Ristoro dello spirito con Sant'Ignazio
L’estate non è solo tempo di riposo e di svago per il corpo, ma è anche tempo per l’uomo «stanco e oppresso» che in Dio trova il vero «ristoro».
L’estate non è solo tempo di riposo e di svago per il corpo, ma è anche tempo propizio per ritemprare lo spirito, per l’uomo «stanco e oppresso» (Mt 11,28) che solo in Dio può trovare il vero «ristoro» (ibid.) e la pace interiore. Il tempo di deserto, cioè il fare silenzio esteriore ed interiore ritirandosi alcuni giorni in un luogo adatto per rientrare in se stessi ed incontrare Dio nella preghiera, diventa il tempo dedicato alla vita spirituale, al conoscersi autenticamente, a purificare il cuore dal male e, soprattutto, a conoscere Dio che ci ama per trasformarci in Lui.
Tutto questo, e molto di più, sono gli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), «un libro che ha segnato il destino dell’umanità», così com’è stato definito da uno storico del Cristianesimo, ma un libro particolare: ha la caratteristica che non deve essere letto ma fatto, cioè sperimentato. Solo chi ha praticato gli Esercizi (ES) può capire fino in fondo l’esperienza straordinaria che trasmettono, nella durata originale di un mese o anche dei cinque giorni, periodo certamente oggi più accessibile per tutti.
La grandezza di Ignazio e della Compagnia di Gesù da lui fondata (1534), si radica sicuramente nella loro vita spirituale «perché le imprese gloriose della storia della Chiesa iniziano sempre nel fondo silenzioso di un cuore» (Hugo Rahner, 1900-1968), e il cuore di Ignazio batteva forte di amore per Cristo che egli voleva servire con tutto se stesso. Con gli ES il santo ha forgiato dentro e fuori i suoi uomini, li ha guidati alla conversione a Dio e li ha resi pronti per la conquista di altri uomini alla stessa causa: la causa di Gesù Cristo e della Chiesa.
Vincere se stesso, mettere ordine Al numero 21 degli ES troviamo la loro finalità e il loro scopo: «Esercizi spirituali con cui l'uomo è guidato per poter vincere sé stesso e mettere ordine nella propria vita senza prendere decisioni in base ad alcuna tendenza che sia disordinata». Vincere sé stesso: ecco la “battaglia” primaria della vita. La riforma, l’emendamento di vita deve sempre partire da noi e non dagli altri, è personale. Ignazio l’aveva capito molto bene e ha “lavorato” su di sé per vincere vizi e difetti lungo tutta la sua intera vita, con una volontà tenace e incredibile. Mettere ordine nella propria vita: l’ordine è indice di vera libertà che si acquisisce nel fare il bene, nel dedicarsi a esso per sempre. Il bene fa bene, il male fa male. Questa libertà, soprattutto per il bene ma anche dal peccato che ci separa da Dio, ci condurrà a uno dei pilastri della spiritualità ignaziana: l’indifferenza del Principio e Fondamento degli ES (n. 23), che non è il disinteresse o l’apatia ma, anzi, la libertà interiore per considerare le cose secondo il loro vero valore, senza essere condizionati da niente che non sia la volontà di Dio e ciò che Lui vuole da noi. Per realizzare tale scopo è fondamentale conoscere il fine della vita, il suo senso autentico: Dio e la nostra salvezza. Tenendo sempre presente il fine ultimo (che Ignazio traduce così: «L'uomo è creato per lodare, adorare e servire Dio nostro Signore e in questo modo salvare la sua anima», e che è la vera risposta alla domanda radicale dell’uomo di sempre sul senso della vita), la persona, secondo la mentalità ignaziana, sceglierà solo quelle cose che lo conducono meglio al fine per cui è creato e se ne distaccherà per quanto lo allontanano dallo stesso fine.
