Rich Gannon, l’ex stella della Nfl che prega il Rosario
Il miglior giocatore della National Football League nel 2002, oggi commentatore in tv, testimonia in un’intervista con il Register il valore della fede nella sua vita. Sposato e padre, devoto di Fulton Sheen, è convinto che «se ci interessa davvero il Paradiso per noi stessi e per gli altri», dobbiamo condividere la fede in Gesù per annunciare a tutti «come arrivarci».
Per quattro anni consecutivi è stato selezionato per il Pro Bowl (equivalente all’All-Star Game della NBA), nel 2002 è stato scelto quale miglior giocatore dell’intera NFL (National Football League), con una stagione da 4.689 yard superate con i suoi passaggi, che hanno condotto gli Oakland Raiders al XXXVII Super Bowl, poi perso contro i Tampa Bay Buccaneers.
Parliamo di Rich Gannon, quarterback ritiratosi nel 2005, a quarant’anni non ancora compiuti, e oggi commentatore televisivo per la CBS. Cattolico, sposato e con due figlie, Gannon ha rilasciato un’estesa intervista al National Catholic Register, in cui testimonia il valore della fede nella sua vita.
Se Gannon è riuscito a rimanere con i piedi per terra nonostante i diversi successi personali, è innanzitutto grazie all’educazione ricevuta in famiglia e all’esempio del padre, molto devoto, che ha insegnato a Rich e ai suoi cinque fratelli che il vero obiettivo, nell’esistenza di ognuno, deve essere il Paradiso. Alla domanda del giornalista Trent Beattie (autore di un libro, Fit for Heaven, con interviste ad atleti e allenatori cattolici) sull’importanza di avere uomini che crescano i propri figli nella fede, Gannon ha risposto che «questo è un argomento enorme. Da bambino, andavamo sicuramente a Messa ogni settimana» e anche la frequenza della Confessione era quasi settimanale. «Questo perché nostro padre ha aperto la strada. Sapeva che avevamo bisogno di una struttura e di una relazione continua con Dio…». Alla luce di ciò, «la partecipazione alla vita sacramentale della Chiesa non era vista come un optional, ma vitale».
Accanto all’urgenza di riscoprire l’imprescindibilità della Messa, Gannon sottolinea come la preghiera sia nutrimento per lo spirito. Una devozione, in particolare, gli è cara: «Negli anni passati pregavo il Rosario di tanto in tanto, ma all’inizio del 2020 ho iniziato a recitarlo ogni mattina. È una devozione […] che può essere pregata ovunque da chiunque. Trovo che pregarlo [il Rosario] durante una passeggiata mi aiuti a pensare meglio lungo la giornata».
Come direbbero i santi (vedi il Montfort), Gannon ricorda che la Madonna è «la via più veloce» verso Gesù. E proprio l’esempio dei migliori amici di Dio ha influito sul cammino dell’oggi commentatore televisivo, che spiega al Register come da bambino ascoltasse un arcivescovo che ha evangelizzato milioni di americani attraverso radio e tv, il venerabile Fulton Sheen, «ma non ero totalmente d’accordo con quello che diceva», almeno non al punto da capire «l’importanza dei suoi insegnamenti». Invece, aggiunge l’ex quarterback, «adesso ascolto le registrazioni di Sheen e sono impressionato non solo dalla sua vasta conoscenza ma anche dalla sua capacità di esprimerla in modi così familiari agli ascoltatori».
Il boemo, naturalizzato statunitense, san Giovanni Nepomuceno Neumann, che nel XIX secolo fu vescovo di Filadelfia, città natale di Gannon, è un’altra figura che ha contribuito alla formazione di quest’ultimo, attraverso la sua eredità materiale e spirituale consistente in dozzine di chiese costruite, un innovativo sistema scolastico diocesano e la propagazione delle Quarantore a partire dalla locale chiesa di San Filippo Neri, dove - confida Rich - «sono cresciuto». A Filadelfia ci sono ancora testimoni diretti delle virtù di santa Caterina Drexel (†1955), anche lei nativa di quella città e nota per il suo apostolato tra i neri e gli indiani d’America. Dunque, pur nel secolarizzato clima odierno, Gannon ha potuto constatare fin dall’infanzia i frutti della fede in Gesù Cristo.
