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L'APPROFONDIMENTO

Riprendere una riflessione etica sui vaccini

«Perché non è più possibile questo atteggiamento? Perché crea una cultura del mors tua vita mea, una cultura che ritiene legittimo che alcuni muoiano per il bene dell’intera nazione (vi ricorda qualcuno?), una cultura che decide che alcuni esseri umani non sono persone, ma cose, fornitori di “materiale biologico”». Riprendere il sentiero interrotto della riflessione su vaccini, etica e aborto. La relazione di Luisella Scrosati al convegno di Terni. 

Vita e bioetica 10_06_2022

Pubblichiamo una sintesi della relazione tenuta da Luisella Scrosati al convegno Covid 19 Lo spirito umano alla ricerca della verità svoltosi a Terni il 28 maggio. 

  1. Dove e come era iniziato questo sentiero?

Nel 1999 una donna statunitense, Debra Vinnedge, fonda l’associazione Children of God for Life, con lo scopo di iniziare una campagna di sensibilizzazione per ottenere vaccini etici. Qual era e qual è il problema? Che per realizzare numerosi vaccini – realizzare= ricerca e sviluppo e/o produzione e/o test – sono state utilizzate linee cellulari, provenienti da tessuti ricavati da feti abortiti. Perché questo è un problema?

Non dobbiamo pensare che si tratti di tessuti ricavati da resti di bambini abortiti giacenti nei laboratori. Le linee cellulari sono per definizione colture di cellule capaci di vivere e crescere indefinitamente. Dunque, è semplicemente senza senso pensare che si tratti di prelievo di tessuti “morti”. Nel caso delle linee cellulari fetali, esse provengono da bambini che avevano da un minimo di 6 settimane (RA273, tratta da un rene) a un massimo di 16-18 settimane (PER-C6, dalla retina). Nel primo caso l’embrione misura 4 millimetri, nel secondo circa 12 centimetri. Perché questa precisazione? Perché è del tutto escluso che si tratti di aborti spontanei, in quanto il processo rapido di autolisi renderebbe inutilizzabili i tessuti. Da escludere anche le tecniche abortive consuete, come l’aspirazione o la soluzione salina, che renderebbero inutilizzabili i tessuti.

Dunque, viene indotto il parto e quindi il bambino viene vivisezionato. E’ vivo o appena morto? Non è possibile sbilanciarsi. In ogni caso, esiste una chiara correlazione tra il prelievo degli organi e l’aborto, come dimostra anche l’attenta selezione delle “donatrici” di feti. Per la linea cellulare Walvax-2, ad esempio, ottenuta dal polmone di una bimba di tre mesi, è stato necessario il sacrificio di nove feti, selezionati accuratamente secondo i criteri riportati nello studio pubblicato, necessari «per garantire l’elevata qualità dei ceppi cellulari: 1) età gestazionale compresa tra i 2 e i 4 mesi; 2) induzione del parto con il metodo water bag; 3) la professione dei genitori non deve prevedere contatto con prodotti chimici e radiazioni; 4) entrambi i genitori devono essere in buona salute senza malattie neoplastiche e genetiche, e senza alcuna storia di trapianti di tessuti e di organi nella linea familiare per 3 generazioni; 5) nessuna malattia infettiva» (Bo Ma et al., in «Human Vaccines & Immunotherapeutics», aprile 2015).

Questo dimostra la chiara correlazione tra aborto e prelievo dei tessuti. Il problema morale si colloca a questo livello, come spiegava Mons. Sgreccia (cf. Manuale di Bioetica. Fondamenti ed etica biomedica, 797-799): non importa che l’aborto si sarebbe realizzato comunque, ma il fatto che quello o quegli aborti sono stati eseguiti ad hoc.

Più di un sospetto porta a ritenere che il bambino sia in realtà vivo. L’11 agosto 2021, Fox News riportava una notizia molto interessante. E’ stata resa nota una documentazione dell’Università di Pittsburgh, nella quale comunicava al National Institutes of Health lo sviluppo di una tecnica per l’acquisizione, il controllo di qualità e la distribuzione di esemplari di organi genitali e urinari umani da bambini tra le 6 e le 40 settimane di gestazione. In questo documento, l’Università di Pittsburgh afferma di poter ridurre il tempo d’ischemia per assicurare la qualità del prodotto. Il portavoce dell’Università, David Seldin dichiarava a Fox News: “In questo caso, il tempo d’ischemia si riferisce al tempo dopo la procedura di raccolta dei tessuti e prima della refrigerazione per lo stoccaggio e il trasporto”. Se l’ischemia inizia dopo la raccolta degli organi, questo significa che durante questa raccolta il sangue circola e dunque c’è attività cardiaca.

