Rilene, Paul e gli altri: storie di chi non si piega al diktat gay
Rilene, Daniel e Paul: sono le tre storie raccontate nel film-documentario Il desiderio delle colline eterne, prodotto da Courage International.
«Questo è il mio viaggio, nessun altro avrà la mia stessa vicenda quindi potete scegliere se credere o meno che le mie esperienze siano vere o valide. Però vi chiedo di tenere la mente aperta, prendere in considerazione che sia possibile, che si tratti di un’esperienza genuina e autentica e che sia possibile non solo per me». Rilene Simpson è una donna d’affari di successo californiana, per 25 anni convive con una donna, Margot, per 25 anni è convinta che la sua identità sia quella di essere “gay”, o meglio “lesbica”, eppure quando la donna con cui vive le chiede di sposarsi, si ferma e dice no. Sente la desolazione prendere uno spazio sempre più grande nella sua vita, sente il rimpianto della maternità mancata, si scopre dentro una vita che non le appartiene, capisce che è chiamata ad altro e, a 53 anni, lascia la sua compagna. «Il vivere da sola ha evidenziato come in realtà ero stata sola per tutta la durata della relazione e uscirne è stato come venir fuori dalla nebbia». Quella di Rilene è una delle tre storie raccontate nel film-documentario Il desiderio delle colline eterne, uscito nel 2015 negli Stati Uniti e prodotto da Courage International, apostolato che offre accompagnamento spirituale alle persone con attrazione per lo stesso e l’accompagnamento sulla via della castità, cui ogni cristiano è chiamato.
Il film, doppiato in italiano dalla Sine sole cinema, casa di produzione cinematografica di Gorizia, nelle ultime settimane è stato presentato a Roma, Mantova, Castel Gandolfo (Roma), Angri (SA) e stasera sarà presentato alle 20.15 al Centro Culturale Rosetum di Milano in una incontro che vedrà la partecipazione di un altro dei protagonisti del film documentario, Daniel Mattson, autore del libro Perché non mi definisco gay – Come ho recuperato la mia identità sessuale e trovato la pace, edito da Cantagalli. Il volume è considerato il contraltare di quello del gesuita statunitense James Martin dal titolo Un ponte da costruire: una relazione nuova tra Chiesa e persone Lgbt, edito da Marcianum Press.
Se Martin, consulente per la comunicazione per la Santa Sede, sostiene che sia necessario che la Chiesa riconosca la cosiddetta comunità Lgbt e sviluppi una pastorale declinata sulle parole “gay”, “lesbica”, “transgender”, Mattson sostiene l’esatto opposto, ovvero che «per rispettare veramente qualcuno dobbiamo innanzitutto riconoscere la sua identità. È una questione di antropologia e per la Chiesa non c’è spazio per termini come “gay”, “lesbiche” o “transgender” che sono una riduzione della persona. Solo quello che è vero è autenticamente pastorale: e la verità è che noi siamo uomini e donne. Tutto il resto sono un falso rispetto, una falsa delicatezza e una falsa compassione».
Dopo aver incontrato oltre 800 persone nel tour Non mi definisco gay, Mattson, trombettista statunitense, stasera sarà nel capoluogo lombardo per ripercorrere le tappe della sua vita, dalla presa di coscienza di essere attratto dagli uomini alla relazione con Jason, dall’incontro con Kelly, la donna con cui crederà di aver trovato finalmente il suo posto nel mondo, alla doccia fredda di scoprire che questa donna non voleva figli, e poi la rabbia verso Dio, il ritorno alla Chiesa cattolica, il recupero dell’identità sessuale, la castità e la fratellanza in Cristo: «Oggi so che due uomini non sono fatti per stare insieme: se si vogliono veramente bene devono smettere di fare sesso, perché il vero amore per l’altro è l’amicizia nella fratellanza, non l’atto omoerotico».
