Ritardi del Pnrr e rimborso Alitalia sono grane ereditate
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Troppo comodo e scorretto accusare il governo Meloni per il ritardo dell'erogazione del Pnrr, i fondi europei per la ricostruzione. I ritardi sono dovuti a mala gestione ereditata dai precedenti governi. Così come è eredità di Conte quella del prestito ad Alitalia, 400 milioni che devono essere restituiti. E che ora gravano sul contribuente.
Visto che a livello nazionale i rapporti di forza sono ben definiti e la sinistra, in questa legislatura, non ha alcuna possibilità di ribaltare l’esito delle urne e di andare al governo, solo fattori esterni possono determinare mutamenti negli scenari politici nazionali. Si è visto nei giorni scorsi come la questione immigrazione venga utilizzata da certa stampa e dalle opposizioni per fomentare tensioni e tentare di indebolire l’esecutivo. Ora è il turno del Pnrr. A quanto pare, tra carenze amministrative e rincari di energia e di materie prime, il Recovery plan arranca ed è previsto un ulteriore slittamento della consegna della terza tranche del Pnrr.
La Commissione europea ha ritardato di un altro mese l’erogazione di 19,5 miliardi di euro del Pnrr, che sarebbero dovuti arrivare entro il 31 marzo, per problemi legati all’ammissibilità di alcuni investimenti, ma chiede anche che il Governo presenti entro 30 giorni tutte le modifiche del piano che ritiene necessarie.
A fine 2022 l’Italia aveva speso solo il 6% dei fondi del Pnrr, ma anche quest’anno rimarremo indietro di quasi 15 miliardi e per spendere i 191 complessivi del piano entro il 2026 saremo obbligati a concentrare una parte importante delle risorse tra il 2024 e il 2025.
Durante il Covid sia il governo Conte 2 che il Governo Draghi hanno sbandierato ai quattro venti questo bottino del Pnrr identificato come la panacea di tutti i mali italiani e come una sorta di nuovo Piano Marshall per risanare l’economia del Paese dopo la pandemia. Ora, invece, ci si rende conto che quelle risorse saranno inferiori alle attese e non produrranno gli effetti sperati e annunciati.
Accusare, però, chi sta al governo da cinque mesi non è corretto, perché già durante i precedenti esecutivi si lamentava il fatto che la programmazione degli interventi per utilizzare quelle somme fosse inadeguata, frammentaria e poco concreta.
Decidere come spendere quei soldi è stato in parte fatto, poi però comincia la trafila dei bandi, del coinvolgimento dei comuni e dell’indizione delle gare per l’esecuzione dei lavori, che a loro volta hanno tempi non preventivabili. Utopistico, quindi, pensare che entro il 2026 tutti quei soldi vengano spesi e producano l’agognata rinascita del Paese.
L’Europa sul piano burocratico si è presa i suoi tempi per le valutazioni dei progetti italiani e dunque il Governo Meloni è dovuto intervenire sull’iter di attuazione dei programmi con un nuovo aggiornamento dei cronoprogrammi procedurali contenenti gli obiettivi iniziali, intermedi e finali degli interventi.
I timori per l’Italia non riguardano solo l’ultimatum, inopportuno e ingeneroso, lanciato dalla Commissione al nuovo esecutivo italiano, con tanto di proroga di un mese per verificare il raggiungimento dei target del terzo trimestre. La paura si concentra anche sulla quarta tranche, quella che scade a giugno 2023 e vale 16 miliardi. Ecco perché si parla già di proroga fino al 2029 per l’utilizzo di alcuni di quei fondi. Scadenza più realistica, considerati gli inevitabili rallentamenti dovuti alle crisi internazionali, all’emergenza energetica e agli altri fattori d’incertezza anche finanziaria che gravano sull’Europa.
Tuttavia, il dibattito pubblico italiano risulta immiserito dalle solite logiche di bottega. Le sinistre auspicano una sorta di “operazione verità” sul Pnrr, dimenticando che a gestirlo fino a ottobre sono state loro con i precedenti governi. Peraltro il Ministro delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, ha respinto al mittente tutte le accuse di inefficienza: ”Per quanto ci riguarda tutti gli obiettivi del Pnrr di fine dicembre sono stati raggiunti, così come quelli indicati di fine marzo, siamo convinti che gli obiettivi di fine giugno saranno pienamente rispettati“.
Il Ministro degli affari europei, Raffaele Fitto ha chiarito: “L’unica cosa che non si può fare è il tentativo abbastanza ridicolo di attribuire a questo governo delle responsabilità”, considerando che la fase di verifica della Commissione europea si riferisce agli obiettivi raggiunti a dicembre 2022, con il nuovo Governo che è entrato in carica soltanto a ottobre.
Ma anche altre grane arrivano da Bruxelles al Governo Meloni. La Commissione Ue ha deciso che il prestito di 400 milioni di euro concesso ad Alitalia nel 2019, dal Governo Conte 2, rappresenta un aiuto di Stato illegale ai sensi delle norme comunitarie. Ora l’Italia dovrà farsi restituire dalla compagnia i soldi prestati, maggiorati degli interessi. Infatti, la Commissione Ue ha stabilito che, concedendo nel 2019 il prestito di 400 milioni di euro di aiuti di Stato, l'Italia non si è comportata come avrebbe fatto un operatore privato, non avendo valutato in anticipo la probabilità di rimborso dei prestiti, più gli interessi. In particolare, la compagnia aerea aveva già beneficiato di aiuti precedenti, vale a dire i due prestiti concessi nel 2017. Pertanto, il nuovo prestito violerebbe l'obbligo una tantum previsto dagli orientamenti per il salvataggio e la ristrutturazione.
In altre parole, il prestito è stato giudicato aiuto di Stato illegale perché concesso al di fuori delle condizioni di mercato e finalizzato solo a garantire continuità al servizio nazionale, internazionale e intercontinentale gestito da Alitalia, alterando così la concorrenza con gli altri vettori e proprio da alcuni di questi partì il ricorso a Bruxelles.
La richiesta di rimborso graverà su Alitalia Sai in amministrazione straordinaria. Poiché quest’ultima, che gestisce la liquidazione della vecchia compagnia, non sarà mai in grado di rimborsare l’ulteriore richiesta di 400 milioni, ancora una volta i costi di Alitalia vengono pagati dai contribuenti. L’assistenzialismo di Stato praticato dai governi della scorsa legislatura (e anche dai precedenti) sta scaricando i suoi effetti devastanti sulle finanze pubbliche. Sussidi improduttivi a carrozzoni di Stato o a lavoratori in nero (vedi percettori del reddito di cittadinanza) elargiti per anni a pioggia e solo per finalità elettorali freneranno il rilancio della nostra economia. Bruxelles se la prende con la Meloni e il centrodestra, ma la vera “operazione verità” dovrebbe riguardare le scelte infelici sul piano economico e sociale fatte da chi ha governato l’Italia nella scorsa legislatura, illudendo i cittadini che l’Europa li avrebbe salvati. Per chi si era addormentato con questa illusione il risveglio risulterà alquanto traumatico.