Torniamo a Debby Vinnedge. Nel settembre 2003, inviava alla Conferenza Episcopale degli Stati Uniti un testo di 48 pagine. Questo testo venne quindi inoltrato in Vaticano, alla Pontificia Accademia per la Vita. A partire dal gennaio del 2005, la PAV era presieduta da Mons. Elio Sgreccia (della quale era però vicepresidente fin dalla sua fondazione, nel 1994). Fu questo documento a far sì che, per la prima volta, si producesse una posizione ufficiale della Chiesa su questo argomento.

2 La traiettoria del sentiero
Il 5 giugno del 2005 la PAV pubblicava una nota, ormai introvabile sul sito della medesima, dal titolo Riflessioni morali circa i vaccini preparati a partire da cellule provenienti da feti umani abortiti. Che cosa si dice in quel documento?

  • Si riconosce «la connessione esistente tra la preparazione dei vaccini summenzionati e gli aborti procurati dai quali sono stati ottenuti i materiali biologici necessari per tale preparazione».
  • Primo principio: «Innanzitutto, va considerata moralmente illecita ogni forma di c. formale (condivisione dell’intenzione cattiva) all’atto di chi ha compiuto l’aborto volontario che ha permesso il reperimento dei tessuti fetali, necessari alla preparazione dei vaccini». Chi condivide la liceità di poter asportare da un bambino che viene abortito dei tessuti, qualunque siano le conseguenze “positive” di questo atto, partecipa alla medesima malizia morale di chi concretamente compie l’atto tecnico.
  • Nel caso della cooperazione materiale, si afferma che, «per quanto riguarda la preparazione, distribuzione e commercializzazione di vaccini realizzati grazie a l’impiego di materiale biologico la cui origine è collegata a cellule provenienti da feti volontariamente abortiti, in linea di principio va detto che tale processo è moralmente illecito». Dunque, c’è un problema morale specifico, ulteriore all’aborto commesso: è quello legato alla preparazione, distribuzione e commercializzazione dei vaccini illeciti e dunque, a fortiori, anche a tutta quella rete che si avvale delle linee cellulari fetali o di qualsiasi tessuto proveniente da feti abortiti.
  • I «produttori di questi vaccini, qualora essi non denunciassero e rifiutassero pubblicamente l’atto cattivo d’origine (l’aborto volontario), ed insieme non si impegnassero a ricercare e a promuovere forme alternative» cooperano passivamente.
  • Che dire per chi li utilizza? Vengono individuate tre forme di cooperazione materiale: “una forma di cooperazione materiale mediata molto remota, e quindi molto debole, rispetto alla produzione dell’aborto, e una cooperazione materiale mediata, rispetto alla commercializzazione di cellule procedenti da aborti, e immediata, rispetto alla commercializzazione dei vaccini prodotti con tali cellule”. Dunque, la cooperazione si gioca su tre livelli e non solo sulla cooperazione all’aborto.
  • Il documento ritiene che l’aspetto più emergente, in questo contesto, sia quello della “cooperazione passiva” e precisa che «ai fedeli e ai cittadini di retta coscienza (padri famiglia, medici, ecc.) spetta di opporsi, anche con l’obiezione di coscienza, ai sempre più diffusi attentati contro la vita e alla “cultura della morte” che li sostiene».
  • Un problema ulteriore è sul piano culturale, perché «l’uso di tali vaccini contribuisce a creare un consenso sociale generalizzato all’operato delle industrie farmaceutiche che li producono in modo immorale». Per questo il documento raccomanda di ricorrere a vaccini alternativi, ad esercitare «ogni pressione sulle autorità politiche e sui sistemi sanitari affinché altri vaccini senza problemi morali siano disponibili»; e ad invocare l’obiezione di coscienza.
  • La possibilità di utilizzo dei vaccini immorali è possibile solo se, in mancanza di alternative, questi proteggano da «rischi di salute significativi» e dal «pericolo di favorire la diffusione dell’agente patogeno».
  • In ogni caso, il documento ribadisce che «la liceità dell’uso di questi vaccini non va interpretata come una dichiarazione di liceità della loro produzione, commercializzazione e uso».

