Renzi perde pezzi. A rischio anche l'Italicum
Il paradosso dei paradossi è che l’Italicum, al quale Renzi legava perfino la sua permanenza a Palazzo Chigi, gli si potrebbe ritorcere contro. Questo, insieme alla stampa ostile, la fronda interna e l’uscita dalla maggioranza dei Popolari per l’Italia rende ancora più difficile il futuro del premier.
Le nubi si addensano sul cielo renziano e il premier non può certo dormire sonni tranquilli, considerate le fibrillazioni crescenti all’interno del suo partito e le crepe che sembrano aprirsi anche nel mondo dell’informazione che finora lo aveva appoggiato convintamente e incoraggiato senza titubanze né remore. Un editoriale di due giorni fa di Ezio Mauro non escludeva un ribaltone ordito da minoranza dem e opposizioni per scalzare da Palazzo Chigi l’ex sindaco di Firenze e sostituirlo con Graziano Delrio (ministro delle Infrastrutture) o con Andrea Orlando (ministro della Giustizia). Quest’ultimo, peraltro, ha rilasciato ieri un’intervista al Corriere della Sera nella quale ha liquidato in modo esplicito il progetto renziano di “Partito della nazione”, auspicando la ricostruzione del Pd. Un’uscita che non deve aver fatto particolarmente piacere a Renzi. Ma sull’evoluzione delle lacerazioni dentro il Pd ne sapremo di più dopo la direzione di lunedì prossimo, che si preannuncia a dir poco infuocata.
Altro segnale da non sottovalutare riguarda l’uscita dalla maggioranza di governo dei tre senatori di Popolari per l’Italia, partitino guidato da Mario Mauro, ex ministro del governo Monti. A Palazzo Madama, come si sa, le truppe renziane possono contare su numeri risicati. Ora scendono a otto i senatori di differenza tra maggioranza e opposizione, il che rende indispensabile per il premier ricucire con la minoranza interna oppure riattivare il circuito del dialogo con Berlusconi (o soltanto con i verdiniani). Le partite aperte sono diverse, dalla riforma della scuola a quella della Rai, senza contare la riforma delle riforme, cioè quella costituzionale (abolizione del Senato elettivo), che rischia di arenarsi. Se gli anti-renziani del Pd e delle altre forze politiche riuscissero ad azzoppare quest’ultima riforma, si innescherebbe un effetto domino in grado di travolgere la riforma elettorale, che peraltro, dati alla mano, rischia di far perdere Renzi e il Pd.
L’Italicum vale come sistema elettorale per la Camera, tanto che esiste una clausola che la fa entrare in vigore solo a partire dal luglio 2016, al fine di consentire, entro quella data, l’approvazione definitiva dell’abolizione del Senato. Se tale approvazione, a causa dei numeri risicati al Senato, saltasse, si rischierebbe di tornare alle urne con due sistemi elettorali diversi (Italicum alla Camera, Consultellum al Senato) o addirittura con la legge partorita dalla Corte Costituzionale, qualora le cose precipitassero e la legislatura dovesse interrompersi prima dell’anno prossimo. Il paradosso dei paradossi è che l’Italicum, al quale Renzi legava perfino la sua permanenza a Palazzo Chigi (settimane fa, minacciò di dimettersi ove non fosse stato approvato in via definitiva prima del voto di domenica scorsa), gli si potrebbe ritorcere contro. Le percentuali raccolte dal Pd alle ultime regionali sono lontane dal 40,8% delle europee di un anno fa.
La nuova legge elettorale assegna il premio di maggioranza a chi raggiunge al primo turno la soglia del 40%, altrimenti si va al ballottaggio tra i primi due partiti. In un sistema ormai multipolare come quello attuale, o quanto meno tripolare (centrosinistra, centrodestra, Movimento Cinque Stelle), una legge del genere potrebbe produrre esiti imprevisti, come la vittoria dei grillini, che in un ballottaggio col Pd potrebbero raccogliere i consensi di molti elettori di centrodestra e di centrosinistra. Stessa cosa varrebbe se al ballottaggio contro i dem ci andasse la Lega o un centrodestra miracolosamente ricompattato. Come voterebbero, in tale ipotesi, gli elettori pentastellati? Non è affatto scontato. Per questo Renzi potrebbe prendere al volo l’esternazione fatta ieri dall’esponente del Nuovo centrodestra, Gaetano Quagliariello, che minacciava velatamente l’uscita del suo partito dall’esecutivo qualora non ci fosse una revisione dell’Italicum (sostituzione del premio al miglior partito con il premio di coalizione).
A Renzi l’Italicum conveniva nella prospettiva del “Partito della nazione”, che poteva drenare voti dal serbatoio del centrodestra senza perderne troppi a sinistra. Questo disegno, almeno al momento, appare irrealistico ed è per questo che il premier dovrà seriamente riflettere su quale possa essere il sistema elettorale per lui più conveniente, e soprattutto il più adatto alla situazione politica e ai nuovi equilibri e rapporti di forza che si stanno creando tra i partiti.