POLEMICHE
Referendum sul nucleare, ci provano anche col Papa
Clamorosa strumentalizzazione in chiave anti-nucleare del discorso del Papa a sei nuovi ambasciatori. E tanti cattolici ci vanno dietro senza leggerlo
Attualità
09_06_2011
Il Papa scende in campo contro il nucleare? Così sembrerebbe a leggere i siti dei principali giornali italiani, che riportano il discorso rivolto a sei nuovi ambasciatori presso la Santa Sede. E ovviamente c’è subito uno stuolo di cattolici zelanti che, quando il Papa parla di aborto, famiglia, libertà di educazione, morale sessuale, si distraggono salvo poi vestirsi da guardie svizzere quando tocca temi ecologici. E così eccoli a scrivere alla nostra redazione trionfanti: “Visto? Il Papa è contro di voi”, “Adesso non avete il coraggio di riportare il suo discorso, eh!”, “Citate il Papa solo quando vi fa comodo”, e via di questo passo.
Cari amici zelanti, non solo non censuriamo l’intervento del Papa, ma ve lo riportiamo integrale, (in fondo a questo articolo) così almeno sarete tentati di leggere per intero il suo discorso una volta nella vita, magari cercando di capire quello che dice invece di fargli dire quello che pare a voi.
Lo so, non è solo colpa vostra, voi leggete i grandi giornali e quello che dice il Papa vi arriva attraverso questo filtro. Così se il Corriere della Sera all’occhiello “Nucleare”, aggiunge il titolo “Il Papa: le fonti d’energia non siano pericolose per l’uomo e l’ambiente” e poi nel sommario aggiunge: “L’appello di Benedetto XVI nell’imminenza della tornata referendaria…”, certamente si è portati a pensare che il Papa, sulla scia di Napolitano, abbia sentito l’insopprimibile necessità di dire la sua sui referendum che si svolgono in Italia. Se poi si va sul sito di Repubblica, punto di riferimento dei cattolici adulti, il messaggio attribuito al papa è ancora più chiaro: “Il Papa: il Giappone faccia riflettere”. Non è da meno il sito di Avvenire che, non brillando per originalità, così inizia l’articolo dedicato al discorso del Papa: “Benedetto XVI ha evocato oggi l'emergenza della centrale nucleare di Fukushima in un discorso ai nuovi ambasciatori ricevuti per la presentazione delle credenziali”.
Ora qualcuno ci dovrebbe spiegare perché mai il Papa dovrebbe mettersi a parlare della centrale di Fukushima, del Giappone e della tornata referendaria in Italia rivolgendo un discorso ai nuovi ambasciatori di: Moldavia, Guinea Equatoriale, Belize, Siria, Ghana e Nuova Zelanda (perché questi erano gli ambasciatori che gli presentavano le credenziali). Così fosse si dovrebbe dire, come minimo, che il Papa ha mancato di rispetto ai suoi interlocutori, al limite dell’incidente diplomatico. Come se cogliesse l’occasione di un incontro con l’ambasciatore italiano per esprimere le proprie preferenze alla vigilia delle elezioni in Germania. Chi nelle ultime ore si è scoperto grande estimatore del Papa, gli dovrebbe almeno riconoscere la capacità – più volte dimostrata – di saper dire le cose giuste all’interlocutore corretto.
E allora cosa ha detto il Papa? A voi il piacere di leggerlo integralmente, ma state tranquilli che non ha mai citato né Fukushima né il nucleare né i referendum in Italia. Ha semplicemente svolto una riflessione a partire dalle “innumerevoli tragedie” che “nei primi sei mesi dell’anno” “hanno riguardato la natura, la tecnica e i popoli”. Fra queste c’è certamente anche il terremoto in Giappone che non può essere ristretto all’incidente di Fukushima, visto che i 27mila morti con la centrale nucleare non c’entrano un bel nulla. Ma visto che si parla di "innumerevoli", siamo portati a pensare che magari si riferisse anche ai terremoti in Thailandia e in Indonesia oltre che alle alluvioni in Australia e in Europa nonché alla siccità in Africa.
