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Religiose o suffragette? La dottrina fluida di suor Monetti

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Suor Micaela Monetti, da un mese, è presidente dell’Unione delle Superiori Maggiori d’Italia. La "superiora delle superiore" sposa tutte le parole d'ordine: "abitare", "accompagnare" e a dirla tutta... sdoganare. Con una strizzatina d'occhio anche al gender.

Ecclesia 06_06_2023

Ha sussultato di gioia, come una nuova Elisabetta. Suor Micaela Monetti, 67 anni, da poco più di un mese eletta presidente dell’Unione delle Superiori Maggiori d’Italia (USMI), ha comunicato la sua gioia nell’apprendere che la metà dei laici e dei Superiori Maggiori che prenderanno parte al prossimo Sinodo, con diritto di voto, sono donne.

Al mensile dell’Osservatore Romano, Donne Chiesa Mondo, Suor Monetti ha rilasciato un’intervista che costituisce un assaggio di quanto sia ormai decaduta la vita religiosa femminile, divenuta, in palese ritardo, la costola spirituale delle “Suffragette”: «È stata colta l’istanza già emersa nei sinodi precedenti perché riconoscere il diritto di voto alla vita consacrata femminile è un passo allineato ai tempi». Già, i tempi. Una presenza finalmente decisionale delle donne nella Chiesa; perché – si lamenta Suor Monetti – «siamo valorizzate quando si tratta della cura degli spazi e delle persone ma quando è ora di decidere è il parroco che decide». In democrazia, si sa, uno vale uno.

Altro passo di allineamento ai tempi è la richiesta del diaconato femminile. Come in Argentina o in Amazzonia, dove «veramente c’è una diaconia ecclesiale che si esprime nella figura di un diaconato femminile che sappiamo sta maturando». Come i pomodori. In ogni caso, è bene non dare troppo l’idea che il diaconato in via di maturazione costituisca il capolinea. Perché, aggiunge la Suora, «dovrebbe bastare». Dovrebbe. Ma se non bastasse?

I tempi esigono altresì di rispondere “presente” alla questione del gender; la sorella non si sottrae e confessa che si tratta di un tema che le sta «particolarmente a cuore perché le nuove generazioni, le giovani che si interrogano su una proposta vocazionale, noi le incamminiamo su dei percorsi senza dare particolare attenzione a una identità di genere consolidata ma che oggi riceve tante sfide». Affermazione che potrebbe essere condivisa, se la si interpreta come una maggiore attenzione all’enorme fragilità e instabilità affettiva e identitaria dei nostri tempi, di cui non si può non tenere conto, specie quando si tratta dell’ammissione di candidati alla vita religiosa e alla professione perpetua. Ma non sembra sia quello che la super-superiora intende. «In genere è nel periodo di juniorato, nella fase dei voti perpetui che emergono quelle che anche per le formatrici sono delle vere sorprese: ciò che sembrava certo fino all’altro ieri, non lo è più». Un problema reale, dunque. E non si fa fatica a crederlo.

Ma a lasciare perplessi è la conclusione della Superiora Generale delle Pie Discepole del Divin Maestro: «Io non ho le risposte ma è necessario abitare questa realtà e cercare insieme il progetto di Dio». Il linguaggio è quello ormai standardizzato negli ambienti “ecclesiali”, secondo il discernimento di nuovo corso: abitare la realtà, accompagnare, vivere la prossimità, e via dicendo; ossia: l’importante è il cammino insieme, non la meta; farsi domande, ma non avere risposte; cercare e chissà… che forse chi cerca trovi.

E soprattutto non arroccarsi su forme definite. Perché, insegna suor Micaela, «ci sono forme e forme di vita consacrata. Non possiamo bypassare questa realtà, occorre prossimità». Che cosa voglia dire non è (volutamente) chiaro: per quanto siano diverse le forme della vita consacrata, rimane fermo che gli uomini sono uomini e le donne sono donne; e, nella vita consacrata, sono chiamati alla continenza perfetta, in istituti che non si scelgono secondo quello che ci si sente, ma secondo quello che si è. Non esiste e non può esistere un Istituto fluido.

Suor Monetti intende forse mettersi nella scia della più nota suor Jeannine Gramick, fondatrice, insieme a P. Robert Nugent, di New Ways Ministry, che in sostanza promuove da tempo la causa Lgbt nella Chiesa cattolica. Nella Notificazione del 31 maggio 1999, la Congregazione per la Dottrina della Fede  denunciava che, nonostante i richiami a Suor Gramick e a P. Nugent, da parte dell’Arcivescovo di Washington e della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata, «essi continuavano a presentare la dottrina della Chiesa come un’opzione possibile fra le altre e come aperta a mutamenti fondamentali». Venne così istituita una commissione per studiare i loro scritti e le loro attività pastorali, trovati incompatibili con l’insegnamento della Chiesa.

Dopo diversi contatti, richieste di chiarimento e domanda di sottoscrizione di una dichiarazione, tutti tentativi che non hanno portato frutto, la CDF  aveva dichiarato che le posizioni espresse dai due religiosi «in merito alla malizia intrinseca degli atti omosessuali ed al disordine oggettivo dell’inclinazione omosessuale sono dottrinalmente inaccettabili perché non trasmettono fedelmente il chiaro e costante insegnamento della Chiesa cattolica su questo punto». La CDF disponeva altresì il divieto, per i due religiosi, di continuare «ogni attività pastorale in favore delle persone omosessuali» e l’impossibilità di essere destinati, nei rispettivi Istituti religiosi, a qualsiasi ufficio.

Suor Gramick, di fronte a queste restrizione, recepite dai suoi superiori, obbedì perinde ac cadaver: decise di andarsene in un altro istituto religioso, Sisters of Loretto, che permise alla suora di continuare a far danni. Come quando nel 2014 firmò una lettera aperta al Presidente Obama per chiedere di finanziare nei paesi stranieri i servizi abortivi in caso di stupro, incesto e pericolo di vita per la donna.

Ma tutte le belle storie devono conoscere un lieto fine; e così, il 10 dicembre 2021, papa Francesco le inviava una lettera, in occasione dei suoi 50 anni di “apostolato”, nella quale le venivano rivolti ringraziamenti per la sua indefessa attività che rivelava «lo stile di Dio»: «Non hai avuto paura della “vicinanza” e nell’avvicinarti lo hai fatto “sentendo il dolore” e senza condannare nessuno, ma con la “tenerezza” di una sorella e di una madre». Manco fosse Madre Teresa.

Suor Monetti sembra dunque inaugurare anche per l’Italia la strada dell’astensione (niente condanne, niente risposte), in favore di un generico “abitare” la situazione. La Notificazione però parlava chiaro: «la diffusione di errori ed ambiguità non è coerente con un atteggiamento  cristiano di vero rispetto e compassione: le persone che stanno combattendo con l’omosessualità hanno, non meno di altre, il diritto di ricevere l’autentico insegnamento della Chiesa».