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Dottrina sociale
a cura di Stefano Fontana

STATALISMO

Reddito di cittadinanza, pollice verso

Il reddito di cittadinanza, in qualsiasi forma sia realizzato, pone evidenti problemi dal punto di vista della Dottrina sociale. Non ultimo perché considera soltanto l'individuo, slegato da qualsiasi relazione familiare o sociale, reso dipendente dallo Stato.

Dottrina sociale 25_09_2018

Sembra che nella manovra finanziaria del governo ci sarà anche il reddito di cittadinanza, magari in combinata con la flat tax. L’espressione “reddito di cittadinanza” può essere anche solo un’etichetta, bisognerà poi vedere come verrà eventualmente declinato in manovra. Sul piano dei principi però è ugualmente possibile fin da ora dire che dal punto di vista della Dottrina sociale della Chiesa e della sua visione della società esso desta molte perplessità, quando addirittura non meriti una bocciatura. Anche se esso non fosse una distribuzione a pioggia di un sussidio di sussistenza ma fosse per esempio collegato con attività di formazione e reinserimento nel mondo del lavoro, anche se cioè esso fosse provvisorio e sussidiario, nondimeno porrebbe seri problemi di accettabilità.

Comunque sia concepito, il reddito di cittadinanza parte dallo Stato, è quindi espressione dello Stato-Mamma, ossia di un welfare centralistico e onnipotente che è la declinazione moderna dello Stato assoluto, del Leviatano di Hobbes. Lo Stato assistenziale è lo Stato socialdemocratico che considera i cittadini una massa di individui cui esso provvede e, provvedendovi, controlla e asservisce a sé stesso.

Il reddito di cittadinanza richiederà la produzione di documenti alla pubblica amministrazione, l’accumulo di scartoffie sulle scrivanie degli uffici statali, code agli sportelli, moltiplicazione delle normative, il potenziamento della burocrazia statale e, magari anche nuove assunzioni nella macchina dello Stato per far fronte ai nuovi bisogni della cittadinanza che pensa di rientrare nel novero di chi beneficerà dei sussidi. Comporterà, in altre parole, una nuova enfiatura dello Stato e una nuova centralità della pubblica amministrazione. Lo scopo proclamato sono i servizi al cittadino, ma in realtà di altro non si tratta che di dipendenza di quest’ultimo dalla macchina statale.

In questo contesto di amministrazione universalistica, burocratica, centralizzata, ciecamente proceduralistica, commettere ingiustizia è facilissimo, anzi inevitabile. Quanti risulteranno bisognosi anche se non lo sono? Quanti occulteranno il proprio reddito in modo da beneficiare dei nuovi sussidi? Se per evitare questo ci si affida alla sorveglianza occhiuta dello Stato ecco che si ritorna a potenziarne la presenza di controllo e centralistica supervisione.

Il reddito di cittadinanza, inoltre, tornerebbe a considerare il cittadino – e il contribuente – come un soggetto puramente individuale, un nome e un cognome, un codice fiscale, dissociandolo, per la valutazione delle sue caratteristiche in ordine a ricevere il beneficio, dal contesto familiare e sociale in cui è inserito. Una normativa di questo genere avrà sempre di mira il cittadino astratto e non la persona concreta che è sempre dentro una rete di relazioni, comprese le relazioni di solidarietà.

Si continua a percorrere, quindi, la strada iniziata tanto tempo fa con la legge Le Chappellier del 1791, agli inizi della Rivoluzione Francese. Si continua a demolire le reti di solidarietà familiare e sociale, quelle reti che un tempo erano espressione della religione cristiana e che proprio per questo furono demolite per far dipendere la persona – chiamata ora “cittadino” – dall’apparato dello Stato, il Dio in terra, la Grande Macchina. Il reddito di cittadinanza ripercorre lo stesso schema: da un lato c’è il cittadino bisognoso, dall’altro lato c’è lo Stato e in mezzo non c’è niente. Gli interventi, anche di solidarietà, spettano quindi allo Stato e a nessun altro.

La situazione è innaturale, artificiale appunto. Si distrugge la famiglia come luogo primario di solidarietà e primo ammortizzatore sociale e poi, agli individui rimasti soli e poveri, si propone il sussidio statale con la relativa dipendenza. Individualizzazione, massificazione e statalizzazione sono un unico processo. Si demoliscono le reti della solidarietà a sfondo religioso della società civile, si “statalizzano” perfino la Caritas, Sant’Egidio, gli ospedali cattolici, e poi lo Stato rivendica anche il dovere-diritto di dare diretti sussidi tramite il reddito di cittadinanza. 

Molti di coloro che nella società civile fanno beneficienza e solidarietà lo fanno con i soldi dello Stato e non con i propri. Rimangono, in fine dei conti, dentro un sistema imposto dall’alto e non germinante dal basso. Sia con gli appalti comunali, sia con le sovvenzioni regionali, sia tramite i progetti dell’Unione europea, sia infine con i contributi della Presidenza del Consiglio, la solidarietà è già tutta in mano dello Stato e della politica … ma tutto ciò, lo vediamo, produce disagio anziché risolverlo. E poi, per affrontare questo disagio, si fa tornare in campo ancora lo Stato con il reddito di cittadinanza (Stefano Fontana).