Renzi ricatta la maggioranza. L'Ue ricatta Renzi
Il governo è andato sotto, la settimana scorsa, sulla riforma dei senatori di nomina presidenziale. Ma Renzi tiene in pugno la maggioranza con la minaccia delle elezioni. E, a sua volta, è tenuto in pugno da Bruxelles, che gli impone di rimettere in ordine i conti entro marzo.
Si addensano le nubi sul futuro del governo e della legislatura. Che l’esecutivo sia sotto attacco e abbia più di qualche nemico, sia all’interno che fuori dai confini nazionali, appare innegabile. Il premier intende accelerare sulle riforme, in particolare su quella elettorale, per poter avere sempre la pistola delle elezioni anticipate puntata sulle forze politiche riottose, in particolare la minoranza interna Pd e Forza Italia.
Due giorni fa, il Governo è andato sotto in Commissione Affari Costituzionali della Camera, sull'approvazione di due emendamenti, uno presentato dalla minoranza Pd, l'altro da Sel, che prevedono di fatto l'abolizione della figura dei cinque senatori di nomina del Presidente della Repubblica e in carica per sette anni. Governo battuto, quindi, su due emendamenti identici all'articolo 2 del ddl riforme, con due voti di scarto. Il nuovo senato sarà ora formato da 100 tra consiglieri regionali e sindaci. Un gesto dimostrativo che la dice lunga su quanto i cuperliani, i civatiani, i bersaniani e, sull’altro versante, i fittiani, intendano mettere i bastoni tra le ruote al Patto del Nazareno, nel tentativo di scardinarlo e di fare in modo che l’asse Renzi-Berlusconi dia spazio anche alle altre forze politiche.
Renzi punta ad approvare al più presto la riforma del sistema di voto. L’Italicum 2.0 avrà la sua clausola di salvaguardia: entrerà in vigore a partire dal primo gennaio 2016. Ma se il cammino delle riforme si bloccherà, se sarà necessario tornare alle urne l’anno prossimo, ipotesi già ventilata da alcuni esponenti della maggioranza renziana, lo si farà con il Mattarellum e non con il Consultellum. Lo ha stabilito un emendamento alla legge elettorale firmato da tre senatori della maggioranza Pd, che vede favorevolmente un sistema elettorale che consentirebbe ai democratici di vincere e governare stabilmente, marginalizzando le altre forze politiche. C’è solo da chiedersi se tale previsione sia costituzionale, considerato che la Consulta si è chiaramente espressa sull’argomento, e non certo a favore del ripristino di una legge precedentemente in vigore, come il Mattarellum.
Ma c’è dell’altro. Altri due senatori democratici hanno firmato un emendamento alla legge di stabilità che prevede la facoltà, per le sette regioni interessate al voto a marzo 2015, di prorogare il mandato per sessanta giorni in modo da tornare alle urne a maggio, insieme ai mille comuni in scadenza. Un modo per istituire un turno elettorale unico, incoraggiare l’affluenza alle urne e risparmiare 150 milioni di euro. L’election day di maggio potrebbe scongiurare altre emorragie di votanti, dopo quelle già registrate nella “rossa” Emilia Romagna e in parte in Calabria, e, in caso di scioglimento anticipato del Parlamento, assecondare un effetto trascinamento della figura di Renzi sul voto regionale.
Ma tutto questo si scontra con gli orientamenti di Bruxelles. Dall’Europa hanno fatto sapere che il giudizio definitivo sulla legge di stabilità italiana verrà dato solo a marzo 2015. Entro quella data l’Italia, la Francia e il Belgio dovranno dimostrare di aver apportato quei correttivi che la Commissione Ue reputa indispensabili. E’ evidente che tutto questo potrebbe frenare l’eventuale corsa al successo nelle urne per il governo Renzi. Se, infatti, si votasse a maggio, il premier si troverebbe a dover annunciare una manovra “lacrime e sangue” proprio in campagna elettorale e i suoi rivali, in primis Forza Italia, Salvini e Grillo, avrebbero buon gioco nel calamitare l’elettorato dei delusi.
Se, dunque, Renzi “ricatta” la minoranza Pd e i dissidenti forzisti pur di evitare che il Patto del Nazareno naufraghi, in Europa c’è chi “ricatta” il nostro premier e gli chiede di mettere a posto i conti pubblici e condurre in porto le riforme, anziché puntare a tutti i costi sul voto anticipato, che indubbiamente, ora come ora, gli consegnerebbe una vittoria facile.
Le difficoltà di Palazzo Chigi sono aggravate dalle inchieste giudiziarie in corso a Roma e da alcune uscite infelici di esponenti del governo. Dopo lo scoppio dello scandalo Mafia Capitale, il premier ha annunciato che verranno inasprite le pene per reati di corruzione, non rendendosi conto, però, che molti responsabili la fanno franca, non tanto perché le pene sono blande, ma perché non c’è certezza della pena e perché la burocrazia giudiziaria rallenta e frena lo svolgimento delle indagini e dei processi. Inoltre, la riforma della pubblica amministrazione del governo Renzi dovrebbe mandare in pensione oltre cinquecento magistrati che verranno sostituiti con i tempi lunghissimi del Consiglio superiore della magistratura. Con inevitabili ulteriori rallentamenti nello svolgimento dei processi.
Il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone, nominato di recente, ha poi tessuto gli elogi delle occupazioni delle scuole, definendole formative e suscitando la comprensibile reazione di molti presidi, insegnanti e genitori increduli. Un rigurgito di sessantottismo inopportuno. Che certamente ha nuociuto al gradimento del governo da parte degli italiani.