Rifare Schengen L'Ue non regge l'onda umana
La convenzione di Schengen venne siglata nel 1985 ed entrò in vigore dieci anni dopo, quando gli immigrati non autorizzati erano ancora poche migliaia all'anno. E' stato poi integrato dall'accordo di Dublino sull'asilo politico. Al giorno d'oggi le loro regole paiono anacronistiche.
La convenzione di Schengen venne siglata nel 1985 ed entrò infine in vigore dieci anni dopo, nel 1995, quando le attuali migrazioni non autorizzate di massa verso l’Europa non erano nemmeno immaginabili. E tanto poco c’entra con le sorti dell’Unione Europea e del suo mercato comune che diversi Stati membri dell’Unione non ne fanno parte. Vi aderiscono degli Stati che non sono membri dell’Unione, come ad esempio la remota Islanda e dal 2008 anche la Svizzera. Non si capisce dunque perché mai anche Schengen si stia aggiungendo in questi giorni alla lista degli indecifrabili totem attorno a cui Renzi e altri leader europei danzano agitando asce di guerra.
In effetti non si tratta tanto di stare a discutere se il trattato di Schengen vada sospeso o no. Si tratta piuttosto di rinegoziarlo. E’ evidente che procedure e meccanismi che potevano funzionare quando gli immigranti non autorizzati erano poche migliaia all’anno non hanno più senso quando, come l’anno scorso, sono giunti a essere un milione. E lo stesso dicasi per il susseguente accordo di Dublino, che fissa l’obbligo dei Paesi di primo arrivo di verificare se il migrante non autorizzato abbia o meno titolo per chiedere asilo. Ci pare incomprensibile (per non dire di peggio) che l’Italia l’abbia a suo tempo firmato senza chiedere adeguato sostegno e garanzie a Bruxelles e al resto degli Stati membri dell’Unione. Era già comunque ovvio che gli immigranti non autorizzati di solito non scendono dal Circolo polare artico puntando verso la Scozia e la Finlandia, ma salgono dalla riva sud del Mediterraneo e dal Levante puntando verso l’Italia.
Senza stare a piangere sul latte versato dai precedenti governi diciamo tuttavia che a questo punto sarebbe meglio che l’attuale governo non perdesse altro tempo. Deve piuttosto porre adeguatamente in sede europea il problema: il che implica da un lato la rinegoziazione dei trattati di Schengen e di Dublino e dall’altro l’impegno dell’Unione Europea a darsi una politica comune volta alla pacificazione dei conflitti nei Paesi d’origine dei profughi. Le attuali migrazioni non autorizzate di massa verso l’Europa sono un fiume del quale quei conflitti costituiscono la fonte irrefrenabile. Se tale fonte non viene estinta o quantomeno affievolita, per alto che ne diventi il costo umano quel flusso purtroppo non si fermerà. C’è nel fenomeno qualcosa di drammaticamente “idraulico”: fermati da un parte i profughi prendono altre direzioni, ma né si fermano né tornano indietro. Che cinicamente la Turchia li raccolga per usarli a suo piacimento come strumento di pressione verso l’Ue è poi cosa che la Commissione Europea farebbe poi bene a non sopportare. Pagare la Turchia perché se li tenga è un grosso errore. Per quanti soldi le si daranno Ankara continuerà a farne passare quanti ne bastano per tenere aperta la trattativa e trarne ulteriore profitto.
Facciamo infine ancora una volta un’osservazione che dovrebbe essere ovvia, ma che ciononostante mai sembra affacciarsi alla mente di chi ci governa. Ci si continua a soffermare sull’ultima tappa dell’esodo, la tappa che si conclude con l’arrivo nel territorio dell’Unione Europea. Essa però è soltanto l’ultima di una serie, talvolta anche molto lunga. E’ una catena della quale occorre prendere in considerazione tutti gli anelli vedendo che cosa si può fare per tagliarli o in ogni caso per combattere in tutta la misura del possibile la corruzione e lo sfruttamento che li caratterizzano. Intervenire a pacificare i conflitti all’origine degli esodi; soccorrere frattanto chi è già in diaspora non solo nell’ultima tappa dell’esodo ma anche in quelle precedenti; rinegoziare gli accordi di Schengen e di Dublino per adeguarsi alla situazione attuale: sono questi a nostro avviso i pilastri di una politica seria al riguardo. Ci sarà a Roma e a Bruxelles qualcuno intenzionato a farla?