disorientata nella sostanza una volta venuta meno l’epoca del partito di riferimento. Dal 1994 in poi la Chiesa ha fatto tentativi, ha cercato di impedire il peggio, ha dato anche qualche indicazione positiva, ma in modo confuso e non organicamente costruttivo. La carenza principale, che emerge indirettamente e in filigrana dall’intervista, è di aver concepito un “progetto culturale” (sottolineo culturale e non politico) dai contorni imprecisi perché doveva essere praticato dai cattolici presenti nei diversi partiti politici.

Torniamo un attimo a quegli anni: La Chiesa italiana si era data un Direttorio di pastorale sociale, aveva aperto numerose Scuole di formazione all’impegno socio-politico (le SFISP) e aveva proposto un proprio “progetto culturale”. Cose ottime, sulla carta, scelte oggi nemmeno pensabili. Però nessuna di queste iniziative veniva realizzata in modo da fare una proposta chiara, che distinguesse di netto con le posizioni politiche inaccettabili. Il Progetto culturale produsse anche cose encomiabili come il convegno del 2009 “Dio oggi. Con lui o senza di lui cambia tutto”, ma i relatori ai tavoli periodici del Progetto erano cattolici di tutte le tendenze.

Le SFISP erano molto diverse da diocesi a diocesi a seconda dell’impostazione pastorale e politica e non confluivano in una formazione chiara sui principali punti. Il quadro che veniva fornito si prestava già in origine al compromesso e, rimanendovi fedeli, ci si poteva impegnare sia in Forza Italia che nella Margherita o nei partiti emersi per processo endogeno dal PCI. Tutti i cattolici in politica erano quindi coerenti con la fede e la richiesta della Nota Ratzinger del 2002 in questa senso veniva esaudita da tutti. Il rilancio della Dottrina sociale della Chiesa voluto da Giovanni Paolo II trovò qui uno strumento per realizzarsi, ma anche per annacquarsi perdendo di livello e di consistenza. Con il tempo, poi, tutti questi strumenti si dissolsero senza quasi lasciare traccia.

Il cardinale ricorda l’astensione sulla legge riguardante la fecondazione assistita e poi il Family Day. Visti con gli occhi di oggi possono denotare una Chiesa attiva e ancora presente nella società, nella cultura e nella politica. Però la “vittoria” nel primo caso fu indiretta, limitandosi a contribuire a far mancare il quorum e non testimoniava quindi una chiara presenza identitaria (molti cattolici "adulti" andarono a votare per testimoniare in contrasto con le indicazioni ruiniane). Il secondo non ebbe nessuna conseguenza politica, tanto più che i vescovi stessi, che contro il riconoscimento delle coppie di fatto si erano pronunciati negativamente in quello stesso anno 2007, in seguito mollarono completamente la presa su questi temi, lasciando passare oves et boves.

Il progetto di Ruini, che egli nell’intervista attribuisce ad un assist di Giovanni Paolo II al convegno ecclesiale di Palermo, voleva raccogliere i cattolici in una unità culturale pre-politica in modo che poi ognuno di essi la applicasse coerentemente nei diversi partiti. Era un progetto di una Chiesa confusa che cercava di salvare il salvabile. Il cattolico-comunista e il cattolico tradizionalista erano “diversi” non dopo un loro posizionamento culturale unitario, ma prima. Per questo l’unità sul piano culturale era un sogno irrealizzabile: per renderla possibile bisognava agire prima e rimuovere le cause della divisione teologica. Su questo “prima” la Chiesa dell’epoca Ruini non fece chiarezza.