Renzi verso il governo. L'ennesimo non eletto
Gli unici voti che Renzi ha ottenuto dagli elettori sono stati quelli di Firenze e quelli delle primarie del PD. Eppure potrebbe formare il governo lui, dopo le dimissioni di Letta. Mira a governare fino al 2018. Ma con quale maggioranza?
In vent’anni gli unici premier eletti dal popolo sono stati Silvio Berlusconi e Romano Prodi. Tutti gli altri (Dini, D’Alema, Amato, Monti, Letta e ora Renzi) sono stati imposti con manovre di palazzo, bypassando il Parlamento. Alla faccia della Costituzione e della natura parlamentare della nostra Repubblica, Enrico Letta è stato sfiduciato dalla direzione del suo partito, che peraltro non ha vinto le elezioni e non è maggioranza nel Paese. Un’anomalia tutta italiana, che la dice lunga sulla debolezza della politica e sull’incidenza che i poteri forti (in particolare quelli finanziari ed editoriali) hanno sulle istituzioni rappresentative e sul governo.
Oggi si apre una nuova fase, qualcuno profetizza che durerà poco e che presto si andrà comunque alle urne. Renzi è riuscito nell’intento di liquidare Letta, di stroncare la sua carriera di premier, impedendogli di guidare il semestre italiano di presidenza europea e sottraendogli ogni speranza di candidatura alla premiership alle prossime elezioni, inizialmente immaginate per il 2015. La staffetta a Palazzo Chigi ricorda quella del 1998 e qualcuno si è già divertito nel fare dei parallelismi: D’Alema sta a Prodi come Renzi sta a Letta. E ovviamente il sindaco di Firenze fa gli scongiuri.
Il segretario del Pd parla di programma di legislatura, indica nel 2018 l’orizzonte temporale dell’azione del suo governo, ma sarà difficile per lui guidare un esecutivo con una maggioranza assai eterogenea come quella attuale. Il nuovo centrodestra di Alfano si è subito dichiarato indisponibile a far parte di un esecutivo politico troppo schiacciato a sinistra e in cui i “diversamente berlusconiani” abbiano un peso marginale. Sel e grillini, a meno di scissioni dell’ultim’ora, confermeranno la loro idea di restare all’opposizione.
L’impressione è che presto Renzi dovrà prendere atto di non avere una maggioranza solida e coesa per puntare a completare la legislatura e a quel punto trasformerà il suo in un governo di scopo per fare la riforma elettorale e portare in breve tempo il Paese alle urne. Prima, dopo o durante il semestre europeo? Difficile dirlo. Certo è che la scadenza europea può condizionare fino a un certo punto, considerato che già negli anni novanta la presidenza italiana dell’Europa coincise con una tornata elettorale.
I contenuti del libro di Friedman, divulgati nei giorni scorsi, hanno forse creato un clima ancora più fertile per questo cambio di guida a Palazzo Chigi, accendendo i riflettori sul Quirinale e sulle presunte trame ordite da Napolitano due anni fa per liquidare il governo Berlusconi.
Napolitano è diventato ancora più debole e non ha potuto più di tanto adoperarsi per salvaguardare la tenuta del governo Letta, impallinato nel frattempo dalla maggioranza renziana del Pd, oltre che dagli industriali e dalle parti sociali.
Oggi il premier salirà al Colle per dimettersi e il Capo dello Stato con ogni probabilità conferirà a Renzi l’incarico di formare il nuovo governo. Forza Italia e Movimento Cinque Stelle hanno però chiesto un passaggio parlamentare in cui la sfiducia a Letta diventi ufficiale e solenne, proprio al fine di evidenziare le responsabilità del Pd, killer del suo stesso premier, messo li’ soltanto dieci mesi fa.
I sondaggi parlano di elettorato di sinistra deluso, disorientato e perfino inferocito contro il neosegretario, accusato di aver fatto cadere un esecutivo a guida Pd soltanto per ambizioni personali.
Renzi rappresenta comunque l’ultima spiaggia prima delle urne anticipate, l’ultima carta da giocare in questa legislatura, che dovrebbe produrre riforme elettorali e costituzionali.
Rimane l’incognita di come Renzi possa giustificare alcuni suoi ripensamenti: aveva escluso di guidare larghe o piccole intese con gli avversari, mentre ora per governare avrà bisogno del nuovo centrodestra; aveva escluso di andare a Palazzo Chigi senza passare per le urne e invece ora ci va dopo aver fatto fuori un esponente del suo partito; aveva parlato di riforma elettorale, abolizione del Senato elettivo, riduzione dei costi della politica come interventi da fare urgentemente per poi tornare alle urne, mentre nel discorso di ieri ha proposto un patto fino al 2018 basato su tanti altri traguardi ambiziosi da raggiungere.
Come nella Prima Repubblica, i fatti contraddicono le parole e la gente si chiede perché mai un governo guidato da un neosegretario di partito senza nessuna esperienza parlamentare dovrebbe produrre maggiori risultati del governo Letta, avendo la stessa maggioranza eterogenea e di emergenza.
Questa sostituzione in corsa di Letta con Renzi (il Pd ha sostituito tre premier in un anno) avrà un senso solo se porterà a una scomposizione e ricomposizione degli schieramenti. Se, ad esempio, Letta uscisse dal Pd e si collocasse al centro, potrebbe aprirsi una fase davvero nuova per la politica italiana. A patto che anche nel centrodestra si rinnovi la classe dirigente e si creino nuove leadership.