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SULLE PAROLE DI UN SACERDOTE

Riparare i peccati non è presunzione

Sentir dire da un prete che la preghiera offerta a Dio in riparazione dei peccati altrui è presuntuoso, è incredibile. Mostra di non conoscere l’essenziale differenza tra l’espiazione operata dal Signore Gesù e l’azione riparatrice attuabile dai suoi discepoli. Scrittura, Magistero, epserienze mistiche e Tradizione ci mostrano perché queste parole ci portano fuori strada dalla via indicata da Cristo. 

Editoriali 19_05_2017
Riparare le offese a Cristo a seguito del gay pride è doveroso

L’ignoranza delle più elementari competenze ‘professionali’, che sarebbe legittimo dare per scontate in un ministro di Dio, è causa di errori grossolani. Per la verità si deve dire che è con-causa, insieme alla impudica strumentalizzazione ideologica del linguaggio con cui si tratta delle cose più belle e più sacre della fede cattolica.

Ecco perché si può arrivare a sentir dire da un prete, incredibile ma vero, che la preghiera e la penitenza offerte a Dio in riparazione dei peccati che si commettono nel mondo è un atto indegno di un cristiano perché suppone un atteggiamento presuntuoso. (vedi questa intervista sul caso gay pride-Reggio Emilia)

Chi dice questo mostra anzitutto di non conoscere – ecco perché parlavo di ignoranza – l’essenziale differenza tra l’espiazione operata dal Signore Gesù e l’azione riparatrice attuabile dai suoi discepoli.

Il termine espiazione, infatti, si riferisce, a pieno titolo, a Colui che è stato mandato nel mondo da Dio Padre, affinché fosse ‘vittima di espiazione per i nostri peccati’ (1 Gv 4, 10); e parliamo di Uno che ‘non ha bisogno di offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo’ (Eb 7, 27) perché Egli non ha peccato, ‘è il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia’ (Eb 7, 26). Il Signore Gesù è l’unico giusto che offre la sua vita per i peccati degli ingiusti (cf 1 Pt 3, 18). 

Chiamiamo quindi riparazione la partecipazione all’atto espiatore di Cristo da parte dei cristiani, i quali, mentre si uniscono al suo sacrificio redentore, chiedono anzitutto il perdono per le proprie colpe e poi per quelle degli altri, specialmente di coloro che la redenzione la rifiutano o la combattono. Dunque niente presunzione nel concetto, pienamente cattolico, di preghiera riparatoria; piuttosto la chiara consapevolezza che siamo tutti nella stessa barca, perché a differenza del Signore Gesù, noi abbiamo bisogno di offrire preghiere e penitenze anzitutto per i peccati nostri, prima che per quelli degli altri; consapevolezza del fatto che se siamo nel numero dei fedeli di Cristo e non dei suoi nemici, non è per merito nostro ma per somma degnazione del Signore; più ancora, consapevolezza del fatto che ‘a chi più è stato dato, molto di più sarà chiesto’ (Lc 12, 48), quindi la tentazione di sentirsi migliori degli altri sarebbe sciocca e pericolosa.

Di tutto questo abbiamo meravigliosa sintesi, espressa in preghiera dal santo Papa Pio XI nell’Atto di Riparazione al Sacro Cuore di Gesù: «O Gesù dolcissimo, il cui immenso amore per gli uomini viene con tanta ingratitudine ripagato di oblio, di trascuratezza e di disprezzo, ecco che noi, prostrati innanzi a te intendiamo riparare … Memori, però, che noi pure, molte volte ci siamo macchiati di tanta indegnità, imploriamo anzitutto per noi la tua misericordia …».

Precisato questo e tolto di mezzo il presunto pericolo di qualunque atteggiamento altezzoso, resta il fatto, ampiamente documentato dalla Scrittura e dalla Tradizione, del valore centrale della spiritualità della riparazione. Ecco qualche esempio.

Il Signore Gesù, agonizzante nel giardino degli ulivi, chiede ai tre apostoli, appositamente scelti, di vegliare con lui, cioè di offrirgli compagnia e conforto mentre egli si carica dell’immenso fardello dei peccati dell’intera umanità per portarli, da lì a poche ore, sul calvario e inchiodarli alla croce insieme a quella natura umana assunta nell’incarnazione.

San Paolo si propone a modello per i cristiani di ogni tempo, quando afferma di offrire le proprie sofferenze per completare nella sua carne ciò che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo, che è la Chiesa (cf Col 1, 24).

In coerenza con l’insegnamento e l’esempio del divino Maestro e dei suoi apostoli, tutta la storia cristiana di questi duemila anni è segnata dall’esperienza di santi famosi o sconosciuti che hanno offerto preghiere e penitenze, e persino la propria vita, per riparare il male morale che ci inonda e a causa del quale, per quanto dipende dall’uomo, satana, e non Cristo, è il principe di questo mondo.

Non possiamo comunque non citare esplicitamente due interventi soprannaturali nei quali il cielo stesso chiede riparazione. Nel giugno del 1675, il Signore, Gesù apparendo a santa Margherita Maria Alacocque, si mostra con il petto squarciato e le dice: «Ecco il Cuore che ha tanto amato gli uomini … e per contraccambio ricevo dalla maggior parte irriverenze e sacrilegi … almeno tu dammi il piacere di supplire alla loro ingratitudine tanto quanto ne sarai capace».

L’angelo del Portogallo che appare varie volte ai tre piccoli veggenti di Fatima prima che inizino le note visioni mariane del 1917, insegna loro questa preghiera, con la raccomandazione che la recitino più spesso possibile: «Mio Dio io credo, adoro, spero e vi amo. Vi chiedo perdono per quelli che non credono, non adorano, non sperano e non vi amano … santissima Trinità, io vi adoro profondamente e vi offro il preziosissimo Corpo, Sangue, Anima e Divinità del nostro Signore Gesù Cristo … in riparazione degli oltraggi, sacrilegi e indifferenze con cui Egli è offeso». Nella apparizione del 13 luglio la Vergine raccomanda ai veggenti: «Offrite sacrifici per i peccatori e dite: o Gesù, per amore vostro, per la conversione dei peccatori e in riparazione dei peccati contro il Cuore immacolato di Maria».

Sollecitato da questi eventi, dieci anni dopo Fatima, il papa Pio XI dedica al tema della riparazione una specifica enciclica, la Miserentissimus Redemptor, in cui spiega come i cristiani, in virtù del sacerdozio battesimale, possono e devono unirsi all’unico atto espiatorio che è la croce di Cristo, conformandosi ad essa con l’offerta quotidiana della preghiera e delle sofferenze. Da allora più volte, sulla scorta di tali possenti indicazioni, il Magistero contemporaneo è tornato sul tema, mostrandone l’imperitura attualità.

È dunque urgente che i fedeli, ma ancora di più i Pastori, abbandonino la devastante conformazione alla mentalità del mondo che ci ha portato fuori strada in questi anni e si abbracci con chiarezza e decisione la via indicata dal Cielo.