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FINANZA

Rating: brutto voto per l'Italia, per le nostre divisioni interne

L'abbassamento del rating dell'Italia da parte dell'agenzia Fitch era assolutamente prevedibile. Ma non è una bocciatura: i fondamentali reggono, l'Italia ha ancora un'economia capace di riprendersi. Piuttosto restano le preoccupazioni per la polarizzazione politica in Italia. Il contrario del Portogallo che ha ritrovato unità nazionale

Economia 30_04_2020
La sede della Fitch, agenzia di rating

Ci si sarebbe dovuti sorprendere se non lo avesse fatto. Era infatti del tutto scontato che l’agenzia di rating Fitch, una delle quattro “sorelle” che danno le pagelle agli strumenti finanziari, abbassasse il voto per i titoli italiani appena ne avesse avuto l’occasione. E così è avvenuto, ma era ampiamente scontato. Tanto che alla riapertura dei mercati la Borsa valori ha fatto segnare un andamento positivo e lo spread (il differenziale tra gli interessi tra i titoli italiani e quelle tedeschi) si è mosso al rialzo in maniera quasi impercettibile. E peraltro il Tesoro ha collocato senza particolari problemi sei miliardi di nuovi titoli di Stato.

Ma non è che tutto vada bene, anzi. L’abbassamento del rating deriva dal fatto che se è vero che la pandemia si è manifestata in tutti i Paesi, è altrettanto vero che l’Italia appare più fragile di altri Paesi sotto il profilo economico e finanziario. L’emergenza sta infatti richiedendo, giustamente, un forte intervento finanziario per il sostegno alle imprese che sono state costrette a chiudere i battenti per due mesi e più e per compensare almeno in parte la perdita di guadagno da parte dei lavoratori. Ebbene i soldi bisogna pur trovarli e questo lo si può fare prendendoli a prestito e quindi aumentando i debiti: il problema è che l’Italia ha già un debito pubblico molto alto e farlo aumentare ancora, come necessario, vuol dire aggiungere il peso di nuovi interessi che si dovranno pagare nei prossimi anni. Fortunatamente l’Italia può contare sulla moneta unica e sulla politica della Banca centrale europea che, nonostante qualche tentennamento iniziale, sta praticando una politica di forti acquisti sul mercato di titoli pubblici. E c’è la dimensione europea con i prestiti che stanno per essere varati sotto varie forme. E poi l’Italia può contare su di una ricchezza privata che è tra, pro capite, tra le più alte d’Europa se è vero, come è vero, che ci sono almeno 1400 miliardi di euro depositati nei conti correnti.

Ha ragione il ministro Gualtieri quando afferma che i “fondamentali” dell’Italia restano buoni, che le prospettive di ripresa sono ancora positive, che la forza delle piccole e medie imprese potrà aiutare a rilanciare esportazioni ed occupazione. Ma non mancano i punti interrogativi che devono essere arrivati all’orecchio anche degli esperti analisti delle agenzie di rating. Per esempio il fatto che ci sono partiti politici, che hanno un largo consenso, che sono fortemente anti-europeisti e che non perdono occasione per sostenere l’Italexit, l’uscita dell’Italia dall’euro e dall’Europa seguendo l’esempio degli inglesi, che peraltro non hanno mai aderito alla moneta unica. Per il nostro paese una prospettiva di questo tipo non potrebbe che aprire le porte ad un futuro di povertà e di isolamento. Senza l’Europa andremmo alla deriva, travolti da un’inflazione che punirebbe pesantemente i risparmi, taglierebbe il valore delle pensioni, spezzerebbe le vie dei commerci che sono fondamentali per gran parte del tessuto industriale italiano. 

L’Europa è spesso vista e raccontata per quello che non è. Come una controparte, come un oscuro potere gestito dai burocrati di Bruxelles (che peraltro sono meno dei funzionari del Comune di Roma e hanno ben poca discrezionalità operativa). Certo appaiono lontani i principi ispiratori della Comunità europea. Comunità un nome scelto non a caso da statisti cattolici con il nome di De Gasperi, Adenauer e Schumann, gli artefici nell’immediato dopoguerra dell’avvio del cammino europeo. Comunità: un nome che ricorda le radici cristiane, così come la condivisione e la solidarietà, la partecipazione e la lotta alle disuguaglianze. Ma in questa emergenza l’Europa si è finora mossa in questa prospettiva. La Bce ha mantenuto la stabilità dei mercati finanziari. La Commissione ha varato misure per il sostegno alla disoccupazione e ha abolito i vincoli del patto di stabilità consentendo ai singoli paesi di compiere le necessarie manovre di bilancio. Il Consiglio dei capi di Stato e di Governo ha avviato le pur complesse procedure per lanciare un nuovo fondo solidale garantito dal bilancio comunitario.

Si poteva fare di più? Certamente sì. Ma i passi in avanti europei sono stati comunque importanti e significativi. Non altrettanto l’Italia ha fatto al proprio interno. In una situazione di grave emergenza la politica avrebbe potuto dare un esempio di forza e di unità. Così non è stato e non è. In Portogallo Rui Rio, capo dell’opposizione di centro-destra, al dibattito sullo stato di emergenza ha affermato: «La minaccia che dobbiamo combattere esige unità, solidarietà, senso di responsabilità. Per me, in questo momento, il governo non è l’espressione di un partito avversario, ma la guida dell’intera nazione che tutti abbiamo il dovere di aiutare. Non parliamo più di opposizione, ma di collaborazione. Signor primo ministro Antonio Costa conti sul nostro aiuto. Le auguriamo coraggio, nervi d’acciaio e buona fortuna perché la sua fortuna è la nostra fortuna». In Portogallo.