Registri unioni omossessuali si muova il ministro
Roma, dopo Bologna, istituisce un registro che trascrive i matrimoni fra omosessuali contratti all'estero. Quei registri sono illegittimi, la legge parla chiaro. Ma i sindaci vogliono fare un atto politico dimostrativo. E il governo (Alfano incluso) invece di intervenire, lascia fare.
Roma dopo Bologna. A luglio il sindaco Merola firma una delibera, che inizia ad avere effetto lunedì scorso; a settembre il sindaco Marino annuncia una seduta di Consiglio comunale per istituire nella Capitale il registro che trascrive i matrimoni fra persone dello stesso sesso contratti all’estero. Si intrecciano un profilo di stretto diritto e uno di ordine politico.
Il piano giuridico non richiede approfondimenti. Quei registri sono illegittimi; la disciplina del matrimonio appartiene alla competenza esclusiva dello Stato, anche quanto al riconoscimento degli effetti nel nostro ordinamento di nozze celebrate fuori dai confini nazionali. Gli argomenti a sostegno di questa affermazione si trovano esposti nel modo più chiaro e completo nel decreto del Tribunale di Milano del 17 luglio scorso pubblicato su questo giornale. Con esso i giudici hanno affrontato il caso di due persone dello stesso sesso che avevano domandato all’ufficiale di stato civile del Capoluogo lombardo la trascrizione del loro matrimonio contratto a Lisbona; poiché il funzionario aveva respinto la richiesta, i due avevano fatto ricorso al giudice, e il Tribunale ha confermato la correttezza della decisione degli uffici comunali: la motivazione contiene una interessante e utile ricognizione del diritto positivo italiano ed europeo sul punto. Lo stesso sindaco Merola, commentando l’invito a lui rivolto dal prefetto di Bologna di revocare il suo provvedimento, ha ammesso la correttezza del comportamento del rappresentante del governo; e ha aggiunto di essere ben consapevole che il suo è un atto privo di “effetti legali”, ed è invece carico di effetti “simbolici”.
Il sindaco non è soltanto il capo del Comune, è pure ufficiale di governo per materie delegate alla sua competenza, la cui disciplina appartiene però alle leggi nazionali: matrimoni e registri dello stato civile rientrano in tale ambito. Sono materie importanti, cui da sempre l’ordinamento italiano conferisce peso: i delitti di alterazione documentale dello stato di una persona sono puniti in modo molto più grave dei delitti di falso. Non sono ammesse zone intermedie: o ci si trova di fronte ad attestazioni veritiere e conformi ai principi fondanti del nostro sistema giuridico, che in quanto tali hanno “effetti legali”, o ci si trova di fronte ad atti illegittimi, se non illeciti, comunque privi di effetti. La categoria degli atti aventi effetti “simbolici” non esiste, e bene ha fatto il prefetto di Bologna, in quanto articolazione territoriale della potestà statale, a esortare il sindaco alla loro rimozione. Perché, nonostante tale autorevole intervento e benché nessuno contesti nel merito la non conformità di quei registri al diritto vigente, altri sindaci hanno anticipato o seguito le orme del loro collega felsineo, come se nulla fosse?
La risposta è politica. L’istituzione di quei registri è rivendicata come una provocazione al Parlamento perché si decida ad approvare una legge sui matrimoni gay, o quanto meno sulle unioni civili. Di più. Merola ha evocato la solidarietà della magistratura: il mio Comune registra le nozze fra persone dello stesso sesso; il prefetto, dopo il mio rifiuto di revocare il registro, a sua volta revoca tale iscrizione; vi è il presupposto perché gli interessati, cioè coloro che sono corsi in municipio per ottenere il riconoscimento delle loro unioni, impugnino la revoca davanti all’autorità giudiziaria. Poiché quest’ultima – non a Milano, ma in qualche altra sede – si è già pronunciata a favore della trascrizione, alla fine la provocazione paga…
Domanda: se l’intervento del prefetto di Bologna è qualificato come ineccepibile addirittura dal sindaco che pure sceglie di disobbedirgli, perché far cadere sui singoli prefetti la responsabilità di contrastare questo mix di illegalità e di demagogia? Non sarebbe più logica, e coerente con l’ordinamento, una circolare del ministro dell’Interno di richiamo al rispetto della legge, diretta ai sindaci nella loro veste di funzionari di governo? I precedenti non mancano: qualche anno fa, mentre si diffondeva la “moda” dell’apertura nei Comuni dei registri delle ultime volontà per la raccolta dei testamenti biologici, l’allora titolare del Viminale rimise i puntini sulle “i”, ricordando con una circolare l’incompetenza in materia dei municipi. Riesce peraltro difficile immaginare che il prefetto di una città come Bologna adotti una iniziativa tanto coraggiosa quanto dirompente senza averla concordata col vertice della sua amministrazione; se ciò è ragionevole, è però irragionevole abbandonarlo nelle polemiche che l’hanno seguita.
Il film somiglia ad altri, che hanno interessato gli ambiti della vita e della famiglia. Il governo Renzi finora ha seguito due strade concorrenti; quando tiene a far approvare qualcosa sceglie la strada del decreto-legge: tempi veloci, dibattito parlamentare ridotto al minino, voto di fiducia in un ramo del Parlamento, ratifica ancora più rapida nell’altro. Così è passato lo scandaloso decreto sugli stupefacenti; così è per la possibilità introdotta qualche giorno fa col decreto “salva-liti” di divorziare davanti a un avvocato, senza necessità di ricorrere al giudice, riducendo il matrimonio a un contratto privato. La seconda strada vede invece protagonisti la Corte costituzionale, parte della magistratura, i sindaci, le regioni… quando tali istituzioni adottano iniziative praeter o contra legem l’esecutivo non interviene, come pure potrebbe fare, nemmeno per contenere i danni; il “lavoro sporco” e le conseguenti polemiche sono lasciati volentieri e per intero ad altri. Prima della vicenda dei registri comunali è accaduto con la fecondazione eterologa: reintrodotta con una sentenza della Consulta, avrebbe richiesto un decreto-legge per fissare dei paletti, e invece si è lasciato fare alle regioni. In questi casi la compattezza del governo non è stata mai incrinata: il ministro dell’Interno che potrebbe far cessare la pantomima dei registri dei matrimoni gay è al tempo stesso il leader del partito che in questi mesi ha garantito tale dissolutoria unità.