Riforma dell'Alta Corte in Israele, la protesta cresce
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Partiti d'opposizione, studenti, religiosi e persino molti militari: cresce la protesta contro la riforma dell'Alta Corte in Israele, voluta dal governo Netanyahu. Chi è contrario l'accusa di ingerenza del governo, chi è a favore del contenimento dello strapotere dei magistrati. Intanto, gruppi ultra-ortodossi attaccano i cristiani, sempre di più.
È stata una telefonata «cordiale, determinata, ma costruttiva» quella di domenica scorsa, tra il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Il presidente americano ha ribadito con fermezza le richieste dell’America a non limitare i poteri dell’Alta Corte di giustizia con delle leggi che potrebbero portare gravi conseguenze per il popolo israeliano. A riferire di questo colloquio è un funzionario della Casa Bianca che ha anche aggiunto che Biden ha espresso pieno sostegno agli sforzi del presidente Isaac Herzog, impegnato a trovare un compromesso tra la coalizione che vuole adottare una linea dura e intransigente e quella dell'opposizione che chiede che i giudici dell’Alta Corte rimangano autonomi e indipendenti dalla politica.
Il funzionario americano ha aggiunto che Biden ha sottolineato la sua convinzione che i valori democratici sono sempre stati, e devono rimanere, un segno distintivo delle relazioni Usa-Israele. Le società democratiche, infatti, si rafforzano con controlli ed equilibri reali, mentre i cambiamenti fondamentali dovrebbero essere attuati con la più ampia base possibile di sostegno popolare. Dunque, non solo le proteste di piazza, anche l’Amministrazione americana chiede a Netanyahu di fermare la riforma della giustizia.
Ma ricostruiamo i fatti. Sin dai primi giorni del dicembre scorso, il nuovo esecutivo guidato da Benjamin Netanyahu ha avviato nell’aula della Knesset la discussione di una proposta di legge di riforma della giustizia, definita una priorità per il governo. A presentare il progetto è stato il ministro della Giustizia, Yariv Levin, suscitando critiche molto aspre da parte dell’opposizione e da vari settori della società civile. Ma per il partito del Likud e per i suoi alleati nell’esecutivo – e in particolare per la formazione di estrema destra, Sionismo religioso – il tema è stato uno dei punti di forza della campagna elettorale.
Va fatta una premessa: lo Stato di Israele non ha una costituzione, ha solamente delle leggi che possono essere considerate dei pilastri che si richiamano alla Dichiarazione di Indipendenza del 14 maggio del 1948. Queste norme determinano i rapporti tra i poteri dello Stato, regolamentano la protezione dei diritti civili e delle minoranze, ma accade che i provvedimenti approvati dalla Knesset, che contraddicono queste leggi, vengano bloccati o rinviati all’assemblea parlamentare. È il caso della nomina di Aryeh Deri, leader del partito Shas, che rappresenta essenzialmente gli ebrei ultraortodossi, nominato ministro da Netanyahu, nonostante avesse patteggiato una condanna per evasione fiscale, in cambio della promessa di ritirarsi dalla vita pubblica.
In sostanza, le decisioni dell’Alta Corte non sono accettate dai partiti che attualmente sono al governo, in particolare vengono contestate dai coloni che vedono nei giudici un ostacolo ai piani di annessione della Cisgiordania, dei territori palestinesi occupati dopo la guerra del 1967 e che dovrebbero costituire, invece, un futuro Stato palestinese. Va anche sottolineato che il premier Netanyahu ha ribadito, in più di un’occasione, che il processo contro di lui per corruzione è un golpe per rimuoverlo, da qui la proposta che delibere, nomine e promozioni dei giudici siano decise dall’esecutivo.
Sono proprio questi progetti di riforma che hanno portato nelle piazze di molte città israeliane un gran numero di manifestanti che protestava contro l’iniziativa governativa. I dimostranti sostengono che la riforma è un pericolo per la democrazia israeliana, perché di fatto elimina ogni contrappeso al potere del governo in carica. L’esecutivo e i suoi sostenitori, invece, pensano che si tratti di un ribilanciamento dei poteri dello Stato, visto che negli ultimi decenni, il potere giudiziario è diventato troppo forte. È da molte settimane che i contestatori occupano le piazze invitando il governo a ritirare la proposta di legge. Con loro anche elettori di destra, religiosi, giovani e tantissime donne. Ma anche militari. Centinaia di soldati, riservisti d'élite delle forze di difesa israeliane, hanno interrotto il loro servizio di volontariato, come segno di disaccordo nei confronti del governo. Il ministro della Difesa, Aluf Yoav Galant, è molto preoccupato di questa esposizione dei militari di vario grado, e nel corso di un colloquio con il primo ministro ha affermato che se la situazione dovesse proseguire sarebbe costretto alle dimissioni, non potendo più garantire il controllo e la difesa della nazione da eventuali attacchi esterni.
Nonostante ciò, il governo guidato da Benjamin Netanyahu prosegue inflessibile nel cammino di riforma. Infatti, nel corso della seduta della Knesset, di lunedì 20 marzo, i rappresentanti del Likud hanno votato, con un'ampia maggioranza, per il disegno di legge proposto dal governo.
Nel frattempo, in questo clima di tensione politica, estremisti di religione ebraica proseguono nelle loro scorribande, compiendo atti vandalici sia nei villaggi palestinesi, sia nei luoghi di culto cristiani. È di domenica scorsa l'ultimo episodio, accaduto questa volta, contro la chiesa ortodossa della Tomba di Maria al Getsemani. Due estremisti israeliani, armati di spranga, sono entrati nella chiesa tentando di colpire il vescovo che stava celebrando la funzione religiosa e due sacerdoti che l’assistevano, deturpando quanto capitava loro a tiro. Fortunatamente alcuni fedeli presenti sono riusciti a bloccare i due. Ma tre giorni prima, il 16 marzo, ignoti hanno esploso dei colpi di arma da fuoco contro un convento e una scuola di suore francescane a Nazaret. Il vescovo Rafic Nahara, vicario patriarcale latino. non ha potuto fare altro che trasmettere una lettera di protesta al Ministero dell’Educazione israeliano e ai responsabili di altri ministeri. Nel frattempo, tra i cristiani aumenta la preoccupazione per questi atti intimidatori portati avanti con disinvoltura dagli ebrei ultraortodossi, in un crescendo senza precedenti.