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L'ANNIVERSARIO

Retorica senza verità per i morti di Covid

Fredda cerimonia di commemorazione dei morti di Covid a un anno dal passaggio dei convogli militari di Bergamo. Un albero della memoria non riesce a sostituire il valore universale della croce, mentre servirebbe un'operazione verità sui decessi per onorare davvero le vittime e ammettere che molte di loro potevano essere salvate con cure tempestive mentre tanti conteggiati come morti di Covid sono morti di tutt'altro. 

Attualità 19_03_2021

La prima giornata di commemorazione delle vittime del covid si è svolta nell’indifferenza più completa. Alle quattro di pomeriggio, la notizia dell’evento di Bergamo, la città scelta da presidente del Consiglio Mario Draghi per presenziare, era già in fondo ai notiziari e prim’ancora che arrivasse il responso dell’Ema al vaccino Astrazeneca, tra le notizie dominavano i sedici membri del direttivo Pd scelti da Enrico Letta.

Cerimonia strana, fredda e strana, quella andata in scena al parco Martin Lutero di Bergamo per ricordare le vittime del coronavirus e piantare un tiglio che costituirà il primo albero del bosco della memoria.

Strana, come il fatto che di solito si commemorano i morti di un evento tragico quando l’evento è finito e i morti si possono contare. Ma i morti di covid ci sono ancora e sono il numero principale che il governo tiene sott’occhio per costringerci ancora chiusi in casa. Verrebbe da chiedere se il bosco della memoria conterrà il ricordo anche di coloro i quali devono ancora morire, i morituri di covid. Sarebbe la prima volta che realizziamo una commemorazione per qualcosa che dovrà ancora avvenire.  

Fredda, non solo per la giornata e gli alberi spogli di fronte all’ospedale Papa Giovanni che si scorge in lontananza. Ma per il rituale scelto, asettico e glaciale. Con la tromba di Paolo Fresu ad accompagnare. Bravo, certo, ma non adatto ad una cerimonia solenne dove si dovrebbero prediligere musiche più patriottiche, o magari sacre. Musiche che uniscano in un sentimento chi le ascolta e non brani sconosciuti fatti per accompagnare che potrebbero andare bene anche nei locali al termine della serata jazz e mentre i camerieri sparecchiano.  

Su tutto domina la retorica del bosco e si sprecano le citazioni con le similitudini più acconce: le radici profonde, i germogli di nuova vita, il bosco che sopravvive all’uomo. Una retorica sciapa che non arriva al cuore, non fa pensare alla morte né alla sofferenza. Ci voleva una croce, perché è sulla croce che l’uomo pianta sulla terra il suo punto finale ed è sulla croce che l’uomo alla fine va a schiantarsi come termine ultimo e primo di vita nuova. Il suo significato è universale.

Ma la croce non piace ai sindaci, ai governatori, ai premier perché non è abbastanza inclusiva, non è rispettosa delle sensibilità di tutti, non è politicamente corretta, è ancora scandalo e follia, dopo 2000 anni. Eppure, la croce è l’unica cosa che i morti di Bergamo hanno abbracciato quando sono stati lasciati soli a morire, senza sacramenti, senza funerali, senza conforti di parenti vicini. E senza nemmeno pietose sepolture.

L’abbiamo dimenticato? Le bare portate via dai camion dell’esercito, che ieri venivano evocate come monito tetro e funereo, erano le bare di poveretti morti il più delle volte senza assistenza adeguata, chiusi in fretta e furia senza autopsia, senza una benedizione, senza un riconoscimento da parte dei famigliari, cremati senza nemmeno il volere dei diretti interessati. Morti fatti sparire velocemente. E oggi ricordati genericamente con una piantina di tiglio.

Eppure, se volessimo davvero commemorare i morti di covid dovremmo avere l’onestà, a cominciare dal governo, di fare chiarezza su quelle morti. Tantissimi medici hanno ammesso che il numero dei morti per covid ha incluso anche persone morte di altro e trovate positive al momento del decesso, persino gli annegati in mare sono stati inclusi nel novero funesto.

Sappiamo inoltre che più del 60% delle vittime di covid in ospedale, poteva essere salvata – e oggi può essere salvata - se si fosse messa in campo una terapia domiciliare tempestiva, capillare e adeguata. Ma siamo ancora nel Paese in cui il curare il covid precocemente non ha attecchito, mentre tanti ancora devono andare in ospedale perché tenuti a casa in vigile attesa.

C’è una frase del discorso di Mario Draghi che fa riflettere: «Non accadrà più che le persone fragili non vengano assistite e protette». Un’ammissione? Ma perché non accada più bisognerebbe davvero fare verità e riconoscere che tante morti potevano essere evitate facendosi carico di un protocollo di cure precoci serio, per tenere lontana la gente dagli ospedali e concentrarsi sulle cure. Solo così si onorerebbero i morti. 

Ma tutto questo, a più di un anno dall’inizio della pandemia, manca, mentre tutto intorno si parla della speranza del vaccino, totem che assieme alla fiducia nella scienza, è risuonato più volte nel corso della fredda cerimonia di ieri. Senza croce, ma col vaccino e la fiducia nella scienza. L’uomo nuovo cerca alberi e salute, ma trova solo il nulla dei suoi nuovi idoli.