Quindi ha messo l’uomo al centro di ogni riflessione sulla natura e sulla tecnologia affermando chiaramente che “l’ecologia umana è un imperativo”. Ripeto: “ecologia umana”, non l’ecologismo antiumano a cui volentieri si accodano tanti cattolici. E qui l’invito, tra l’altro, a “sostenere la ricerca e lo sfruttamento di energie adeguate che salvaguardino il patrimonio della creazione e non comportino pericolo per l’uomo”.
Vi sembra contro il nucleare? Se proprio dovessimo tirarlo per la giacchetta dovremmo dire il contrario. Che del resto sarebbe in linea con quanto detto dallo stesso Papa il 29 luglio 2007 nel discorso in occasione del 50° anniversario dell’Agenzia Atomica Internazionale (Aiea), quando lanciò un appello al disarmo nucleare e all'«uso pacifico e sicuro della tecnologia nucleare per un autentico sviluppo , rispettoso dell'ambiente e sempre attento alle popolazioni più svantaggiate». E in linea con quanto il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, citando due discorsi di Giovanni Paolo II, dice al no. 470, afferma a proposito di risorse energetiche, quando invita la comunità scientifica “a identificare nuove fonti energetiche, a sviluppare quelle alternative e a elevare i livelli di sicurezza dell’energia nucleare”.
Cari amici cattolici zelanti, leggetelo il Papa, ma leggetelo tutto.
Ed ecco il testo integrale pronunciato il 9 giugno ai nuovi ambasciatori che gli hanno presentato le credenziali.
È con gioia che vi ricevo questa mattina nel Palazzo Apostolico per la presentazione delle Lettere che vi accreditano come Ambasciatori Straordinari e Plenipotenziari dei vostri rispettivi Paesi presso la Santa Sede: Moldova, Guinea Equatoriale, Belize, Repubblica Araba di Siria, Ghana e Nuova Zelanda. Vi ringrazio per le cortesi parole che mi avete rivolto da parte dei vostri rispettivi Capi di Stato. Vogliate trasmettere loro in cambio i miei deferenti saluti e miei voti rispettosi per la loro persona e per l'alta missione che svolgono al servizio del loro Paese e del loro popolo. Desidero anche salutare attraverso di voi tutte le autorità civili e religiose delle vostre nazioni, come pure tutti i vostri concittadini. Le mie preghiere e i miei pensieri si rivolgono naturalmente anche alle comunità cattoliche presenti nei vostri Paesi.
Poiché ho l'opportunità di incontrare ciascuno di voi singolarmente, desidero ora parlare in maniera più generale. I primi sei mesi di quest'anno sono stati caratterizzati da innumerevoli tragedie che hanno riguardato la natura, la tecnica e i popoli. L'entità di tali catastrofi ci interpella. È l'uomo che viene per primo, ed è bene ricordarlo. L'uomo, al quale Dio ha affidato la buona gestione della natura, non può essere dominato dalla tecnica e divenirne il soggetto. Una tale presa di coscienza deve portare gli Stati a riflettere insieme sul futuro a breve termine del pianeta, di fronte alle loro responsabilità verso la nostra vita e le tecnologie. L'ecologia umana è una necessità imperativa.
Adottare in ogni circostanza un modo di vivere rispettoso dell'ambiente e sostenere la ricerca e lo sfruttamento di energie adeguate che salvaguardino il patrimonio del creato e non comportino pericolo per l'uomo devono essere priorità politiche ed economiche. In questo senso, appare necessario rivedere totalmente il nostro approccio alla natura. Essa non è soltanto uno spazio sfruttabile o ludico. È il luogo in cui nasce l'uomo, la sua "casa", in qualche modo. Essa è fondamentale per noi. Il cambiamento di mentalità in questo ambito, anzi gli obblighi che ciò comporta, deve permettere di giungere rapidamente a un'arte di vivere insieme che rispetti l'alleanza tra l'uomo e la natura, senza la quale la famiglia umana rischia di scomparire. Occorre quindi compiere una riflessione seria e proporre soluzioni precise e sostenibili. Tutti i governanti devono impegnarsi a proteggere la natura e ad aiutarla a svolgere il suo ruolo essenziale per la sopravvivenza dell'umanità. Le Nazioni Unite mi sembrano essere il quadro naturale per una tale riflessione, che non dovrà essere offuscata da interessi politici ed economici ciecamente di parte, così da privilegiare la solidarietà rispetto all'interesse particolare.