Un altro punto fermo di questo sentiero è l’enciclica Evangelium Vitae § 63, che condanna il «procedimento che sfrutta gli embrioni e i feti umani ancora vivi [...] sia come “materiale biologico” sia come fornitori di organi o di tessuti da trapiantare per la cura di alcune malattie». Importante la riflessione di Sgreccia, il quale faceva notare che, se si trattasse di feti morti, «i tessuti normalmente non sarebbero adatti al trapianto, a meno che il prelievo non avvenga nei primissimi istanti [...]. Ma il rischio è che si cerchino il più possibile tessuti non alterati, capaci di rigenerarsi e quindi si vada alla ricerca del feto vitale» (Sgreccia, op. cit.)

Un altro prezioso contributo, dal punto di vista magisteriale il più autorevole, è il § 35 dell’Istruzione Dignitas Personae (2008), che richiama il principio presente in Donum Vitae (1987), per cui «i cadaveri di embrioni o feti umani, volontariamente abortiti o non, devono essere rispettati come le spoglie degli altri esseri umani. In particolare non possono essere oggetto di mutilazioni o autopsie se la loro morte non è stata accertata e senza il consenso dei genitori o della madre. Inoltre va sempre fatta salva l’esigenza morale che non vi sia stata complicità alcuna con l’aborto volontario e che sia evitato il pericolo di scandalo».

Viene quindi stigmatizzato il criterio di indipendenza, secondo il quale il materiale illecito può essere utilizzato purché ci sia separazione tra chi compie l’aborto, estrae i tessuti e li congela e i ricercatori.

3 Il sentiero interrotto: PAV 2017
Il 31 luglio 2017, tre giorni dopo la conversione in Legge del Decreto Lorenzin, la PAV, a guida Mons. Paglia, l’Ufficio per la Pastorale della Salute della CEI e l’Associazione dei Medici Cattolici Italiani emettevano una Nota che “semplificava” di molto la questione: «Le caratteristiche tecniche di produzione dei vaccini più comunemente utilizzati in età infantile ci portano ad escludere che vi sia una cooperazione moralmente rilevante tra coloro che oggi utilizzano questi vaccini e la pratica dell’aborto volontario. Quindi riteniamo che si possano applicare tutte le vaccinazioni clinicamente consigliate con coscienza sicura che il ricorso a tali vaccini non significhi una cooperazione all’aborto volontari».

Per la Nota, il problema morale è praticamente scomparso al punto da affermare che «alla luce dei progressi della medicina e delle attuali condizioni di preparazione di alcuni vaccini, [il documento del 2005] potrebbe essere a breve rivisto e aggiornato, soprattutto in considerazione del fatto che le linee cellulari attualmente utilizzate sono molto distanti dagli aborti originali e non implicano più quel legame di cooperazione morale indispensabile per una valutazione eticamente negativa del loro utilizzo».

Si noti come l’unica cooperazione presa in considerazione è rispetto all’aborto originario. Una cooperazione che di fatto sparisce, e così spariscono anche le precise condizioni che sole rendono lecito avvalersi di questi preparati, ottenuti in modo illecito. L’opposizione a questo sistema iniquo diventa, infine, una raccomandazione ad un non meglio precisato “impegno comune”, sovrastato invece dall’enfasi sulla responsabilità morale di vaccinarsi per il bene altrui.

4 Tentativo (abortito) di ripresa
La Nota del 2020 si colloca in una posizione che ritengo non falsa, ma incapace di pareggiare la verità.

  • Anzitutto perché la Nota rimanda per i “criteri generali dirimenti” indifferentemente a PAV 2005, Dignitas Personae e PAV 2017.
  • In secondo luogo perché si concentra esclusivamente sulla cooperazione materiale mediata remota di chi si avvale dei vaccini anti Covid. E’ vero che non si tratta di un via libera, in quanto «il dovere morale di evitare tale cooperazione materiale passiva non è vincolante se vi è un grave pericolo, come la diffusione, altrimenti incontenibile, di un agente patogeno grave». Rimane però il problema che spariscono dall’orizzonte le altre forme di cooperazione e il grave problema socio-culturale. In ogni caso, con il soli criteri della Nota vi sarebbe già molto da dire: questi vaccini hanno dimostrato di non essere in grado di impedire la diffusione dell’agente patogeno?
  • Altro problema della Nota: perché l’unica alternativa al vaccino illecito dovrebbe essere un altro vaccino e non invece delle terapie?
  • La Nota riconosce comunque la possibilità “per motivi di coscienza” di rifiutare “i vaccini prodotti con linee cellulari procedenti da feti abortiti”.

