Regno Unito, vietato pregare nelle zone franche dell’aborto
La Camera dei Comuni ha approvato un emendamento che introduce, attorno alle cliniche per aborti, «zone cuscinetto», in cui non si potrà fare nessuna attività capace di dissuadere dall’aborto. Similmente, a Bournemouth, esplicitato il divieto di pregare e farsi il segno della croce.
Le chiamano «zone cuscinetto» (buffer zones) o anche «zone sicure». Purtroppo una delle loro applicazioni pratiche più note - l’aborto - non ha nulla di sicuro, comportando l’eliminazione di almeno una vita umana innocente, con tutto quel che ne consegue. Nel Regno Unito se ne dibatte da tempo, ma finora le «zone cuscinetto» in favore delle cliniche abortive erano state adottate solo da qualche città o municipio di quartiere, nell’ambito della normativa generale che consente a un’amministrazione locale di emanare un «Ordine di protezione degli spazi pubblici» (Pspo, nell’acronimo inglese), per le più svariate materie, dal divieto del consumo di alcol per strada al linguaggio proibito nei pressi degli stadi.
Ma ecco la novità. Martedì 18 ottobre la Camera dei Comuni ha approvato, con 297 voti a favore e 110 contrari, un emendamento al disegno di legge sull’ordine pubblico che introduce, a livello nazionale, le buffer zones attorno alle cliniche per aborti. La nuova misura - che ora dovrà passare al vaglio della Camera dei Lord - rende illegale interferire «con la decisione di qualsiasi persona di accedere, fornire o facilitare la fornitura di servizi per l’aborto», all’interno di ogni zona cuscinetto, intesa ai sensi della norma come un’area i cui confini si trovano a 150 metri da ogni lato di una clinica per aborti o dai punti di accesso dell’edificio che la ingloba. Chi infrange il divieto può incorrere in una multa e anche in una pena fino a due anni di carcere.
Per «interferenza» con la decisione di abortire, la norma prevede sette condotte di punibilità, tra cui quelle di chi «cerca di influenzare», «occupa in modo persistente, continuo o ripetuto» la zona cuscinetto, «consiglia o persuade, tenta di consigliare o persuadere, o altrimenti esprime opinioni», «informa o tenta di informare [sempre con fini dissuasivi, ndr], sui servizi per l’aborto, con qualsiasi mezzo, inclusi, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, mezzi grafici, fisici, verbali o scritti». In pratica, all’interno di una buffer zone, un difensore della vita nascente potrà respirare e fare poco altro, se non vorrà incorrere in un reato.
Le conseguenze della nuova misura sono state ben spiegate da Alithea Williams, della Society for the Protection of Unborn Children (Spuc), la quale ha parlato di «giorno nero per la democrazia». Infatti, «comuni e pacifici cittadini ora rischiano una sostanziosa pena detentiva per il semplice atto di pregare in pubblico e di offrire aiuto a donne nel bisogno. Il Parlamento ha letteralmente criminalizzato la compassione». Non si tratta solo di un attacco alla libertà di chi difende i nascituri, ma anche dell’eliminazione di «una vera ancora di salvezza per le donne. Molti bambini - aggiunge la Williams - sono vivi oggi perché la loro madre ha ricevuto aiuto e sostegno da una compassionevole persona pro-vita all’esterno di una clinica». Le veglie pro life nei pressi delle cliniche offrono delle reali alternative alle donne che vi si recano, perché spesso queste ultime sono poco o per nulla convinte di abortire, vi sono indotte dalle circostanze e vorrebbero qualcuno che le tendesse una mano, così da proseguire la gravidanza. Non di rado - nel 15% dei casi, secondo un’indagine commissionata dalla BBC - sono pressate o addirittura costrette ad abortire.