Occorre inoltre interrogarsi sul giusto posto che deve occupare la tecnica. I prodigi di cui è capace vanno di pari passo con disastri sociali ed ecologici. Estendendo l'aspetto relazionale del lavoro al pianeta, la tecnica imprime alla globalizzazione un ritmo particolarmente accelerato. Ora, il fondamento del dinamismo del progresso corrisponde all'uomo che lavora e non alla tecnica, che non è altro che una creazione umana. Puntare tutto su di essa o credere che sia l'agente esclusivo del progresso o della felicità comporta una reificazione dell'uomo, che sfocia nell'accecamento e nell'infelicità quando quest'ultimo le attribuisce e le delega poteri che essa non ha. Basta constatare i "danni" del progresso e i pericoli che una tecnica onnipotente e in ultimo non controllata fa correre all'umanità.
La tecnica che domina l'uomo lo priva della sua umanità. L'orgoglio che essa genera ha fatto sorgere nelle nostre società un economismo intrattabile e un certo edonismo, che determina i comportamenti in modo soggettivo ed egoistico. L'affievolirsi del primato dell'umano comporta uno smarrimento esistenziale e una perdita del senso della vita. Infatti, la visione dell'uomo e delle cose senza riferimento alla trascendenza sradica l'uomo dalla terra e, fondamentalmente, ne impoverisce l'identità stessa. È dunque urgente arrivare a coniugare la tecnica con una forte dimensione etica, poiché la capacità che ha l'uomo di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo per mezzo del suo lavoro, si compie sempre a partire dal primo dono originale delle cose fatto da Dio (Giovanni Paolo II, Centesimus annus n. 37).
La tecnica deve aiutare la natura a sbocciare secondo la volontà del Creatore. Lavorando in questo modo, il ricercatore e lo scienziato aderiscono al disegno di Dio, che ha voluto che l'uomo sia il culmine e il gestore della creazione. Le soluzioni basate su questo fondamento proteggeranno la vita dell'uomo e la sua vulnerabilità, come pure i diritti delle generazioni presenti e future. E l'umanità potrà continuare a beneficiare dei progressi che l'uomo, per mezzo della sua intelligenza, riesce a realizzare.
Adottare in ogni circostanza un modo di vivere rispettoso dell'ambiente e sostenere la ricerca e lo sfruttamento di energie adeguate che salvaguardino il patrimonio del creato e non comportino pericolo per l'uomo devono essere priorità politiche ed economiche. In questo senso, appare necessario rivedere totalmente il nostro approccio alla natura. Essa non è soltanto uno spazio sfruttabile o ludico. È il luogo in cui nasce l'uomo, la sua "casa", in qualche modo. Essa è fondamentale per noi. Il cambiamento di mentalità in questo ambito, anzi gli obblighi che ciò comporta, deve permettere di giungere rapidamente a un'arte di vivere insieme che rispetti l'alleanza tra l'uomo e la natura, senza la quale la famiglia umana rischia di scomparire. Occorre quindi compiere una riflessione seria e proporre soluzioni precise e sostenibili. Tutti i governanti devono impegnarsi a proteggere la natura e ad aiutarla a svolgere il suo ruolo essenziale per la sopravvivenza dell'umanità. Le Nazioni Unite mi sembrano essere il quadro naturale per una tale riflessione, che non dovrà essere offuscata da interessi politici ed economici ciecamente di parte, così da privilegiare la solidarietà rispetto all'interesse particolare.