Come dicevo, il problema più evidente è che la Nota non pareggia la verità della problematica in atto, mancando di riportare quei livelli di cooperazione che emergevano in PAV 2005. Sparisce inoltre l’altro grande tema del consenso generale che si viene a creare dell’operato dell’industria farmaceutica. La Nota, restringendo la valutazione morale alla cooperazione materiale mediata remota rispetto all’aborto, ha di fatto reso miopi al problema più ampio.

5 Conseguenze di questo errore di impostazione.
Con la riduzione del problema all’identificazione del mero grado di collaborazione rispetto all’aborto, è stato dato il via libera per l’inoculazione del vaccino. Questo ha condotto a quanto era da attendersi: la cooperazione materiale ha di fatto assuefatto le persone ad accettare passivamente l’integrità del sistema iniquo, mantenendo solamente un’opposizione rispetto all’aborto in generale.

E’ più che mai urgente recuperare l’intero quadro del problema. La domanda corretta non è: sto cooperando – e in che modo – all’aborto? Perché è chiaro che in questa direzione si arriva alla soluzione di PAV 2017. Non posso infatti propriamente collaborare con un’azione passata, conclusa.

Invece ha più che mai senso porsi altre domande (e darsi le corrispondenti risposte vere):

  • C’è una collaborazione alla commercializzazione di vaccini prodotti in modo illecito?
  • Se sì, c’è una collaborazione al prelievo e utilizzo di materiale biologico proveniente da aborti?
  • Se è vero tutto questo, sto collaborando ad una mentalità che reifica l’essere umano, riducendolo a fornitore di materiale biologico?

Per realizzare la vastità del problema, mi pare necessario ampliare il discorso. Le linee cellulari sono “solo” una parte del sistema iniquo che reifica l’uomo. Ma rispondono alla stessa logica di altre aberrazioni che continuano indisturbate; anzi, sono destinate ad aumentare.

Qualche indizio:

  • Su La Nuova Bussola (Ermes Dovico, 14 marzo 2022 e Luisella Scrosati, 08 settembre 2021) abbiamo reso noto l’entità del commercio di tessuti ricavati da bambini volontariamente abortiti: 88 milioni di dollari da impiegare per la ricerca sui tessuti fetali, nel 2022 (USA). Questo è stato reso possibile dalla decisione del neoeletto Joe Biden di annullare la decisione di Trump, che, nel 2019, aveva congelato i finanziamenti al National Institutes of Health proprio per la ricerca sui tessuti fetali.
  • Lo scandalo legato alla Crucell, olandese, che ha realizzato la PER.C6 (acquistata da Johnson & Johnson). Il quotidiano australiano Herald Sun nel 2003 aveva rivelato che la Parexel International di Sydney si era accordata con la Crucell per inviare nei laboratori olandesi tessuti fetali tratti da alcuni dei circa 90 mila aborti compiuti in Australia; tessuti che sarebbero poi stati utili per la realizzazione dei vaccini contro ebola e HIV. Appena un mese prima, la Crucell aveva bussato alle porte della Nuova Zelanda, alla ricerca di feti che non fossero stati contaminati dall’encefalopatia spongiforme bovina, più conosciuta come “mucca pazza”.
  • In Svizzera negli ultimi 30 anni si è sviluppata la FPC therapy (fetal progenitor cell); si tratta di medicina rigenerativa cutanea, muscoloscheletrica e del tratto respiratorio, che richiede un approvvigionamento di tessuti fetali e dunque di una banca, la Swiss Fetal Progenitor Cell Banking. In un articolo scientifico del 23 ottobre del 2020 si legge: «Molteplici tessuti fetali (pelle, cartilagine, tendini, muscoli, ossa, polmone) potrebbero essere prelevati simultaneamente ed elaborati per aderenti colture cellulari, stabilendo un modello univoco per una catena di approvvigionamento di materiale cellulare terapeutico sostenibile».

 6 Riprendere il sentiero
Poiché dunque il contesto è questo, come faceva notare Mons. Rodriguez Luño in un articolo su Medicina e Morale, che ha seguito immediatamente il documento di PAV 2005, «di fronte a una tale cultura acquistano grande rilevanza etica le modalità di cooperazione che prima abbiamo chiamato passive e quelle di carattere culturale e sociale, nonché alcune precise modalità di cooperazione remota. Non è più possibile limitarsi a evitare le modalità di cooperazione attiva immediata (“non sporcarsi le mani direttamente”). [...] I cittadini, i medici, i ricercatori, ecc. non possono considerarsi meri osservatori passivi delle ingiustizie commesse da altri, accontentandosi di non diventare essi stessi la loro causa immediata o complici in senso attivo e prossimo».