Magis, per me Ignazio insisterà molto sul magis, il “di più” da offrire al Signore. Nel famoso esercizio della Regalità di Cristo e della sua chiamata, all’inizio della seconda settimana (gli ES sono divisi in quattro settimane, che rimangono sintetizzate anche nei cinque giorni in cui c’è l’essenziale del metodo), Ignazio propone l’offerta di sé al Re eterno e la presenta con queste parole: «Bisogna concludere che quelli che vogliono maggiormente dedicarsi al suo servizio non si limiteranno soltanto a sopportare le fatiche, ma, contrastando l'amore della propria carne e di sé stessi e lo spirito di ribellione del mondo, offriranno ancora qualcosa di più prezioso e di più grande…» (n.97). Occorre cioè dare qualcosa di più prezioso a Dio, non basta la “normalità”. Ignazio aborriva la mediocrità, la mancanza di entusiasmo e di passione, l’”avarizia” nel dono di sé. Considera un cavaliere “vigliacco” chi non segue l’unico Re, Cristo, e il suo progetto di conquista, in fondo per seguire solo se stesso e la propria volontà, o magari per servire «il nemico della natura umana», come Ignazio chiama Satana. La lotta e la storia è, infatti, tra Cristo e Satana… Cresceva dunque in Iñigo questo desiderio di fare di più, la consapevolezza che Cristo aveva fatto tutto quello che fece, fino alla morte di croce, perché lo amava (per me, dirà spesso Ignazio): questo cambiò la sua vita. E anche la nostra.
La vocazione
Si tradirebbero, inoltre, gli ES se non dicessimo che Ignazio li elaborò anche, se non soprattutto secondo alcuni studiosi, al fine di condurre la persona a fare una scelta di vita per il Signore. Migliaia di vocazioni sono dipese dal metodo ignaziano - parecchi santi l’hanno praticato -, un itinerario in interiore homine adatto anche ai giovani di oggi e chi li ha sperimentati lo sa. Il giovane che pratica gli ES si trova immerso in un’esperienza spirituale unica, guidato da Dio per comprendere la storia sacra e il progetto divino su di lui, dove l’importante è gustare e sentire interiormente la presenza di Dio più che imparare cose nuove e accumulare nozioni. Qual è la volontà di Dio per me? Questa è la domanda più importante. Le quattro settimane si snodano attraverso la via purgativa o di purificazione, dove l’esercitante è posto di fronte al peccato anche personale perché ne chieda perdono al Signore e ne riconosca il senso e la malizia. Conoscere, amare e seguire Cristo sono i verbi ignaziani della seconda settimana, la via illuminativa, dove ciò che è importante è il rapporto personale con Gesù che costituisce la nostra identità e il nostro essere. La via unitiva della terza e della quarta settimana, di Passione e Resurrezione, compie il percorso ignaziano per sfociare nella contemplazione per ottenere l’amore, parola poco usata da Ignazio che non vuole sprecarla, ma che è il fine di tutto. Dio ci ha amati per primo (cf. 1 Gv 4,19) e questo è tutto ciò che serve per vivere in questa vita e nell’altra. Un amore che va ricambiato e non custodito gelosamente. Un amore che va “speso” per Cristo, e l’amore costa. Ogni uomo lo cerca soprattutto i giovani. Icona dell’amore per Cristo è l’esercizio dei Due stendardi, un pezzo forte della spiritualità ignaziana: dobbiamo scegliere tra lo stendardo di Cristo e quello di Satana, anzi è Dio che ci sceglie sotto il suo stendardo, ma soprattutto dobbiamo scegliere il modo di vita del capo dei buoni, Gesù, e tale modo è la povertà, l’obbrobrio e il disprezzo da dove nasce la virtù dell’umiltà. È disposto l’esercitante, il giovane ad accettare questo stile di vita, questo amore che conduce alla libertà e alla salvezza? Occorro puntare in alto, non volare basso…
Conclusione
Nella forma originale gli ES non concedono nulla alle mode teologiche o esegetiche odierne non essendo, tra l’altro, un corso di teologia e nemmeno un corso biblico. La fedeltà all’insegnamento della Chiesa e al Magistero pontificio è assoluta. L’affidabilità è massima. Sono un’esperienza densa e forte. Percorrendoli si può, allora, giungere a quella meta che il santo spagnolo chiama contemplativus in actione, essere sempre alla presenza costante di Dio con il cuore là dov’è il tuo tesoro (cf Mt 6,21).