Ricordare Eluana, perché non si ripeta più
Il 9 febbraio del 2009, su richiesta del padre accolta dai giudici, veniva fatta morire in una clinica privata di Udine Eluana Englaro. A cinque anni di distanza ieri a Udine si è svolto un convegno con i principali protagonisti che in quell'occasione lottarono per salvare Eluana.
Il 9 febbraio del 2009, su richiesta del padre accolta dai giudici, veniva fatta morire in una clinica privata di Udine Eluana Englaro, dopo una lunga agonia provocata dall'interruzione di ogni sostegno vitale. A cinque anni da quel tragico evento, usato per introdurre l'eutanasia in Italia, ieri a Udine si è svolto un convegno con la presenza dei principali protagonisti che in quell'occasione lottarono per salvare Eluana.
“Noi non facciamo processi a nessuno, tanto meno però vogliamo essere processati. Come amministratore sono obbligato a mettere al centro dell’Istituzione che guido i valori intrinseci della persona, è un preciso impegno in linea con il mio programma con cui mi sono presentato e con cui sono stato eletto”: così ha esordito il Presidente della Provincia di Udine, Pietro Fontanini, in apertura del convegno organizzato da Palazzo Belgrado su ‘Eluana, 5 anni dopo: non dimenticare per costruire la cultura della vita’. Riferendosi direttamente alle polemiche sostenute a mezzo stampa dall’avvocato Spitaleri, consigliere provinciale del PD ed ex-presidente diocesano di Azione Cattolica, ha aggiunto: “Il nostro è un discorso propositivo. Mi rendo conto che l’opposizione provinciale non riesca a comprendere come si possa organizzare un convegno a costo zero quando i relatori vengono a parlare gratuitamente su argomenti etici”.
Polemiche a parte, Fontanini, che ha ricevuto questa mattina la telefonata dell’arcivescovo Andrea Bruno Mazzocato (“Il vescovo mi ha detto di riferirvi che è con noi su questi temi e ha espresso la sua vicinanza”), ha rievocato la sua battaglia intrapresa cinque anni fa: “Avevo auspicato che Udine non diventasse luogo del fine vita di Eluana. Non capivo l’accanimento del padre di voler portare a tutti i costi la figlia a Udine, nelle nostre strutture sanitarie. Avevo chiesto che il nostro Friuli non diventasse città della morte”. Fontanini respinge qualsiasi iniziativa legislativa che si arroghi il diritto di decidere sui valori ultimi delle persone: “Una posizione irricevibile, visto che c’è qualcosa che viene prima delle leggi e prima delle istituzioni”.
Obiettivo del convegno è stato anche quello di portare all’attenzione dell’opinione pubblica le testimonianze di tante famiglie, attraverso la voce delle associazioni dei familiari (“Amici di Ale”, “Oltre per Rivivere” e “Amici di Traumatizzati Cranici”) che hanno al proprio interno casi come quello di Eluana e che in Friuli danno una risposta diversa rispetto a quella che è stata data ad Eluana. Cioè famiglie che assistono e aiutano. “Non ci sono solo l’abbandono terapeutico e l’eutanasia, ma la possibilità di dare a queste persone aiuto e accompagnamento. Non vorrei vivere in uno Stato che mi dice quando devo vivere o quando devo morire”.
Dal canto suo il parlamentare e neurologo Gian Luigi Gigli ha ribadito con forza un triplice no: no all’accanimento terapeutico, no all’abbandono terapeutico, no all’eutanasia. “A distanza di cinque anni dalla morte di Eluana – ha asserito –, mentre restano le lacerazioni vissute, le forzature del diritto e della corretta amministrazione che sono state operate e le vicende giudiziarie con cui hanno tentato di intimidirci, è necessario soprattutto interrogarci sulle domande che queste persone in stato vegetativo ci pongono, anche alla luce di ciò che la scienza ci ha ormai abbondantemente dimostrato e cioè che almeno in alcuni è possibile rilevare una coscienza sommersa e addirittura una capacità di comunicazione nascosta. Non si tratta di malati terminali, né di vegetali, ma di persone umane affette da una disabilità gravissima e stabili nella loro condizione se non le si lascia morire privandole di ciò di cui ogni uomo ha bisogno. Nessuna disabilità può scalfire la dignità della persona”. L’On. Gigli ha anche ricordato l’importante accordo Stato-Regioni pubblicato in G.U. il 5 maggio 2011, che delinea un preciso percorso per l’appropriatezza e la continuità delle cure a questi pazienti, nello spirito di una cultura solidaristica e di un’attenzione alle condizioni di estrema fragilità. Il parlamentare ha invitato le associazioni a monitorare l’applicazione di questo Accordo, pungolando le Istituzioni a dare ad esso piena attuazione.
Sia Fontanini sia Gigli hanno bollato come strumentali ed ideologiche le iniziative di registri per la raccolta delle decisioni di fine-vita, rilevando come, in assenza di una decisione legislativa sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT), simili iniziative sono soltanto forzature a fini propagandistici: visto che non hanno alcun valore giuridico, “possono servire al massimo a qualche amministrazione – ha detto Gigli – per mettersi all’occhiello un fiore che fa tendenza”.
