Reliquie donate a Re Carlo, non si fa così l'ecumenismo
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I due frammenti della Vera Croce donati da papa Francesco al sovrano d'Inghilterra sono l'ultima di una serie di reliquie donate, più di ogni suo predecessore. Ma un conto è la donazione fatta agli ortodossi, un altro quella al capo della Chiesa anglicana, i cui riti e ordinazioni non sono validi.
È notizia dei giorni scorsi che Francesco ha donato due frammenti della Vera Croce a re Carlo III, «come gesto ecumenico in occasione del centenario della Chiesa Anglicana in Galles»: così ha riferito la sala stampa della Santa Sede. Il sovrano - che è anche capo della Chiesa d’Inghilterra in conseguenza dello scisma causato da Enrico VIII - ha poi disposto di incorporare la preziosa reliquia nella “Croce del Galles”, la quale riflette la “sostenibilità” cara a Carlo III e che il 6 maggio sarà alla testa della processione per l’incoronazione dello stesso sovrano.
Non è la prima volta che papa Bergoglio dona delle reliquie, per dichiarate finalità ecumeniche. Perciò è opportuno interrogarsi più a fondo sul senso che si dà al gesto, anche alla luce dell’attuale contesto ecclesiale. Come leggere queste donazioni? Prima facciamo un passo indietro nella storia.
Nei secoli le reliquie hanno goduto di particolare venerazione. Dall’antichità e dal Medioevo abbiamo innumerevoli esempi che testimoniano la grande importanza che si è attribuita, in primis, agli oggetti relativi alla vita terrena di Gesù e della Madonna e, poi, ai resti mortali di santi e beati. Non a caso, dopo che la Chiesa (pesantemente perseguitata nei suoi primi tre secoli) acquisì finalmente la libertà di culto nell’Impero romano, le basiliche dei santi Pietro e Paolo furono erette proprio sui sepolcri dei due apostoli, martirizzati sotto Nerone. Nello stesso secolo, il IV, a Milano, sant’Ambrogio diede grande impulso alla venerazione delle reliquie, culminata nel ritrovamento dei corpi dei martiri Gervasio e Protasio, un fatto che aiutò i cattolici della città nella causa contro gli ariani.
Riguardo all’epoca medievale, famose sono le vicende che interessano san Nicola. I baresi, nel 1087, organizzarono una spedizione di oltre sessanta marinai per metterne in salvo le reliquie, custodite nella cattedrale di Myra, città che era stata conquistata dai musulmani. E alcuni anni dopo i veneziani avrebbero completato l’opera, recuperando i frammenti ossei più piccoli di san Nicola, conservati in un altro ambiente della medesima cattedrale. Merita una menzione anche san Luigi IX, il devoto re francese che spese una fortuna per acquisire da Baldovino II di Costantinopoli alcune reliquie della Passione di Gesù, prima tra tutte la Corona di spine, poi la Sacra Spugna, una parte della Vera Croce e della Sacra Lancia. Per custodirle degnamente fece costruire la Sainte-Chapelle, splendido esempio di architettura gotica.
E si potrebbe continuare con tanti altri casi. Le reliquie finivano non di rado al centro di dispute (si pensi, su tutte, a quella sulle spoglie di sant’Antonio), tanta era la dignità che veniva a esse riconosciuta. A ciò si accompagnava evidentemente una pietà genuina, che non è in alcun modo scalfita da certi abusi, come il commercio e la falsificazione delle reliquie stesse, poiché - come recita l’antica massima - l’abuso non esclude l’uso.
Tornando ad oggi, non è la prima volta - come dicevamo - che papa Francesco doni delle reliquie ad altre confessioni cristiane, non in comunione con la Chiesa cattolica. Era già successo con alcuni resti di san Francesco donati a Kirill per il suo 70° compleanno, dopo aver ricevuto dal patriarca di Mosca alcune reliquie di Serafino di Sarov, venerato dagli ortodossi; con i nove frammenti ossei di san Pietro donati al patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo; le reliquie di san Clemente e san Potito alla Chiesa ortodossa bulgara; la reliquia di san Tommaso apostolo alla Chiesa assira d’Oriente. Tutte reliquie di I classe e, nell’ultimo caso in ordine di tempo, tra le più rilevanti in assoluto, essendo legate alla Passione di Nostro Signore. Donazioni che hanno fatto parlare, per il pontefice argentino, di un vero e proprio “ecumenismo delle reliquie”.
