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Riforma della Rai, la Lega propone di abolire il canone

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La Lega ha presentato la sua proposta di riforma della Rai, a partire dalla misura più rivoluzionaria: l'abolizione del canone, una delle tasse più odiate che il Carroccio definisce "anacronistico". Tanti altri nodi da sciogliere, soprattutto il rapporto con gli utenti. E la creazione di canali veramente culturali.

Politica 01_04_2023
La sede Rai di viale Mazzini

Come sempre accaduto dopo un cambio di maggioranza, anche questa volta si profilano ribaltoni in Rai con la sostituzione di vertici e direttori di rete e di Tg. Un rito che non salta mai un turno e che nessun governo rinuncia a praticare perché consente di poter addomesticare il servizio pubblico e di orientarne la programmazione e i contenuti informativi in funzione dei propri interessi propagandistici.

A prescindere da quanto accadrà nelle prossime settimane, rimane all’ordine del giorno la riforma del servizio pubblico radiotelevisivo, della quale tutti parlano ma che alla prova dei fatti nessun partito dimostra di volere veramente.

Due giorni fa la Lega ha quanto meno provato a ricordare a tutti che c’è una Rai pagata da tutti i cittadini ma piegata alle logiche di potere di chi vince le elezioni. Il Carroccio ha presentato in Senato un disegno di legge dal titolo “Modifiche al testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici in materia di servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, riduzione e abolizione del canone di abbonamento e disciplina della società concessionaria del servizio pubblico”. La proposta vuole cambiare il volto della Rai a partire dalla progressiva abolizione del canone, una delle imposte più odiate dai cittadini, ora costretti a versarla perché inserita nella bolletta elettrica, ma prima molto boicottata. 

Il canone ha un importo annuo di 90 euro e viene pagato tramite dieci rate mensili, da gennaio a ottobre. La proposta della Lega prevede una progressiva riduzione del suo importo, con un taglio a cadenza annuale del 20% fino al suo totale azzeramento entro cinque anni. 

Oggi la battaglia condotta dalla Lega, come si legge nella proposta di legge, si basa sul fatto che il canone risulta "anacronistico e ingiusto, in quanto è dovuto per la semplice detenzione di apparecchi atti o adattabili a ricevere un segnale". Sempre a proposito del canone viene confermato che "laddove sussista ancora oggi l'impossibilità di accesso alla rete o l'impossibilità di fruizione del servizio da parte degli utenti per motivi estranei alla propria volontà, il pagamento del canone di abbonamento non è dovuto". 

Nel 2018 fu Matteo Renzi ad annunciare la possibile abolizione del canone e la sua sostituzione con risorse della fiscalità generale e con l’innalzamento dei tetti della raccolta pubblicitaria. Tuttavia il centrodestra si disse contrario perché Silvio Berlusconi temeva i contraccolpi su Mediaset di un provvedimento simile, che costringerebbe la Rai a finanziarsi esclusivamente attraverso la raccolta pubblicitaria, proprio come fa ora Mediaset, il che creerebbe una concorrenza ancora più aspra rispetto a quella attuale.

Ma il canone non è l’unico nodo da sciogliere. C’è un tema gigantesco di governance e di rapporto con gli utenti. Renzi, nel 2015, quando era premier, fece approvare dal Parlamento la legge n.220 di riforma della Rai, tuttora in vigore, che ha istituito l'Amministratore delegato nominato dal Cda, ha introdotto la figura del presidente di garanzia e alcuni obblighi di trasparenza. Quella riforma ha conferito un’impronta un po’ più manageriale all’azienda di viale Mazzini, ma non ha in alcun modo scalfito la sottomissione della tv pubblica ai giochi di palazzo, anzi ne ha accresciuto la dipendenza dal potere esecutivo, soprattutto con riferimento al meccanismo delle nomine.

Numerose sono state poi le proposte di legge che però non si sono mai concretizzate in nuove riforme. Solo nel 2022 sono state discusse al Senato ben otto proposte tutte orientate a superare l’attuale legge. Le diverse iniziative parlamentari puntavano sul superamento di questo gap normativo per andare verso la definizione di un organo terzo (una Fondazione) in grado di garantire indipendenza e autonomia dalla politica. Nessuna si è poi realizzata concretamente perché i partiti, sia di governo che di opposizione, non hanno alcun interesse a cambiare lo status quo, vale a dire un meccanismo che consente a tutti di avere spazio sulla base del meccanismo di lottizzazione delle poltrone e degli spazi.

Nella nuova proposta di riforma della Lega vengono ridefiniti i ruoli del servizio pubblico perché "il servizio radiofonico, televisivo e multimediale è un servizio pubblico indispensabile per mantenere e affermare i valori culturali e sociali e difendere, al contempo, le identità locali". La Lega chiede "un'informazione fruibile e condivisibile, offerta tramite televisione, radio e altri dispositivi multimediali, diffusa attraverso le diverse piattaforme e che risponda, prioritariamente, ai compiti di libertà, completezza, obiettività e pluralismo dell'informazione, nonché di valorizzazione delle identità locali e delle minoranze linguistiche". 

Nella bozza è stata inserita anche l'idea di un nuovo canale interamente dedicato alla trasmissione di programmi e rubriche di promozione culturale, nel quale non possono essere trasmessi spot. La governance viene modificata: “Si prevede innanzitutto un’estensione della durata temporale della concessione fino a dodici anni per dare continuità e certezza. Con lo stesso spirito si estende a cinque anni il mandato dei membri del consiglio di amministrazione e si prevede che non possano ricoprire tale incarico per più di due mandati consecutivi. Si prevedono 7 membri del Consiglio d’amministrazione: il presidente e l’amministratore delegato, nominati con decreto del Presidente della Repubblica, 4 membri eletti dalla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e uno designato dall’assemblea dei dipendenti della Rai”. Infine, i leghisti puntano a un contenimento dei costi e di garanzia sulle responsabilità editoriali. La loro proposta prevede che non si possa esternalizzare più del 30 per cento delle produzioni, organizzazioni e realizzazioni di trasmissioni.

Rimane scoperto però il fronte del rapporto con il pubblico, che invece la Bbc e gli altri broadcaster del servizio pubblico europeo coltivano con sistematicità mediante strumenti di coinvolgimento degli utenti. Le tecnologie in questo senso potrebbero favorire il dialogo costante finalizzato a sintonizzare sempre meglio la programmazione con le aspettative delle diverse fasce di popolazione. Sarebbe questo il vero pluralismo: un servizio pubblico che punti ad essere specchio della complessità della società, senza ideologie dominanti né “occupazioni militari” da parte della politica ma con lo sguardo rivolto all’innovazione e alla persona nella sua profondità. Ci arriveremo mai?