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GOVERNO

Renzi ha già stancato. Torniamo al 2011

Tre governi non votati dagli italiani hanno prodotto solo risultati disastrosi. Renzi non è una soluzione. I suoi 80 euro in busta paga non sono certamente serviti a rilanciare i consumi. E a settembre si prevede una nuova stangata di tasse. Ormai ha deluso tutti, media compresi. E in Europa si prepara una nuova spallata.

Politica 18_08_2014
Matteo Renzi

Sembra che le lancette dell’orologio della politica italiana siano tornate al novembre 2011. L’Italia a rischio default, gli occhi della troika puntati sui nostri conti pubblici, spending review e nuovi sacrifici per le tasche degli italiani, ma, soprattutto, governo Berlusconi costretto alla resa per favorire l’avvento di un nuovo esecutivo, non eletto dal popolo ma espressione dei grandi poteri finanziari, che avrebbe dovuto avviare il risanamento economico e restituire credibilità all’Italia dopo lo scandalo delle olgettine e del “Ruby-gate”.

Sappiamo tutti come sono andate le cose: in poco meno di tre anni, governo Monti, governo Letta e governo Renzi, tutti espressioni di manovre di palazzo e privi di investitura popolare in quanto non scelti dai cittadini. Con quali risultati? Dal punto di vista socio-economico disastrosi. Nessun barlume di ripresa, aumento della disoccupazione, soprattutto al sud, debito pubblico alle stelle, tasse in crescita, riforme strutturali lontane.

Ma quando, cinque mesi fa, l’ex sindaco di Firenze è approdato a Palazzo Chigi, sembrava iniziato un “new deal” e il consenso plebiscitario raccolto dal partito del premier alle recenti elezioni amministrative era la solenne conferma di un trend irresistibilmente in ascesa.

Nel giro di pochi mesi, però, qualcosa si è rotto e l’idillio tra Renzi e gli italiani appare già in crisi (i sondaggi un po’ lo segnalano). Ma, quello che più conta, è il feeling tra i poteri forti nazionali ed internazionali e l’inquilino di Palazzo Chigi ad essersi già incrinato.

In più, la recente assoluzione di Berlusconi al processo d’appello sul caso Ruby ha indotto molti osservatori a rivalutare la stagione dell’ultimo governo guidato dal leader del centrodestra, bruscamente interrotta anche a causa del bombardamento mediatico sulle famose cene eleganti di Arcore.

Fatto sta che l’unico alleato su cui Renzi in questo momento può davvero contare è proprio l’ex Cavaliere. Senza il Patto del Nazareno, neppure la riforma del Senato sarebbe stata approvata e il bottino dei primi cinque mesi di governo Renzi sarebbe stato assai magro.

Gli ottanta euro in più in busta paga, infatti, non hanno prodotto l’auspicata scossa sui consumi e non hanno rimesso in moto l’economia, come si sperava. E nuove nubi si addensano all’orizzonte dell’economia italiana, con crescenti segnali di sfiducia e insofferenza da parte delle forze produttive, imprenditoriali e sindacali.

Dopo i dati sulla contrazione del Pil, che rendono più arduo il contenimento del rapporto deficit/pil sotto il tetto del 3% imposto dall’Europa, si profila una manovra aggiuntiva entro fine anno, nonostante le smentite del ministro Padoan. La bacchettata di Draghi a Renzi ha preceduto di qualche giorno la diffusione di uno studio della Cgia di Mestre che profetizza una nuova stangata fiscale per gli italiani, ove non si riuscisse, entro fine anno, a tagliare drasticamente la spesa pubblica. I contribuenti italiani sono già i più tartassati d’Europa e, se il governo non riuscirà a razionalizzare la spesa, riducendo sprechi e inefficienze, dovranno sopportare un aggravio fiscale di oltre tre miliardi di euro, a seguito della riduzione delle agevolazioni/detrazioni fiscali e all’aumento delle aliquote. I primi segnali di aumenti della tassa sui rifiuti già vanno in quella direzione.

Confindustria, Confartigianato, Confcommercio, sindacati e altre componenti socio-economiche iniziano a manifestare i primi dubbi sulla capacità dell’esecutivo di invertire la rotta, nonostante la stagnazione riguardi, per la verità, non solo il nostro Paese ma l’intera “eurozona”.

Perfino i media, che sembravano tutti schierati con Renzi, ora prendono le distanze e iniziano a picconarlo: il Corriere della Sera è da tempo più tiepido e scettico nei suoi confronti; La Stampa lo punzecchia da giorni sulle vicende economiche; Repubblica lo critica con regolarità (pare che De Benedetti sia rimasto deluso dai primi mesi di governo); il Sole 24 ore gli chiede esplicitamente conto di cosa voglia fare nei famigerati 1000 giorni di governo. Per non parlare di alcuni media inglesi e internazionali, che, dopo averne elogiato il piglio decisionista, ora lo incalzano sui risultati (mancati o in ritardo) delle riforme annunciate all’atto del suo insediamento.

Infine, gli speculatori internazionali sono sempre in agguato. Le agenzie di rating si mostrano poco convinte della capacità dell’economia italiana di risollevarsi dalle secche della recessione e, nonostante lo spread sia al momento sotto controllo, gli ambienti finanziari europei ed extraeuropei non credono più, a differenza di cinque mesi fa, che Renzi possa traghettare l’Italia fuori dalla crisi.

Tutto come nel 2011, o quasi. Un premier accerchiato e isolato (come lo era Berlusconi nel 2011), che a settembre sull’economia si gioca tutto, anche il suo futuro politico. Forse ha sbagliato a impuntarsi sul Senato, trascurando altri provvedimenti di natura socio-economica che avrebbero potuto trasmettere segnali forti all’estero e restituire fiducia agli investitori. Nel frattempo, è paradossale che i destini di Renzi e Berlusconi siano indissolubilmente legati: ora Renzi si trova nella stessa situazione nella quale si trovò Berlusconi a fine 2011 e, senza l’appoggio di Berlusconi, sarebbe già caduto.

Dopo tre governi illegittimi e imposti agli italiani senza alcun beneficio per le loro tasche e per la loro qualità della vita, forse più di qualcuno tornerà a credere che l’attacco a Berlusconi, nel 2011, era in realtà un attacco all’Italia per impedire che la stabilità politica producesse effetti positivi sull’intero Paese. L’Italia ha troppi nemici, in Europa e altrove, questa è la verità, a prescindere dalle opinioni politiche di ciascuno.