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PREMIO CARLO MAGNO

«Rifondare l'Europa», il programma di Francesco

Il discorso sull'Europa di papa Francesco legge quel diffuso bisogno di un nuovo inizio dell'Europa, che rischia di andare in frantumi davanti a crisi economica e pressione degli immigrati. Si tratta di un intervento molto pragmatico che lascia sullo sfondo il tema delle radici cristiane dell'Europa, molto caro invece ai suoi predecessori.
- Papa Francesco "striglia" l'Europa, di L. Bertocchi

Ecclesia 07_05_2016
Papa Francesco riceve premio Carlo Magno

Prima la crisi economica, ora anche la pressione degli immigrati rischiano di mandare in pezzi la costruzione europea. È un dato di fatto, è probabilmente la sfida più grave che l’Unione si trova ad affrontare a più di 60 anni dai primi passi per l’integrazione continentale. Davanti alle pressioni interne ed esterne, i Paesi membri dell’Unione Europea si rinfacciano l’un l’altro le responsabilità e fanno valere la logica dei confini. Il caso del Brennero con lo scontro Austria-Italia è solo l’ultimo episodio in ordine di tempo, ma se il 23 giugno in Gran Bretagna nel referendum voluto dal governo prevalessero i sì all’uscita dall’Europa, sarebbe ben difficile evitare di affrontare apertamente la crisi in corso.

Non stupisce dunque che da più parti dentro e fuori le istituzioni europee si avverta la necessità di una “rifondazione” dell’Europa, un nuovo inizio. È in questo quadro che si inserisce la decisione di assegnare a papa Francesco il Premio Internazionale Carlo Magno, che dal 1950 la città di Aquisgrana consegna ogni anno a personalità – europee e non – che si distinguono per l’impegno a favore dell’unità e dell’integrazione dell’Europa. Ed è in questo quadro che va letto il discorso pronunciato ieri 6 maggio da papa Francesco nella cerimonia di consegna del premio svoltasi in Vaticano, alla presenza dei principali rappresentanti delle istituzioni europee (clicca qui).

La strada indicata da papa Francesco è quella di «un nuovo umanesimo europeo», un aggiornamento dell’idea di Europa, basato su tre capacità: di integrare, di dialogare, di generare. In questo processo, il Papa vede come essenziale il fattore economico, ovvero il passaggio verso una «economia sociale» che punti soprattutto a creare posti di lavoro e un futuro per i giovani. È un discorso, se così si può dire, “politico” e i nove “sogni” che il Papa ha elencato alla fine del suo intervento – centrati attorno alla dignità delle persone più deboli e vulnerabili – dovrebbero appunto costituire i riferimenti morali di questo cammino di rifondazione.

Difficile però non notare una novità essenziale in questo discorso, che non solo marca una differenza dagli interventi dei suoi predecessori Giovanni Paolo II e Benedetto XVI che all’Europa hanno dedicato un’ampia riflessione, ma anche dal suo discorso al Parlamento Europeo il 25 novembre 2014 (clicca qui).

La questione principale riguarda la radice profonda della crisi attuale, una crisi di identità, su cui però papa Francesco non intende indagare, privilegiando invece il “modo” in cui uscirne, gli atteggiamenti: coraggio, generosità, solidarietà, memoria, utopia. L'origine dell'identità europea, la fonte da cui dovrebbero uscire le tre capacità di cui sopra, rimane sullo sfondo, affidata al ricordo del suo intervento al Parlamento europeo di un anno e mezzo fa; le radici cristiane sono appena sfiorate in riferimento al compito della Chiesa.

È qui notevole la differenza con i suoi predecessori che – anche per il fatto di aver regnato al tempo del dibattito sulla Costituzione europea – sul tema della necessità del recupero delle radici cristiane hanno speso molte energie. Un tema che peraltro era ben presente anche nel citato discorso al Parlamento Europeo del 2014, tutto improntato al rispetto della «dignità trascendente della persona umana». E non pare essere solo questione di accentuazioni. Sull’incontro di popoli e culture di cui storicamente l’Europa è protagonista si nota una diversa chiave di lettura anche per il presente.

Papa Francesco descrive una integrazione tra culture fondata sul dialogo e sul compromesso: «Le radici dei nostri popoli – ha detto -, le radici dell’Europa si andarono consolidando nel corso della sua storia imparando a integrare in sintesi sempre nuove le culture più diverse e senza apparente legame tra loro. L’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale». Questo è ciò che il Papa immagina debba essere il metodo anche oggi che è in atto quella che egli stesso ha recentemente definito «un’invasione». L’Europa sarebbe dunque chiamata a una sintesi tra la cultura dei popoli che attualmente la abitano e quanti stanno arrivando.

Diversa era la preoccupazione di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che affrontavano direttamente il vero dramma dell’Europa, che consiste nell’apostasia, nel ripudio delle sue radici cristiane: «Se l’Europa vuole essere – diceva nel 2003 papa Wojtyla – un insieme conciliato di uomini e popoli, con rispetto profondo e benevolenza duratura, Cristo deve animare questo continente». E ancora, nel discorso all’ambasciatore della Repubblica Federale di Germania, nel 2002: «L’Europa non sarebbe tale senza il ricco patrimonio dei suoi popoli che, similmente ai geni umani, ha plasmato e continua a forgiare la personalità di questo continente. Trascurare oppure abbandonare questa “eredità” significherebbe mettere a repentaglio la propria identità e infine perderla… Un fattore qualificante dell’identità di questo continente è la Chiesa fondata da Gesù Cristo». E poi, nell’Angelus del 13 luglio 2003: «Come soddisfare il profondo anelito di speranza dell’Europa? Occorre ritornare a Cristo e ripartire da Lui».

Per il cardinale Ratzinger, poi Benedetto XVI, il vero dramma dell’Europa consiste proprio nell’ostinazione a voler cancellare Dio dall’orizzonte: «Il tentativo – diceva nel famoso discorso di Subiaco del 1° aprile 2005 -, portato all’estremo, di plasmare le cose umane facendo completamente a meno di Dio ci conduce sempre di più sull’orlo dell’abisso, verso l’accantonamento totale dell’uomo». Da qui la strada da intraprendere: «Dovremmo capovolgere l’assioma degli illuministi e dire: anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la sua vita (…) come se Dio ci fosse. (…) Così nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno e un criterio di cui hanno urgentemente bisogno».

Rilette oggi, queste parole, davanti ai fallimenti di una Unione Europea sempre più guidata da un laicismo soffocante, hanno il sapore della profezia. Possiamo oggi toccarlo con mano: non c'è infatti alcuna integrazione laddove non c'è un'identità chiara che, nel rispetto reciproco, accoglie e valorizza quanto di buono incontra. E sono anche parole che offrono l’orizzonte entro cui collocare adeguatamente anche le preoccupazioni di papa Francesco.