Ramadan violento: attacchi contro i locali pubblici
Ogni anno si accompagnano al Ramadan gravissimi casi di violenza contro ristoranti e caffè che servono cibo e bevande durante le ore di digiuno. In questo ultimo mese di digiuno è successo a Tunisi, ai danni di camerieri e clienti di un caffé. E la risposta delle autorità? Colpevoli silenzi e tolleranza nei confronti degli intolleranti
Ogni anno si accompagnano al Ramadan gravissimi casi di violenza contro ristoranti e caffè che servono cibo e bevande durante le ore di digiuno. È di pochi giorni fa la notizia dell’aggressione subita dal proprietario, dai camerieri e dagli avventori di un caffè alla periferia di Tunisi, ad opera di un gruppo di estremisti che ha tentato di bruciare il locale che avevano preso d’assalto.
L’aggressione ha destato scalpore sui social network e i media del mondo arabo. Secondo la ricostruzione di Sky News Arabia, il proprietario si sarebbe rifiutato di derubricare l’accaduto a semplice “disaccordo tra i giovani del quartiere”, come invece dichiarato dal ministero dell’Interno. Mentre numerosi video smentiscono il capo della polizia, il quale ha negato che le persone arrestate a seguito dell'incidente fossero estremisti. Al solito grido di “Allahu Akbar” e intonando tipici slogan “takfiri” rafforzati da insulti a sfondo ideologico-militante, questi “giovani del quartiere” erano infatti armati di coltelli e hanno gettato benzina sulla vetrina del caffè. Uno dei camerieri, racconta il proprietario, è rimasto ferito ed è stato portato in un ospedale nella capitale.
In Tunisia, nel periodo del Ramadan, per tradizione i ristoranti e i caffè sono soliti chiudere le porte durante il giorno per riaprirle non prima dell’iftar, dopo il tramonto. Tuttavia, non vige nessuna legge che vieti la fornitura di cibo e bevande. Pertanto, è più che giustificato il richiamo rivolto dalla Lega tunisina per la difesa dei diritti dell'uomo alle autorità, affinché si assumano “la responsabilità […] di garantire le libertà pubbliche e individuali e la loro protezione”. Celebrare il Ramadan e seguirne i precetti deve rispondere a una libera scelta, non alla paura dettata dalle forze dell’estremismo, che cercano d’imporre la propria dittatura con la violenza e in violazione delle leggi dello stato.
La libertà di scelta è anche una questione di sicurezza, che le istituzioni sono chiamate a garantire senza cedimenti o minimizzazioni a quanti non intendono celebrare il Ramadan o intendono viverlo come meglio ritengono. La tolleranza verso l’intolleranza mostrata dalle autorità nel caso del caffè di Tunisi non giova dunque alla lotta all’estremismo ed è controcorrente rispetto all’impegno profuso dal Presidente Essebsi e dal partito Nidaa Tounes nel contrastare l’agenda islamista dei Fratelli Musulmani e del partito Ennhada, supportati dal Qatar degli emiri Al Thani e dalla Turchia di Erdogan.
Se le autorità temono che far dispiacere i Fratelli Musulmani possa nuocere alla stabilità e all’ordine pubblico, significa che non si sono ancora impegnate pienamente nella lotta all’estremismo. Il rifiuto del proprietario del caffè di accettare la versione edulcorata, per usare un eufemismo, del ministero dell’Interno e il coraggio nel tenere aperta la propria attività malgrado fosse consapevole della possibilità di un attacco, costituiscono una sfida aperta nei confronti degli estremisti condivisa dalla maggioranza del mondo arabo. L’indignazione largamente manifestata sui social network e sui media è indice della chiara volontà di combattere per la definitiva affermazione di diritti e libertà su fondamentalismo e oscurantismo. Lo stesso Ramadan ha il diritto di essere liberato dalla paura indotta dalle forze dell’estremismo.
Al contempo, collegato alla paura c’è un altro fattore che caratterizza in maniera crescente le odierne celebrazioni del Ramadan: l’ipocrisia, ovvero l’ipocrisia a cui soggiacciono tutti coloro che mangiano o bevono, anche alcolici, di nascosto nel timore di essere malgiudicati perché contravvengono non a un comandamento religioso ma a un obbligo sociale. Soprattutto quello dell’alcool è un taboo assai diffuso nel mondo arabo che richiede di essere sfatato. Un articolo della rivista Le Journal Hebdomadaire intitolato “I marocchini e l’alcool. Inchiesta su una grande ipocrisia”, risalente a qualche anno fa ma sempre di grande attualità, ha descritto a chiare lettere il comportamento e lo stile di vita della maggioranza della popolazione: dai ristoranti e i caffè dei principali centri urbani, come Casablanca, ai luoghi di consumo più discreti dei centri rurali, l’alcool è una presenza costante anche nel periodo di Ramadan, in vista del quale i marocchini di tutte le fasce sociali si premuniscono di scorte di bottiglie di vino, birra e superalcolici, legalmente e illegalmente. Le Journal Hebdomadaire sottolinea il ruolo trainante dell’industria dell’alcool per l’economia, sia sul versante dell’occupazione che per le casse dello stato, certificando la sostanziale normalità dell’uso e della vendita di alcolici in Marocco. Tale normalità non sminuisce l’islamicità per religione e cultura della società marocchina, ma è il velo d’ipocrisia imposto dai Fratelli Musulmani a far sì che persista una contraddizione che nella realtà dei fatti è inesistente.
Strappare questo velo d’ipocrisia, che continua a riempire con l’indottrinamento e la radicalizzazione il vuoto di educazione scolastica e d’integrazione che riguarda soprattutto i giovani e le donne, è l’obiettivo da raggiungere nella sfida epocale contro le forze dell’estremismo che attanagliano tutto il mondo arabo e musulmano anche durante il Ramadan.