Anche per Paul Darrow c’è un prima e un dopo. Ex modello a New York, ha alle sue spalle una vita fatta di ricerca spasmodica di incontri sessuali, dozzine, forse centinaia di partner diversi. La sua è la terza storia raccontata nel documentario di Courage. Per lui la svolta giunge dopo un periodo drammatico in cui scampa al pericolo dell’Aids, che causerà la morte di molti suoi amici, e si concretizza durante un distratto zapping. All’improvviso appare in tv una religiosa, la trova così bizzarra da chiamare il suo convivente di allora: «Jeff arriva e io sto ridendo beffardamente di fronte a questa suora con una benda sull’occhio, una faccia storta e un abito completamente fuori moda. L’abbiamo entrambi presa in giro».
Quella non è una suora qualunque, ma Madre Angelica, fondatrice di Ewtn, il più grande network televisivo cattolico al mondo, la religiosa aveva appena avuto un ictus che aveva lasciato segni evidenti sul suo viso ma non aveva intaccato il suo vibrante carisma. Bastano pochi secondi e Paul ne viene rapito: «Disse qualcosa di così intelligente, così reale e così onesto che mi colpì davvero, disse “Vedi Dio ha creato me e te per essere felici, in questa vita e nella prossima”». Come fosse qualcosa di proibito Paul inizia a guardare Ewtn di nascosto: «Mi vergognavo di guardare una suora in tv, non volevo che Jeff si accorgesse».
Pian piano, quella che aveva preso in giro chiamandola “suora pirata”, gli fa sentire nostalgia di Dio: «Quando sono entrato nel confessionale era così spaventoso e insolito per me, così opposto a tutto ciò che avevo vissuto per decine di anni che non riuscivo ad iniziare, non sapevo nominare i numerosi peccati che ho commesso per decenni, e non sto parlando di sensi di colpa per la mia omosessualità ma di cosa il mio stile di vita mi aveva fatto diventare, totalmente ripiegato su me stesso. Per farla breve ho detto: “Padre ho violato tutti e dieci i comandamenti”, l’ho detto senza nemmeno ricordarli bene. “Incluso l’omicidio?” mi ha risposto, “No padre, tutti tranne l’omicidio” … quel sacerdote è stato così delicato quando mi ha detto che solo Dio poteva avermi portato indietro».
Quelle di Paul, Daniel e Rilene sono voci coraggiose e controcorrente poiché viviamo in un momento storico in cui un potere ideologico cerca di silenziare o censurare qualunque posizione non sia di piena accettazione del comportamento omoerotico come totalmente equivalente all’unione di un uomo con una donna. Viviamo in un momento in cui impera l’ideologia gender che confonde e mistifica, e la confusione penetra anche nella Chiesa.
Scrive il cardinal Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino, nella prefazione al libro di Daniel Mattson: «Il rispetto e la delicatezza a cui il Catechismo giustamente ci richiama, non ci autorizza a privare l’uomo e la donna che sperimentano attrazione per lo stesso sesso della pienezza del Vangelo. Omettere il “linguaggio duro” (Gv 6,60) di Cristo e della sua Chiesa non è carità. Questo atteggiamento rende invero un cattivo servizio al Signore e a coloro che, creati a Sua immagine e somiglianza, sono redenti dal Suo preziosissimo sangue. Non possiamo pretendere di essere più compassionevoli e misericordiosi di Gesù, che ha detto alla donna sorpresa in adulterio due messaggi egualmente importanti: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11). Le persone che provano tendenze omosessuali “sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione” (CCC 2358). Sono “chiamate alla castità”, e le umiliamo se pensiamo che non possano raggiungere questa virtù, che è una virtù per tutti i discepoli. Come tutti i membri della Chiesa, “possono e devono gradatamente e risolutamente avvicinarsi alla perfezione cristiana”, la vocazione di tutti i battezzati (CCC 2359).
Queste parole del Catechismo sono altrettanto preziose, perché esprimono un’autentica carità pastorale. Ci invitano, come membri del corpo di Cristo, ad accompagnare i nostri fratelli e sorelle che sperimentano attrazione per lo stesso sesso, mentre cercano di raggiungere la perfezione cristiana a cui il Signore chiama tutti i suoi figli. Gesù non ci chiede nulla che sia impossibile o per cui non ci offra la grazia necessaria.
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