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ECONOMIA

Redditi giù, ecco chi ha fatto male i conti

Secondo il Rapporto Istat, i redditi sono tornati ai livelli di 27 anni fa. Ma come è possibile? Tutto è cominciato con il crollo dei tassi di fertilità, fattore che ha innescato un processo a catena tra economia drogata dal consumismo, delocalizzazione, deindustrializzazione. E l'aumento delle tasse rende insostenibile la situazione.

Economia 28_01_2013
Redditi in calo

Abbiamo letto su tutti i giornali che, secondo il rapporto Istat (23 gennaio 2013), il reddito degli italiani è tornato indietro di ben 27 anni. Ma che significa un'affermazione del genere, come è possibile? Possiamo supporre che la crisi in atto ci ha reso più poveri per un 20% circa? Ma come si spiega? Potremmo magari supporre che in realtà l’economia, e conseguentemente i redditi, non siano mai cresciuti in questi 27anni? Cioè che per circa trent'anni la crescita del Pil , dei redditi, dei valori mobiliari e immobiliari è stata un bluff? Ma perché invece il reddito nominale e il valore delle Borse e il valore degli immobili crescevano?  E perché si parla solo di responsabilità della finanza (banchieri) e di necessità di riforme? Ma ora le riforme  che ci dicono essere necessarie, ci ridaranno i redditi persi e i valori del nostro risparmio? Diciamoci la verità, non abbiamo capito molto di quello che è successo. Proviamo perciò a tentare una spiegazione.

Circa quaranta anni fa l’Occidente ha smesso egoisticamente di fare figli. Interrompendo le nascite ha interrotto la domanda fatta dal biberon all'età adulta: dalla scuola al lavoro, poi il matrimonio, l'acquisto della casa, altri figli, e così via. Questa decisione ha significato interrompere un sistema di consumi-investimenti, reddito, tasse, distribuzione ricchezza e compensazione generazionale di contribuzioni equilibrate alla vecchiaia da parte dei giovani. Senza crescita della popolazione la domanda non cresce più.

Come può infatti crescere il PIL se la popolazione non cresce? Certo con la produttività, le esportazioni, ma è vero? E per quanto? In realtà questo è stato il modo per avviare la famosa politica nefasta di sviluppo del PIL attraverso la crescita dei consumi individuali. Invece di più gente che consuma “normalmente” (e non vive per consumare) si sceglie di aver meno gente che consuma individualmente sempre più. Per convincere a consumare come stile di vita nasce la cultura del cosiddetto “consumismo", della soddisfazione a breve (il tempo di una vita) con ogni cosa (tutto subito). La teorizzazione del consumismo è stata accompagnata e sostenuta dalla certezza filosofica che l’uomo, essendo un animale intelligente, andasse soddisfatto materialmente per renderlo felice. Cosicché si crea una generazione di “animali intelligenti” con la pancia piena, il gurdaroba ed il garage pieno, e l’intelletto vuoto e lo spirito assente.

Il problema è che per fare consumare individualmente sempre più si deve anche fare guadagnare sempre più. Contraddizione evidente: così si spinge anzitutto a non risparmiare più ed a indebitarsi pur di comperare tutto subito. Ma per far consumare di più tutti (abbienti e meno) si deve anche vender prodotti a basso prezzo e far crescere il potere di acquisto. A questo scopo si delocalizzano le produzioni in paesi emergenti a basso costo (Asia soprattutto), cosa che però significa esportare produzione e occupazione. 

In sintesi, interrompendo le nascite, deindustrializzando, delocalizzando, non risparmiando ed indebitandosi per consumare, si è  provocata  la crescita esponenziale dei costi fissi dovuta all’invecchiamento della popolazione senza crescita reale del PIL e senza un sistema economico equilibrato interno all’Occidente. Questi costi fissi sono stati pensioni e sanità dovuti allo squilibrio della popolazione che invecchiava soprattutto. Detti costi fissi vengono assorbiti da tasse, sempre in crescita. Nei fatidici ventisette anni  il peso delle tasse sul PIL viene raddoppiato. Che succede se le tasse crescono? Succede che diminuiscono i redditi reali, il potere di acquisto e si guadagna meno, si risparmia sempre meno, si investe meno, si ha più paura dell’avvenire, ci si sposa più tardi, entrambi i membri della coppia decidono di dover lavorare , non si fanno figli. La crescita delle tasse sulle imprese provoca meno investimenti, meno produttività, meno occupazione in prospettiva .

Oggi, grazie a tutto ciò, una coppia a parità di studi, di occupazione professionale, di età, guadagna circa la metà di quanto guadagnava trenta anni fa il “capofamiglia”. Lo abbiamo detto, in trenta anni il peso delle imposte sul PIL è raddoppiato, e ciò è avvenuto perché abbiamo pensato di ignorare leggi naturali che sono fondamento delle leggi economiche. Abbiamo ignorato leggi morali che provocano il cattivo uso del mezzo economico e finanziario. Tutto ciò Benedetto XVI lo ha scritto nell'enciclica Caritas in Veritate. E questo il Pontefice lo ha scritto circa quattro anni prima che l’Istat lo rilevasse con opportune statistiche. Se si contraddice la vita e si ignora che lo sviluppo economico deve esser integrale e non solo materiale, se si concepisce l’uomo quale animale intelligente da soddisfare solo materialmente, togliendogli la sua dignità originale, ebbene, se si fa tutto ciò, non si può altro che “impoverire” da ogni punto di vista.

Se non si fanno figli, confidando solo nel consumismo (importando beni a basso costo da altri paesi) per far crescere il PIL,  non si mantengono gli anziani, non si crea sviluppo sostenibile, non si creano posti di lavoro, non si permette la formazione di  famiglie  con il desiderio soddisfatto di  fare altri figli. Una specie di autoestinzione modello cataro (albigese) su basi economiche. Ecco perché lo strumento economico, senza un fine, può diventare dannoso. 

Conclusione: se la diagnosi delle ragioni di questa crisi è sbagliata, la terapia non produrrà conseguenze positive. E' un fatto che gli attuali candidati politici, che si sforzano di produrre idee forti di carattere economico, dovrebbero capire. Altrimenti l’Istat nel 2020 rileverà che il reddito degli italiani è ormai assimilabile a quello degli abitanti di qualche paese in via di sviluppo.