Ricapitolando: in nome di una falsa «libertà di scelta» (l’aborto) esercitata ai danni di un altro essere umano, l’istituzione delle zone cuscinetto priva le donne di una concreta possibilità di scelta (evitare l’aborto), calpesta in un colpo solo la libertà di espressione, di coscienza e di religione. Ma si sbaglierebbe chi pensasse che il voto del 18 ottobre a Westminster rappresenti il punto più basso possibile. C’è chi aveva già fatto di peggio, sebbene “solo” a livello locale.
Pochi giorni prima che il Parlamento votasse per le buffer zones, il consiglio di Bournemouth, Christchurch e Poole (nel sud dell’Inghilterra) aveva già istituito - con efficacia dal 13 ottobre, dalle sette del mattino alle sette di sera, dal lunedì al venerdì - la sua «zona sicura» attorno a una clinica abortiva gestita dal British Pregnancy Advisory Service (Bpas). Per la suddetta zona, tra i vari divieti diretti ai pro vita (vedi foto), viene citato espressamente anche l’atto di farsi il segno della croce. Per la precisione è vietato «tenere veglie in cui i membri pregano in modo udibile, recitano le Scritture [in minuscolo, nell’originale, ndr], si genuflettono, spargono acqua santa per terra o si fanno il segno della croce se percepiscono che sta passando un utente del servizio [abortivo, ndr]». Chi trasgredisce questo o altri divieti simili rischia una multa di 100 sterline ed è passibile di subire un procedimento giudiziario.
All’origine dell’ordinanza ci sono le denunce raccolte negli anni dalla clinica di Bpas e provenienti da donne che lamentavano di essere state seguite fino al loro ingresso nella struttura o avvicinate quando ne uscivano. «Si sono lamentate del fatto - riporta tra l’altro il Guardian - che è stato detto loro che “il bambino le ama” o perché è stato chiesto loro se sanno che “uccidono i bambini” all’interno dell’edificio». Nella vicenda sono state coinvolte le femministe di Sister Supporter, che hanno chiesto a gran voce la zona cuscinetto e spinto a partecipare alla consultazione pubblica organizzata dal consiglio di Bournemouth: su 2.241 risposte (l’area conta quasi 400 mila abitanti), il 75% si è espresso favorevolmente alla buffer zone. Ne è seguita l’ordinanza tanto agognata dalla clinica di Bpas, la stessa che secondo l’ispezione fatta a fine giugno 2022 dalla Care Quality Commission (un’autorità amministrativa indipendente) ha presentato gravi mancanze: in particolare, «non ha sempre assicurato che la corretta documentazione legale fosse completata» prima degli aborti chirurgici; e non sempre ha seguito le linee guida nazionali «per garantire che i resti della gravidanza fossero trattati con rispetto». Anche questo è l’aborto.
Attorno alla clinica abortiva di Bournemouth, come nelle altre sparse per il Regno Unito, le donne avranno dunque una possibilità in meno. Valga per tutti quanto spiegato a suo tempo da Alina Dulgheriu, una donna che ha contestato la buffer zone di Ealing (Londra) portando il caso, nel 2020, fino alla Cedu. Lasciata dal partner e in difficoltà economiche, Dulgheriu - come le altre 500 donne e più che avevano ricevuto aiuto nei cinque anni precedenti al divieto di Ealing verso i pro life - ha testimoniato che «il giorno in cui sono arrivata alla clinica per aborti è il giorno più buio che il mio cuore abbia mai conosciuto. Tutto ciò di cui avevo bisogno era un aiuto fino al parto. Una signora e un volantino, questo è stato tutto. Proprio lì, sui gradini del centro per aborti, in mezzo a tutto quel buio finalmente ho sentito la speranza. Per la prima volta ho sentito che mio figlio era desiderato, non solo da me, ma anche da perfetti sconosciuti». Aggiungeva la Dulgheriu: «Non posso esprimere la gioia e quanto mi sono sentita realizzata come donna, come madre, per avere la possibilità di avere mio figlio. Una società giusta e premurosa non criminalizza le persone perché offrono aiuto alle madri vulnerabili».