Occorre inoltre interrogarsi sul giusto posto che deve occupare la tecnica. I prodigi di cui è capace vanno di pari passo con disastri sociali ed ecologici. Estendendo l'aspetto relazionale del lavoro al pianeta, la tecnica imprime alla globalizzazione un ritmo particolarmente accelerato. Ora, il fondamento del dinamismo del progresso corrisponde all'uomo che lavora e non alla tecnica, che non è altro che una creazione umana. Puntare tutto su di essa o credere che sia l'agente esclusivo del progresso o della felicità comporta una reificazione dell'uomo, che sfocia nell'accecamento e nell'infelicità quando quest'ultimo le attribuisce e le delega poteri che essa non ha. Basta constatare i "danni" del progresso e i pericoli che una tecnica onnipotente e in ultimo non controllata fa correre all'umanità.
La tecnica che domina l'uomo lo priva della sua umanità. L'orgoglio che essa genera ha fatto sorgere nelle nostre società un economismo intrattabile e un certo edonismo, che determina i comportamenti in modo soggettivo ed egoistico. L'affievolirsi del primato dell'umano comporta uno smarrimento esistenziale e una perdita del senso della vita. Infatti, la visione dell'uomo e delle cose senza riferimento alla trascendenza sradica l'uomo dalla terra e, fondamentalmente, ne impoverisce l'identità stessa. È dunque urgente arrivare a coniugare la tecnica con una forte dimensione etica, poiché la capacità che ha l'uomo di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo per mezzo del suo lavoro, si compie sempre a partire dal primo dono originale delle cose fatto da Dio (Giovanni Paolo II, Centesimus annus n. 37).
La tecnica deve aiutare la natura a sbocciare secondo la volontà del Creatore. Lavorando in questo modo, il ricercatore e lo scienziato aderiscono al disegno di Dio, che ha voluto che l'uomo sia il culmine e il gestore della creazione. Le soluzioni basate su questo fondamento proteggeranno la vita dell'uomo e la sua vulnerabilità, come pure i diritti delle generazioni presenti e future. E l'umanità potrà continuare a beneficiare dei progressi che l'uomo, per mezzo della sua intelligenza, riesce a realizzare.
Consapevoli del rischio che corre l'umanità dinanzi a una tecnica vista come una "risposta" più efficiente del volontarismo politico o dello sforzo paziente educativo per civilizzare i costumi, i Governi devono promuovere un umanesimo rispettoso della dimensione spirituale e religiosa dell'uomo. Infatti, la dignità della persona umana non cambia con il fluttuare delle opinioni. Il rispetto della sua aspirazione alla giustizia e alla pace consente la costruzione di una società che promuove se stessa quando sostiene la famiglia o quando rifiuta, per esempio, il primato esclusivo delle finanze. Un Paese vive della pienezza della vita dei cittadini che lo compongono, essendo ognuno consapevole delle proprie responsabilità e potendo far valere le proprie convinzioni. Inoltre, la tensione naturale verso il vero e verso il bene è fonte di un dinamismo che genera la volontà di collaborare per realizzare il bene comune.
Così, la vita sociale può arricchirsi costantemente, integrando la diversità culturale e religiosa attraverso la condivisione di valori, fonte di fraternità e di comunione. Dovendo considerare la vita in società anzitutto come una realtà di ordine spirituale, i responsabili politici hanno la missione di guidare i popoli verso l'armonia umana e verso la saggezza tanto auspicate, che devono culminare nella libertà religiosa, volto autentico della pace.
Così, la vita sociale può arricchirsi costantemente, integrando la diversità culturale e religiosa attraverso la condivisione di valori, fonte di fraternità e di comunione. Dovendo considerare la vita in società anzitutto come una realtà di ordine spirituale, i responsabili politici hanno la missione di guidare i popoli verso l'armonia umana e verso la saggezza tanto auspicate, che devono culminare nella libertà religiosa, volto autentico della pace.
Mentre iniziate la vostra missione presso la Santa Sede, desidero assicurarvi, Eccellenze, che troverete sempre presso i miei collaboratori l'ascolto attento e l'aiuto di cui potrete avere bisogno. Su di voi, sulle vostre famiglie, sui membri delle vostre Missioni diplomatiche e su tutte le nazioni che rappresentate invoco l'abbondanza delle Benedizioni divine.