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ELEZIONI

Regno Unito al voto, tutti (o quasi) prevedono un trionfo laburista

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Oggi si vota nel Regno Unito per il rinnovo del Parlamento e dunque anche del governo. Tutti i sondaggi danno vincenti i Laburisti, che doppierebbero i Conservatori. Attenzione al Reform di Farage.

Esteri 04_07_2024
Keir Starmer, leader laburista, superfavorito di queste elezioni

Oggi, 4 luglio, si vota nel Regno Unito per il rinnovo del Parlamento e dunque anche del governo. La campagna elettorale si è chiusa con scene ironiche, a tratti grottesche. Con l’ex premier Theresa May che suona citofoni e distribuisce volantini porta a porta, il leader liberaldemocratico Ed Davey che si lancia col bunjee jumping (per testare personalmente lo slogan: “fai un tuffo nella fede e fai qualcosa che non hai mai fatto, vota Libdem”), il comizio a sorpresa dell’ex leader laburista Boris Johnson (ma mai assieme all’odiato rivale Rishi Sunak) e la chiamata al voto sul Telegraph, notoriamente conservatore, dello sfidante e favorito laburista Keir Starmer.

In teoria, stando ai sondaggi più diffusi, non c’è partita: il Labour è dato al 40% dei consensi, doppiando un partito Conservatore fermo al 20%. Dopo 14 anni di regno incontrastato dei Tories, insomma, si imporrebbe una nuova alternanza. Keir Starmer, forte di queste previsioni, ha preso talmente confidenza da far campagna anche nelle contee del cosiddetto “muro blu”, soprattutto nel Sud dell’Inghilterra, dove i Conservatori sono sempre stati favoriti. Nell’ultimo giorno ha rassicurato anche i pensionati, perché il suo partito ha ventilato l’introduzione di una tassa sulle pensioni per far quadrare i bilanci previdenziali. Starmer sostiene che non hanno nulla da temere, ma il Telegraph, martedì, rilevava che le sue promesse sono abbastanza vaghe da non smentire la temuta tassa.

Rushi Sunak, al contrario, è talmente sicuro di perdere che prega i suoi elettori di non regalare ai Laburisti una “supermaggioranza”. Nel Regno Unito non esiste alcuna norma sulla “supermaggioranza” che in altri paesi europei è necessaria per eleggere le cariche più importanti e cambiare la Costituzione. Nel Parlamento a Londra basta una maggioranza semplice, anche di un solo seggio, per poter governare. Tuttavia Sunak teme una sconfitta talmente forte da compromettere il futuro del partito. James Cleverly, attuale ministro dell’Interno, avverte che i Laburisti potrebbero consolidare il loro potere e cambiare le regole per restarci (per esempio allargando il diritto di voto ai minorenni, agli stranieri e ai carcerati), se dovessero governare troppo a lungo.

Un altro argomento terrorizzante usato da Sunak, per scoraggiare il passaggio dei suoi elettori ai Laburisti, riguarda la difesa. I Laburisti vorrebbero una difesa debole, in tempi di quasi-guerra. I Conservatori, al contrario, promettono di portare le spese per la difesa al 3% del Pil. “Putin non vuole che i conservatori vengano rieletti” è uno degli slogan più usati da Sunak. Ma è un argomento debole, considerando che nel quindicennio conservatore, sia l’esercito che la marina sono stati ridotti al minimo storico. Più convincente la paura sui temi economici. I Laburisti non fanno mistero di voler alzare le tasse. E promettono, anche sulla prima pagina del quotidiano The Guardian, di promuovere una drastica transizione verde, sulla casa, sui trasporti, sull’energia. E questo costerà moltissimo agli inglesi.

Sunak, al tempo stesso, non perde la speranza per un “Parlamento sospeso”, senza una maggioranza chiara. Si basa soprattutto su un unico sondaggio, commissionato dal quotidiano The Times, secondo cui la maggior parte dei seggi sarebbero ancora in bilico. Il sistema elettorale britannico è maggioritario e a turno unico. Il candidato che prende più voti nel suo collegio, anche un solo voto in più, ottiene il seggio. Ebbene, secondo il sondaggio del The Times, nella maggior parte dei collegi vincerebbero i Laburisti, ma solo per pochi voti di differenza. In tutto il paese, secondo Sunak, basterebbero 132mila voti in meno ai Laburisti per arrivare alla parità. Se si realizzasse questa previsione, sarebbe la sorpresa dell’anno.

Proprio perché ogni voto è importante, i due partiti più grandi temono la dispersione dei consensi verso i partiti minori. Oltre ai Libdem e al loro stravagante leader, che i sondaggi danno all’11%, la vera sorpresa è il partito Reform, a destra dei conservatori, ultima creatura di Nigel Farage, il vero padre della Brexit. Si tratta di una sorpresa ricorrente, a dire il vero, perché Farage, periodicamente, da quindici anni, si ripresenta scompaginando la scena della destra politica. Per ora non è mai riuscito a ottenere alcun successo concreto nel Parlamento, ma stavolta potrebbe sfondare. I sondaggi lo danno al 16%, quasi a livello dei Conservatori. Ma è soprattutto la crescita che conta: dal 6 al 16% in un anno. Di fatto sta raccogliendo quel che i Conservatori perdono. Non avendo più una Brexit da proporre, Farage si presenta all’elettorato come l’unica forza sovranista britannica: no all’immigrazione, pace con la Russia, legge e ordine, ma anche (e contrariamente ai sovranisti continentali) libero mercato. Boris Johnson, nel suo comizio finale, ha puntato il dito contro Farage, denunciandolo come un “pupazzo di Putin” che si fa “megafono della propaganda putiniana”, perché il leader del Reform è convinto che sia stata la Nato a provocare la Russia. La guerra in Ucraina costituisce l'unico argomento su cui c'è vero attrito fra Conservatori e Reform, perché, per tutto il resto, Farage propone semplicemente un programma conservatore più coerente.

Il sistema elettorale britannico, proprio perché molto territoriale e a turno unico, ha sempre favorito il tradizionale bipartitismo. C’è poco spazio per nuovi partiti. L’eccezione pressoché unica, per lo meno nella storia recente, è stata l’elezione del 2010, in cui i Libdem di Nick Clegg hanno ottenuto il 22% dei voti, abbastanza da negare sia ai Conservatori (allora guidati da David Cameron) sia ai Laburisti (Gordon Brown) di formare un governo. Lo stallo si è sbloccato solo con la formazione della coalizione Cameron-Clegg, un raro governo di coalizione.