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Dottrina sociale
a cura di Stefano Fontana

IL PROBLEMA

Rai, un servizio statale pervasivo ma ingiustificato

Basandosi sui principi della DSC, il servizio pubblico televisivo andrebbe ridotto al minimo. Invece è elefantiaco e la Rai si propone come una Grande Educatrice. Ma ciò non spetta allo Stato. E poi è megafono delle ideologie.

Dottrina sociale 29_07_2023

La polemica su Saviano a seguito della soppressione del suo programma Rai Insider (vedi qui) ripropone il tema della legittimazione del servizio pubblico nel campo dell’informazione e della comunicazione. È giustificata una presenza così massiccia come nel nostro Paese? Se applichiamo i principi della Dottrina sociale della Chiesa (DSC) a questo argomento, la conclusione è molto semplice: il servizio pubblico statale va ridotto al minimo, non ha alcun motivo di essere strutturato nell’attuale forma pervasiva ed elefantiaca.

Oggi la Rai fa informazione più volte al giorno con i suoi telegiornali, fa intrattenimento con i suoi spettacoli (spesso volgari), produce serie lunghissime di fiction, insegna a cucinare, ospita dibattiti su ogni questione di cronaca, trasmette programmi cosiddetti “educativi” di storia, scienza o arte, oltre naturalmente alla trasmissione di film. In altri termini copre tutti gli aspetti della vita personale e sociale, proponendosi come una Grande Educatrice che provvede a tutti i bisogni informativi e formativi dei suoi figli. Fa tutto questo, ma non ne ha il titolo perché non spetta allo Stato fare tutto questo. Il principio di sussidiarietà taglia alla base ogni discorso: non è ammissibile che lo Stato educhi tramite la scuola pubblica e poi educhi o rieduchi anche tramite il proprio servizio televisivo. Si tratta di un accentramento pervasivo che va rivisto.

Un tempo si diceva che la Rai ha svolto un utile compito di educazione popolare (con “Non è mai troppo tardi”, “Ascolta, si fa sera”, “Vivere insieme”, il programma sulla famiglia di Ugo Sciascia) e di cultura popolare (con i teleromanzi dell’epoca Bernabei) aiutando il Paese a trovare una sua maggiore unità e contribuendo all’emancipazione culturale delle masse. Anche ammesso che ciò sia vero, che sia stato utile e che spettasse allo Stato farlo, appare fuori di dubbio che in seguito la TV pubblica ha invece ampiamente de-moralizzato, secolarizzato e spesso diseducato gli italiani. Ha assunto e rilanciato una cultura di massa postmoderna, dando spazio a tutte le profanazioni (ricordiamo gli ultimi Sanremo) e a tutte le trasgressioni.

Essendo poi una funzione dello Stato democratico, è impossibile che essa non sia terreno della lotta tra i partiti, che la sua informazione non sia ossequiosa verso le istituzioni anziché critica e che si adatti al cambiamento delle maggioranze parlamentari. L’informazione sulle reti Rai sta sempre dentro i limiti della correttezza politica e un vero giornalismo d’inchiesta non c’è o, quando c’è, è targato ideologicamente. Non garantisce nemmeno il pluralismo, perché va riconosciuto che è diventata appannaggio quasi esclusivo della cultura di sinistra la quale ha svolto un ruolo omogeneizzante sulle masse italiane, costruendo un modo di pensare ormai largamente trasversale a tutte le latitudini politiche. Sfido a trovare differenze di impostazione tra i telegiornali delle tre reti televisive. Oggi il servizio pubblico fa da megafono alle principali ideologie decise dal potere, dall’emergenza sanitaria a quella climatica.