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DIREZIONE PD

Renzi tira dritto e invita Grasso a non provarci

La direzione del Pd ha decretato il successo di Matteo Renzi votando all’unanimità la sua relazione finale sulla riforma del Senato anche senza il voto della minoranza. Renzi ha anche lanciato un monito al presidente del Senato, Pietro Grasso: sull’articolo 2 della riforma la discussione non si riapre.

Politica 22_09_2015
Il segretario del Pd Matteo Renzi

La direzione del Pd ha decretato il successo di Matteo Renzi votando all’unanimità la sua relazione finale, ma non ha affatto spento i malumori della minoranza interna, che non ha partecipato alla votazione conclusiva e che intende continuare a dare battaglia in aula sul disegno di legge Boschi di riforma del Senato. É quanto è emerso dai lavori di del parlamentino dem, chiamato a definire una linea unitaria del partito in vista delle votazioni a Palazzo Madama.

Il premier ha alzato la voce con i dissidenti, respingendo le accuse di autoritarismo e invitandoli aconfermare l’appoggio ad una riforma definita epocale. Ha pure intimato agli aspiranti scissionisti di «non varcare il Rubicone», al fine di non «perire nelle urne». Ha anche lanciato un monito al presidente del Senato, Pietro Grasso affinché non riapra la discussione sull’art.2 del testo di riforma, già votato sia alla Camera sia al Senato. Significativa l’assenza di Pierluigi Bersani, che ha preferito chiudere la Festa dell’Unità a Modena, limitandosi a ribadire, alla vigilia, la sua preferenza per un Senato eletto dai cittadini. Nelle repliche conclusive, Renzi ha altresì ribadito che la legislatura in corso ha un senso soltanto se si fanno le riforme che servono al Paese e che farebbero recuperare credibilità all’Italia in Europa.

Ma il tema controverso non è solo quello dell’elettività del nuovo Senato, sul quale Renzi e i suoi non intendono cedere, mantenendo cioè la previsione di un’elezione indiretta dei senatori, non da parte dei cittadini. Ci sono aspetti sui quali maggioranza e opposizioni divergono, ad esempio i poteri del nuovo Senato e i meccanismi di elezione del Presidente della Repubblica e dei giudici della Corte Costituzionale, che risentirebbero inevitabilmente di questa riforma. I contrari al testo Boschi temono che un partito possa fare da “asso pigliatutto” e governare con una sorta di monocolore, prendendo il premio di maggioranza alla Camera, controllando il Senato attraverso i rappresentanti regionali e quindi eleggendo tutte le più alte cariche dello Stato senza contrappesi. Col discredito di cui godono le Regioni, anche a seguito degli scandali sulle “spese pazze”, consentire che siano proprio i parlamenti regionali a esprimere i nuovi rappresentanti in Senato potrebbe non essere la strada giusta per riformare istituzioni così importanti e per restituire dignità alla politica, come auspica da tempo lo stesso premier.

Senza contare che questa riforma del Senato è stata proposta da un governo non eletto dal popolo e privo di investitura elettorale; sta per essere votata da un Parlamento delegittimato dalla sentenza della Corte Costituzionale sul Porcellum; a votarla, inoltre, potrebbero essere moltissimi trasformisti che hanno soltanto paura di tornare a casa nell’ipotesi di elezioni anticipate. Ferma restando l’inderogabile necessità di riformare le istituzioni e i meccanismi di funzionamento della democrazia parlamentare basata sul bicameralismo perfetto, appare tuttavia rischioso insistere sulla strada della lacerazione delle attuali forze politiche pur di arrivare ad un’approvazione definitiva del testo sul nuovo Senato nei tempi immaginati dal governo. 

Le macerie di una situazione del genere potrebbero ricadere sulle teste di Renzi e dei suoi e provocare, per reazione, una vittoria del Movimento Cinque Stelle alle prossime politiche. L’ex sindaco di Firenze sembra ignorare quest’ipotesi, che tuttavia più di qualche politologo adombra. Con le sue continue prove di forza e i suoi frequenti strappi il Presidente del Consiglio potrà forse ridimensionare la minoranza interna e prevalere su scettici e riottosi, ma poi, con l’Italicum, dovrà per forza arrivare a conquistare il premio di maggioranza al primo turno, altrimenti il rischio per lui è che, al secondo turno, gli avversari si coalizzino tra di loro pur di sconfiggerlo.