Perché non è più possibile questo atteggiamento? Perché crea una cultura del mors tua vita mea, una cultura che ritiene legittimo che alcuni muoiano per il bene dell’intera nazione (vi ricorda qualcuno?), una cultura che decide che alcuni esseri umani non sono persone, ma cose, fornitori di “materiale biologico”.

L’indicazione data dalla Nota del 2020 è stata, da questo punto di vista, fuorviante; il problema è stato affrontato quasi esclusivamente come una questione personale e così l’affermazione di una semplice cooperazione materiale mediata remota è stata considerata il via libera per avvalersi di vaccini illeciti, senza porsi il problema della cooperazione con tutto un sistema di ricerca, sperimentazione e produzione di farmaci che trova nella pratica abortiva e nello smembramento di innocenti l’origine indispensabile della propria esistenza. E nella commercializzazione di questi “prodotti” la fonte della propria sussistenza.

Per questo Luño sottolineava essere di estrema importanza evitare «di partecipare alla commercializzazione (sia vendendo che comprando) dei prodotti ottenuti mediante mezzi immorali, di contribuire in qualche modo a creare una domanda di tali prodotti, così come si dovrà evitare di favorire un clima sociale di approvazione che renderebbero cronici gli abusi e le ingiustizie». Bisogna realisticamente realizzare che a questo sistema interessa più quello che noi facciamo, che non quello che pensiamo, se non nella misura in cui quello che pensiamo potrebbe distogliere le persone dall’agire secondo le aspettative.

Da questo punto di vista, mi pare che la pur importante distinzione tra cooperazione formale e cooperazione materiale debba essere ripensata, sia in una prospettiva sociale che individuale. Ci sono delle ragioni importanti (prendo spunto da un articolo di S. Kampowski, 24 gennaio 2021, The Catholic World Report):

  • Se si accetta pacificamente il beneficio proveniente da un azione gravemente immorale si manda il messaggio che ci sia una domanda per i risultati di tali azioni cattive e se ne incoraggia così l’offerta. Cooperare anche solo materialmente con la commercializzazione dei prodotti ottenuti con materiale biologico illecito mantiene in vita il sistema. E questo a sua volta porterà gradualmente a formare una mentalità sempre più aperta ad un’accettazione formale. Teniamo sempre presente che il sistema si nutre del fatto che noi ci avvaliamo dei prodotti realizzati in modo illecito.
  • Esiste poi il rischio concreto di sviare altre persone, portandole a ritenere lecito non solo l’utilizzo del beneficio, ma anche quello dell’azione moralmente inaccettabile. E’ il problema dello scandalo, che era stato ricordato da PAV 205. La “normalità” dell’utilizzo dei vaccini illeciti ha di fatto ormai condotto le persone a ritenere che sia l’utilizzo come anche la modalità di realizzazione di tali vaccini, nelle sue fasi di ricerca, sperimentazione e test, sia dopotutto giustificata dalla finalità della salute pubblica.
  • Un altro enorme problema è l’indebolimento della credibilità e della forza dell’opposizione. E’ teoricamente possibile accettare i benefici di un’azione cattiva senza approvare tale azione; tuttavia il ragionamento per cui “condanno ciò che fai, ma mi avvalgo di ciò che fai” fiacca in partenza la forza e la limpidezza della necessaria testimonianza a difesa della vita. Solo delle ragioni proporzionate alla gravità dell’atto moralmente inaccettabile e l’occasionalità della “incoerenza” potrebbero in qualche modo mitigare l’altrimenti evidente ipocrisia. E nel contempo, bisogna tener presente che il valore del bene che vogliamo difendere emerge chiaramente da quanto siamo disposti a rischiare. Se vogliamo difendere la vita di una persona innocente, se vogliamo difendere la trascendenza della persona umana, allora dobbiamo essere risposti a rischiare molto, persino la vita stessa.
  • Abituarsi a servirsi delle conseguenze di azioni cattive finisce per inclinare la nostra volontà all’indolenza e per oscurare progressivamente l’acutezza del nostro intelletto. «Bisogna vivere come si pensa, altrimenti si finirà per pensare come si è vissuto» (Paul Bourget).