Romania, se i socialisti filo-UE non vincono si rifanno le elezioni
Ascolta la versione audio dell'articolo
L'annullamento del primo turno delle presidenziali è arrivato - con argomenti risibili - quattro giorni dopo che la stessa Corte Costituzionale aveva decretato la legittimità del voto. È una sorta di golpe istituzionale da parte dei socialisti con il sostegno di Bruxelles.
Chiamatelo come volete, ma non spiegateci che in Romania stiamo assistendo a una conferma del buongoverno e dello ‘stato di diritto’. Piuttosto nella Romania dei misteri, e che dalla morte di Ceaucescu è stata governata da trame solide e accordi inauditi tra i servizi di sicurezza comunisti e quelli occidentali, stiamo assistendo all’ennesima decisione antidemocratica.
Il voto di 15 giorni orsono, nel primo turno delle elezioni presidenziali che aveva visto come maggiori votati il candidato indipendente Călin Georgescu e la liberale Elena Lasconi, sorprendendo gli analisti che davano per certo il passaggio al primo turno del candidato socialista e premier in carica Marcel Ciolacu, era stato confermato dalla Corte Costituzionale (CCR) il giorno 2 dicembre: la Corte aveva respinto un ricorso che ne chiedeva l’annullamento per irregolarità, dopo aver verificato la regolarità del voto del primo turno elettorale del 24 novembre, con il riconteggio delle schede.
Con una piroetta degna del peggior trasformismo e in palese e ingiustificata contraddizione con la decisione precedente, la stessa Corte Costituzionale venerdì 6 dicembre ha deciso all'unanimità di annullare il primo turno delle elezioni presidenziali del Paese, solo due giorni prima del voto finale tra i due principali candidati che si sarebbe dovuto svolgere ieri, 8 dicembre.
Il motivo del repentino annullamento è la presunta interferenza, anche della Russia o di qualunque altro potere, tramite il social TikTok, durante la campagna del primo turno, sospetti che appaiono fondati su congetture e indizi emergenti da perquisizioni e da documenti desecretati dal Presidente attualmente in carica, Klaus Werner Iohannis. Questi rimarrà ovviamente in carica sino alla elezione del prossimo presidente e, in attesa della nascita del nuovo governo, al momento raccoglie in sé tutti i poteri. Lo stesso presidente, a fronte delle stupite e contrariate reazioni dei due candidati presidenziali, Georgescu e Lasconi, ha riaffermato il suo potere ‘assoluto’ nel Paese, ricordando che «la sentenza della Corte Costituzionale deve essere rispettata e accettata da tutti».
La decisione di annullare le elezioni presidenziali significa che il primo turno dovrà essere ripetuto in una data non specificata ma che dovrà esser scelta dal governo entrante, dopo il voto delle elezioni politiche dello scorso 1 dicembre che ha visto proprio i Socialisti confermarsi come partito vincitore, seppur in un panorama politico nel quale le destre conservatrici e identitarie si attestano, tutte insieme, intorno al 40%. Le indagini della magistratura romena proseguono e proseguiranno, le perquisizioni si succedono con una fretta e intensità significative e tutti confidiamo che i risultati dei procedimenti siano celeri, non motivati politicamente e trasparenti.
Tuttavia, oltre alle modalità e i tempi inquietanti con i quali si è giunti alle decisioni di annullare le elezioni presidenziali, rimangono preoccupanti domande, gravissimi indizi e fondati sospetti su possibili interferenze occidentali sul voto. Come mai all'inizio di questa settimana, a pochi giorni dalla vittoria al primo turno e dalla celebrazione del secondo turno elettorale presidenziale in Romania, i dirigenti di TikTok sono stati convocati davanti al Parlamento europeo per testimoniare sulle elezioni?
In questo clima, viene il dubbio che se e quando ci saranno nuove elezioni, il candidato ad oggi favorito da ogni sondaggio e vincitore al primo turno, il conservatore cristiano Călin Georgescu, bollato di “putinismo”, non potrà ricandidarsi. Verrebbe da chiedersi anche come mai, oltre alle proteste di Georgescu, anche la candidata “europeista” Lasconi abbia fortemente criticato la decisione in un drammatico discorso pubblicato sui propri social il 6 dicembre.
C’è più di un sospetto su ciò che sta accadendo a Bucarest, ancor più se teniamo conto degli avvenimenti del 5 dicembre: la lettera degli ex ambasciatori USA in Romania che chiedevano una verifica e seria rivalutazione della decisione della Corte Costituzionale del precedente 2 dicembre; l’ordine della Commissione europea alla società di social media TikTok di congelare i dati relativi alle elezioni rumene; e la richiesta di diversi centri studi con sede in Romania di annullare le elezioni presidenziali.
Semplici indizi coincidenti o manipolazioni preoccupanti da parte dei Socialisti romeni al potere quasi ininterrotto da 30 anni grazie alla copertura americana? Fatto sta che la miglior protesta pacifica è stata inscenata ieri, niente piazze violente o ideologizzate come accade in Italia e in altre capitali europee: a Bucarest e in Romania sia Călin Georgescu che il leader del partito conservatore George Simion, hanno chiesto ai propri simpatizzanti e a tutti i cittadini di recarsi ieri comunque alle urne, nonostante le minacce di polizia e servizi segreti (nella foto LaPresse gli elettori chiedono di votare). Tutto come 30 anni fa, il colpo di stato si consuma contro la volontà popolare e la democrazia, con lo spauracchio del putinismo e delle sue influenze usato per tentare di vincere, nonostante il popolo abbia sancito la vittoria di altri.
Vince Georgescu, anche la Romania è stanca di ideologie
Terremoto elettorale in Romania. L'indipendente “sconosciuto” Georgescu è il più votato. Tracollano i socialisti. I popoli europei sono stanchi di prediche ideologiche.
Romania, il goffo golpe osteggiato dai millennials
Scontro generazionale senza precedenti in Romania dove l'esecutivo vuole approvare una legge che depenalizzi i reati di corruzione per avvantaggiare alle prossime elezioni l'uomo forte del partito socialdemocratico. Goffo tentativo di detenere il potere che ha già portato in piazza oltre 600mila persone, soprattutto nati molto dopo il regime comunista.