Significativo è anche quel che dice l’ex giocatore di football quando accenna alla scelta della figlia Danielle, al terzo anno di studi in medicina. Una scelta che «mi rende fiero, ma anche spaventato», vista l’enorme responsabilità che reca con sé e vista la forte corrente culturale contraria ai principi cristiani. «I medici possono fare un sacco di bene, ma, se non adeguatamente formati, possono fare un sacco di danni», osserva. In risposta a una domanda su iniziative di gruppi di professionisti cristiani che uniscono la cura del corpo a quella dell’anima, Gannon afferma di essere favorevole a qualunque cosa aiuti gli operatori sanitari «a svolgere bene il proprio lavoro, non solo da un punto di vista tecnico, ma anche etico». E aggiunge. «È ancora meglio quando i gruppi non si limitano al minimo indispensabile per prevenire danni, ma si dedicano a un appassionato servizio cattolico che vede il valore eterno di ogni vita, a prescindere da quanto piccola o malata possa essere».
Interessanti, oltre alle parole sulla funzione dell’arte e dell’architettura sacra (per cui rimandiamo il lettore all’intervista del Register), sono infine le riflessioni che Gannon fa a proposito di quel che ci han lasciato il virus e le relative chiusure del 2020. «Ho imparato, in un modo più profondo, che il timore del Signore è il principio della sapienza», afferma, citando la Sacra Bibbia (cfr. Proverbi 9, 10). Al di là delle «misure estreme prese in nome della salute pubblica», alcune delle quali «non erano necessarie», il campione di football nota che «il 2020 ci ha dato l’opportunità di stabilire se fossimo davvero in regola con Dio. Se adoravamo la musica, le sale da concerto sono state chiuse; se adoravamo lo sport, gli stadi sono stati chiusi; se adoravamo bere, i bar sono stati chiusi. Tutto quello a cui potevamo tenere di più, ci è stato portato via».
Non solo le cose terrene, ma «persino Dio ci è stato tolto, in un certo senso. A molte persone non è stato permesso di andare in chiesa», ricorda lui. Eppure, per quanto questo divieto sia un sintomo negativo, ha consentito di interrogarci sulle nostre mancanze nell’adorazione di Dio. «Il semplice fatto di presentarci a Messa non è sufficiente; dobbiamo farlo bene, e questo di solito non ci viene in mente quando la Messa è una routine ininterrotta». Lungi da un certo qualunquismo di fede che si è propagato al riguardo in questi mesi, Gannon va al cuore della questione: «La rottura della routine ci ha permesso di porci domande, addirittura se per esempio siamo in uno stato di grazia; quando è stata l’ultima volta che ci siamo confessati; i comandamenti di Dio ci interessano abbastanza da leggere il Catechismo o dal cercare di capire, attraverso altri libri o attraverso radio e tv cattoliche, come dovremmo ordinare le nostre vite?».
Il dramma di oggi è che proprio la Chiesa, dal clero ai laici, sta progressivamente venendo meno alla sua missione di evangelizzare. «I cattolici in generale devono fare molto meglio quando si tratta di condividere la fede. Protestanti e non-cristiani sono di solito molto più desiderosi di condividere ciò in cui credono. Noi, che siamo stati benedetti con la pienezza della fede, non dovremmo aver paura di fare lo stesso». Secondo Gannon, anche se non siamo tenuti a parlare sempre esplicitamente di fede, «non è un buon segno se alla fine di una data settimana non ne abbiamo detto nulla a nessuno». Anche perché abbiamo da annunciare la ricompensa eterna che è stata promessa da Gesù per chi ama Lui e la Sua Chiesa. «Se ci interessa davvero il Paradiso per noi stessi e per gli altri, diciamo alle persone come arrivarci». Perché tra tutti i passaggi da touchdown, quello per il Cielo è l’unico che assicura la gloria vera.