Ritorna il Re, la Verità oltre il politicamente corretto
Esce “Ritorna il Re”, di padre Maurizio Botta. I temi «vanno dal primato accordato al sentimento alla serietà e gioia della misericordia di Dio; dal senso del giusto e dell’ingiusto al mellifluo buonismo; dalla morte all’accudimento umano; dal relativismo conoscitivo e morale alla pretesa di Gesù di essere Dio; dalla bellezza intima del vivere al cristianesimo à la carte».
«Il bene non è una teoria, nessuno ce lo insegna o ce lo impone, ma l’abbiamo iscritto dentro, è una legge naturale». È questa la risposta che dà al ritornello mainstream che invita ad agire piuttosto all’insegna del «Fai un po’ come ti pare!» padre Maurizio Botta - giovane sacerdote della Parrocchia di Santa Maria in Vallicella a Roma e brillante predicatore oratoriano - nel primo dei sei “Passi al Mistero” raccolti nel recente volume Ritorna il Re (Edizioni Studio Domenicano 2021, pp. 186).
In effetti, «se Dio ci ha dato dei comandamenti, è per il nostro bene, e tutte le azioni contrarie alla legge che abbiamo iscritta dentro ci fanno del male, ci tolgono gioia, voglia di vivere, pazienza, serenità. I dieci Comandamenti li abbiamo scritti dentro, ma non siamo capaci di viverli. Ed è qui che si apre il dono smisurato della grazia», prosegue padre Botta, evidenziando il ruolo decisivo della grazia divina nel rafforzare la capacità dell’uomo di compiere il bene.
Nel “secondo passo”, dedicato alla figura del Re, padre Botta rileva come «Gesù non è oggetto di studio, né può essere argomento di una chiacchiera da salotto, ma è una persona viva. O Gesù è questione di vita e di morte, o semplicemente non è Lui e non è nessuno». Rispetto alla fede in Cristo, il sacerdote oratoriano mette in guarda dal rischio diffuso di assumere il solo sentimento quale criterio assoluto: «Penso al cammino di fede: prima di sentire Cristo, c’è ben altro, c’è la volontà di farsi governare da Lui, per esempio, e di far abitare dal Signore la propria solitudine». D’altra parte, «agognare, volere Cristo Re, significa rendersi conto delle proprie debolezze e fragilità di uomo, ma chiedere a Lui di guarirle e di assumere il suo sguardo».
Relativamente al “terzo passo”, dedicato al legame tra giustizia e misericordia, il sacerdote oratoriano ricorda innanzitutto che «quando una legge va contro il diritto naturale scritto nel cuore dell’uomo – “non schiaccerai il debole e l’innocente” –, quella norma diventa automaticamente l’esercizio di potere di una banda di briganti. Togli il diritto naturale, universale, che ti intima di non schiacciare il debole, e il diritto positivo non si fonderà da nessuna parte. Togli Dio e il suo giudizio, e cosa resta? E se non si ha il senso che si dovrà rendere conto a Dio dei nostri giorni, delle nostre ore, di come li abbiamo vissuti e di come abbiamo risposto alla nostra coscienza; se eliminiamo anche il diritto naturale e la legge scritta dentro di noi, allora non si sa veramente cosa farsene della misericordia del Signore. Il mondo non sa che farsene, la gente non passa nemmeno sotto la Porta Santa, perché, se non credi al giudizio divino e sei indifferente alla legge scritta dentro di te, allora francamente il perdono di Dio è inutile». Un cristiano autentico è invece «consapevole che con le sue uniche e misere forze umane non sarà mai capace di fare di sé un uomo giusto: potrà esserlo solo se giustificato dall’unico giusto, Gesù».
Rispetto al tema dell’eutanasia, cui dedica il “quarto passo”, padre Maurizio Botta argomenta che «nel diritto non esiste il reato di tentato suicidio perché non c’è separazione tra il soggetto che agisce e il bene protetto, ovvero la vita. Dire che il suicidio non è reato non equivale a sostenere che rappresenti un diritto né che esista da parte dell’ordinamento giuridico una valutazione positiva sull’atto del togliersi la vita. In questo contesto, introdurre l’eutanasia equivale a considerare il suicidio come un diritto soggettivo, consentendo e favorendo la cooperazione di altri: l’eutanasia altro non è se non il diritto di cooperare al suicidio altrui senza essere arrestati, e dunque il diritto di uccidere. Ecco, se definiamo quello del suicidio e della cooperazione altrui al proprio suicidio come un diritto umano: chi non ha capacità, volontà o possibilità di prendere questa decisione, vuol dire che non è umano? Ripeto: personalmente, a un individuo che chiedesse la mia cooperazione – e che immagino sia un non credente io chiederei solo di non rendermi complice, di non lasciarmi con un terribile senso di colpa, ma di consentirmi di fare tutto il possibile per stargli vicino, accudirlo e accompagnarlo». Insomma, domanda ancora con forza il sacerdote oratoriano, «si vuole affermare il valore della cura, dell’accudimento, della vicinanza, della prossimità nella sofferenza? Oppure si vuole sostenere e avallare la cultura dello scarto, per la quale l’autocoscienza è tutto ed è l’unico elemento fondante, come se la morte fosse un fatto privato? Uno Stato deve decidere su questo, al di là delle singole e certamente toccanti storie usate dai Radicali come cavalli di Troia emotivi». Dunque il ritornello attualmente in voga secondo cui «“la vita è mia e la decido io” è un falso principio, una clamorosa bugia esistenziale: non è così in entrata e non può esserlo in uscita». A questa cultura della morte in particolare i cristiani sono esortati a contrapporre una «cultura della cura», nella ferma consapevolezza che «le nostre sofferenze, unite a quelle di Cristo, hanno valore redentivo, perché Cristo ha redento anche la sofferenza».
Nel quinto passo padre Botta scardina la logica del politicamente corretto. E il tema della morte ritorna, in quanto «parlare pubblicamente di morte è diventato politicamente scorretto, e ancora di più parlarne ai bambini, che invece una volta erano abituati a incontrarla e a riconoscerla come parte della vita. Il politicamente corretto non tollera l’imperfezione: l’uomo è sempre educabile, guaribile, risanabile. E, menzogna ancora più grande, l’uomo è buono per natura, nasce innocente ed è la società a corromperlo. Il mito del “Buon selvaggio” è ancora attuale e potentissimo». In tale clima culturale il credente è chiamato a «rispondere solo a Dio e alla propria coscienza, e non alle logiche della politica, della convenienza o dell’efficace in modo machiavellico».
Di contro al dogma del “pensiero debole” e del relativismo contemporaneo per il quale non esiste alcuna verità assoluta, «Gesù è politicamente scorretto perché è totalmente sovrano, perché è il Kyrios, il Signore. È emancipato da cliché e stereotipi di vario tipo. Una sola cosa gli interessa compiere: la volontà di amore e offerta verso il Padre e verso di noi».
Perciò, come rileva padre Giorgio Carbone nella prefazione al volume, «se avrai accettato di scommettere su Gesù – come ti chiede padre Maurizio –, che non è un folle megalomane che abusivamente pretende di essere Dio, ma che è piuttosto Dio fattosi nostra carne per amore e misericordia verso di noi, se avrai puntato tutta la tua esistenza su Gesù, allora potrai anche scoprire che è sempre Gesù il politicamente scorretto per eccellenza», ossia la Verità.