“Rifarei tutto quello che ho fatto”, ha esordito padre Cristiano Cavedon, già priore per nove anni della Basilica delle Grazie, nel cui territorio parrocchiale aveva sede la struttura della Quiete in cui la vita di Eluana ebbe termine, finito anche lui nel mirino con una denuncia per alcune affermazioni attribuitegli: “Mi risulta di essere stato l’unico sacerdote ad essere stato denunciato per il caso Eluana… alla fine quella denuncia è stata ritirata e mi è dispiaciuto, l’ho detto al mio avvocato d’ufficio: sì, avrei voluto eccome raccontare in Tribunale come si comporta la coscienza, avrei difeso i miei valori, mi sarei sentito un po’ come i cristiani antichi quando dovevano giustificare la loro fede di fronte ai tribunali romani... non volevamo strumentalizzazioni di sorta, le nostre iniziative di 5 anni fa erano esclusivamente di carattere religioso, pregavamo e accompagnavamo Eluana nel suo percorso. Purtroppo ci sono stati sindaci che hanno forzato norme e leggi, in alcuni casi inventandole, tanti cristiani non hanno fatto nulla, alcuni invece hanno ecceduto…Ci siamo dissociati dalle dimostrazioni fondamentaliste, ma anche dal modo di affrontare la questione da parte di alcuni mass media”. Cavedon chiede il rispetto per tutti, rispetto “che non può essere bypassato dicendo che la fede è un fatto privato. Adesso dobbiamo ripartire dalla coscienza. Il problema è che lo Stato laico non riconosce la coscienza religiosa, in quanto stiamo vivendo una situazione di integralismo laico”.
Toccante la testimonianza portata dal medico Claudio Simeoni, direttore sanitario della Villa San Giusto di Gorizia (10 posti tutti occupati e ben 7 persone in lista d’attesa) che ha raccontato delle sue esperienze con persone in stato di minima coscienza, come Eluana: “Seguendo queste persone in un certo modo, attraverso strutture altamente specializzate, si possono ottenere risultati. Dalla mia esperienza posso assicurare che sicuramente una forma di coscienza c’è: sguardi, accenni al saluto, minime forme di interazioni che esistono e di cui io sono testimone”. E sull’onda delle testimonianze dirette hanno portato il loro contributo anche il presidente dell’associazione “Amici di Ale”, Giancarlo Pivetta, e Paolo Pascoli, familiare dell’associazione “Amici dei traumatizzati cranici” che hanno ribadito come la vita sia un bene indisponibile e come sia possibile vivere una vita di relazione con questi pazienti, ricevendone grandi doni pur nella fatica che richiede il loro accudimento. Nadia Scotti, presidente di “Oltre per Rivevere” ha lamentato in modo vibrante i ritardi delle istituzioni socio-sanitarie, a danno soprattutto dei pazienti le cui famiglie non sono più in grado prestare assistenza.
Al convegno è intervenuto anche il responsabile della Pastorale della Cultura dell’Arcidiocesi di Udine, don Alessio Geretti, che alla richiesta di silenzio formulata da Beppino Englaro, nel giorno della morte di Eluana, ha risposto che “per il padre vanno tutto il rispetto e la comprensione, ma trovo singolare che di Eluana si parli tutto l’anno per prenderla come vessillo per la battaglia sul cosiddetto testamento biologico e il diritto di disporre con autodeterminazione illimitata della propria vita e morte, e poi una volta l’anno non ci sia nemmeno la possibilità di far ascoltare una parola differente. Noi non parliamo di Eluana, che parla con Dio, ma di tutte le persone che potrebbero trovarsi nella situazione, sapendo che hanno bisogno di un supplemento di cura e non di abbandono, e di un supplemento di moralità e umanità più che di normative. C’è la necessità di usare bene la ragione, in questa materia, non c’è bisogno di ricorrere alla fede. Non esistono esseri umani che non siano persone – ha concluso - ; se viene meno questo riferimento si apre la porta a qualsiasi genere di aberrazione”.
In chiusura Gigli ha voluto riassumere il senso della giornata, affermando che “è la scienza, prima che l’etica o la fede, a indicare che ai pazienti con gravi disturbi di coscienza occorre riconoscere la piena dignità di persone umane. Contrariamente a quanto sostenuto dalla disinformazione corrente, esse – superata la fase acuta - richiedono livelli di assistenza molto bassi ed è diritto e dovere delle associazioni dei familiari chiedere che la società assicuri loro rispetto e aiuto. Esse, come tutti i disabili, ci interrogano sul valore della nostra natura, sul senso della vita e sulla qualità della nostra convivenza. Esse ci educano a essere migliori, a relazionarci in modo diverso e a rispettarci reciprocamente, a fondare una società più umana. Costituiscono pertanto un valore per la comunità intera. E’ per questo che l’autodeterminazione (inaccettabile se esercitata per conto terzi, interpretandone il volere) non può comunque essere più sacra della vita stessa. La vita di ognuno, infatti, anche per chi non crede che sia il dono di Dio, è comunque un bene di tutta la comunità e la stessa Costituzione ne riconosce il valore sociale”.