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DIETRO IL CASO RS

Regna la cultura della morte, ma siamo anestetizzati

Ormai casi come quello di RS non fanno più notizia e non interessano l'opinione pubblica. Eppure avremmo motivo di preoccuparci molto seriamente: se malati, rischiamo di essere ostaggi di paesi che ci possono mettere a morte. E la Corte Europea dei Diritti Umani è una "filiale" di Soros.

Vita e bioetica 19_01_2021
George Soros

Sono passati meno di tre anni dal caso di Alfie Evans, il bambino gravemente disabile messo a morte in Inghilterra dopo una lunga battaglia sanitario-giudiziaria, ma sembra passato un secolo. Fu un caso che commosse il mondo, soprattutto per la battaglia e il coraggio dei suoi genitori, Tom e Kate, contro un sistema disumano che traccia un confine che espelle le vite che considera indegne di essere vissute. Ne parlarono i giornali di tutto il mondo e anche il Papa fu coinvolto. E ci fu una grande mobilitazione popolare, in tutto il mondo: preghiere e proteste.

Ma da allora sembra passato un secolo: le battaglie delle singole famiglie contro il sistema continuano, ma senza clamore mediatico, sono sempre più sole e mal comprese, i giornali e l’opinione pubblica non sembrano più interessati.
Già nel 2019 il caso della piccola Tafida Raqeeb, anche lei condannata a morte nel Regno Unito, fece fatica a conquistarsi spazio nei media, anche se alla fine i genitori ebbero la possibilità di portare la bambina in Italia, all’ospedale Gaslini di Genova, dove le sue condizioni sono nettamente migliorate e un anno fa è stata dimessa dalla rianimazione (clicca qui).  

Ma oggi la storia di RS non interessa proprio nessuno, appena qualche riga nelle pagine di cronaca di pochissimi giornali locali, in Inghilterra. Per il resto del mondo il caso non esiste. Certo, RS è un adulto e non un bambino, e già questo emoziona meno. I giudici poi si sono fatti furbi: alla prima udienza hanno subito imposto di non rivelare l’identità del protagonista della storia e dei suoi familiari, e hanno anche vietato la diffusione di immagini. Così diventa più difficile creare un caso mediatico: un nome e soprattutto le immagini sono fondamentali per suscitare emozioni, difficile creare un movimento di opinione in favore delle iniziali di un nome. Ma sarebbe ipocrita pensare che questo basti a giustificare il totale disinteresse per RS.

La verità è che ci siamo assuefatti, rassegnati. Ormai funziona così, ci diciamo, inutile lottare contro i mulini a vento. Accade quindi che l’emergere di casi del genere è sentito più come un fastidio, una punturina che ci richiama a fatti dolorosi ormai sepolti nella mente e che non abbiamo voglia di disseppellire; altre cose incombono per cui emozionarsi o indignarsi, la cronaca ne è piena.

Eppure il caso di RS dovrebbe preoccuparci e non poco. Oltre ai tratti comuni con i casi precedenti, c’è una novità non da poco: si tratta di un cittadino polacco, da anni residente in Inghilterra, ma pur sempre un cittadino polacco che – malgrado la battaglia della sua famiglia d’origine e malgrado la richiesta di rimpatrio da parte del governo di Varsavia – è stato tenuto prigioniero del Servizio Sanitario Nazionale (NHS) britannico che ne ha decretato la morte. E potrebbe anche usarne gli organi. Come fosse un delinquente che deve essere giudicato nel paese dove ha commesso il crimine.

Un avvertimento per tutti: quando ci si reca all’estero, nella nostra Europa, in caso di malattia grave siamo alla mercé del paese che ci ospita. Potremmo essere messi a morte se siamo in un paese che promuove l’eutanasia e il suicidio assistito. E i nostri organi potrebbero essere prelevati. È la Corte Europea dei Diritti Umani ad averlo implicitamente affermato respingendo il ricorso del governo polacco.

Già la Corte Europea, l’altro motivo per cui dovremmo essere terribilmente preoccupati. Lo avevamo scritto giusto un anno fa: l’organo del Consiglio d’Europa chiamato a decidere sul rispetto dei diritti umani è pesantemente infiltrato con giudici che sono o sono stati sul libro paga di George Soros e della sua Fondazione (clicca qui). Tutti militanti pro-eutanasia, e il bulgaro che ha ratificato la condanna a morte di RS  - Yonko Grozev – è stato più volte accusato di aver agito in palese conflitto di interessi.

C’è un sistema che ci sta schiacciando, che sempre più si arroga il diritto di decidere chi deve nascere e chi deve morire. Ma ormai siamo troppo anestetizzati per rendercene conto.