Si possono rinvenire donazioni simili anche nei pontificati precedenti. Ricordiamo qui che nel 1964, in segno di apertura verso la Chiesa ortodossa greca, Paolo VI consegnò il sacro capo di sant’Andrea, riportato a Patrasso, la città dove l’apostolo aveva subìto il martirio. Quarant’anni più tardi, Giovanni Paolo II donò alcune reliquie dei santi Giovanni Crisostomo e Gregorio Nazianzeno al patriarca di Costantinopoli, con l’intento di «camminare insieme verso quella piena e visibile unità che Cristo vuole per i suoi discepoli». Gesti che andavano nel senso di riallacciare un dialogo con il mondo ortodosso, dopo quasi un millennio di scisma.
Se è vero che Francesco vuole proseguire sulla via dell’unità, è altrettanto vero che le donazioni di reliquie sono divenute piuttosto frequenti durante il suo pontificato, ben più che rispetto ai suoi predecessori. E ciò crea degli interrogativi tra i fedeli. Da un lato, le reliquie in sé possono essere mezzi di riconciliazione e la provvidenza di Dio, che peraltro scrive anche sulle righe storte, può servirsene in tal senso; ma resta il fatto che le cose sante richiedono prudenza e l’unità la si può raggiungere solo se gli uomini hanno, prima di tutto, la volontà di aderire alla verità. Se l’evento delle reliquie donate - da eccezione - diviene, per così dire, “norma”, c’è il rischio che se ne perda di vista il significato, con un effetto-banalizzazione. «Non faccio fatica a credere che il parco delle reliquie sia abbastanza nutrito, ma rispetto al numero di queste donazioni ci si può porre la domanda: è perché ne abbiamo in abbondanza o perché si dà poca importanza alle reliquie stesse?», si chiede don Nicola Bux.
In linea generale, il teologo nota che con la riforma liturgica e il post-Concilio le reliquie hanno conosciuto una parabola decadente, spesso a causa dell’impostazione storicista che si è andata radicando in più ambienti ecclesiali. «Il revisionismo sulle reliquie fasulle ha “spazzato via”, qua e là, anche quelle autentiche». Permangono, in questa tendenza, i dovuti distinguo, come il fatto che le reliquie fortemente simboliche per una città «vengono gelosamente custodite».
A livello liturgico, l’Ordinamento Generale del Messale Romano tuttora conserva una prassi antica e al n. 302 prescrive: «Si mantenga l’uso di deporre sotto l’altare da dedicare le reliquie dei Santi, anche se non martiri. Però si curi di verificare l’autenticità di tali reliquie». Una prassi, quella che lega reliquie e altari, che affonda le sue radici nei primi secoli cristiani e che ha un fondamento biblico di rilievo nell’Apocalisse: «Quando l’Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa» (Ap 6,9). Di qui la presenza delle reliquie nelle celebrazioni, perché, come spiega ancora don Bux, «nell’antichità, la liturgia era vista come una mimesi di quella celeste».
Rispetto all’intenzione ecumenica, il teologo osserva poi che la donazione delle reliquie a Carlo III si pone su un piano diverso rispetto a quelle agli ortodossi «perché i riti (su tutti la Messa) e le ordinazioni degli anglicani non sono validi, mentre quelli degli ortodossi sono validi, anche se non sono legittimi, mancando la comunione con Roma».
La donazione agli anglicani è arrivata tra l’altro nello stesso periodo del caso di San Giovanni in Laterano, che ha fatto parlare di scandalo liturgico. Al di là di quel che si pensi sull’episodio nella Madre e Capo di tutte le Chiese, permane l’interrogativo su quali criteri guidino le donazioni di reliquie e altri gesti rivestiti di significato ecumenico. «Che tipo di ecumenismo si vuole fare?», chiede ancora don Bux: «Se l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, è stato disconosciuto da una buona parte della comunità anglicana per la questione delle benedizioni alle coppie gay, la Chiesa cattolica non ha nulla da dire? L’unità della Chiesa dobbiamo farla sulla verità. Quello proveniente dagli anglicani, africani e non solo, dovrebbe essere un campanello d’allarme anche per la Chiesa, perché nemmeno le comunità cattoliche in Africa tollerano certe ideologie».