Ragazze di Chibok, dopo la libertà inizierà l'ostracismo
Delle 255 studentesse rapite dai terroristi Boko Haram a Chibok, in Nigeria, 57 erano fuggite la notte stessa. Altre 21 sono state rilasciate dal gruppo jihadista la scorsa settimana, per motivi tuttora ignoti. Ora sono state accolte trionfalmente dalle massime cariche dello Stato. Ma la società potrebbe ostracizzarle in futuro.
Ventuno studentesse di Chibok sono state liberate il 13 ottobre in una località della Nigeria vicino al confine con il Camerun. Erano state rapite in un collegio femminile della Nigeria nordorientale dai jihadisti Boko Haram nella notte tra il 14 e il 15 aprile 2014 insieme ad altre 255 compagne. Per loro si era mobilitato il mondo. L’hashtag #BringBackOurGirls in poche settimane era stato twittato più di un milione di volte, gli adesivi dell’hashtag erano dappertutto. Non era servito a nulla. 57 ragazze erano riuscite a scappare la notte stessa del rapimento, mentre le stavano portando via. Delle altre non si è saputo più niente finché a maggio di quest’anno una è stata trovata per caso mentre raccoglieva la legna in un bosco e portata in salvo. Il governo nigeriano ha annunciato a più riprese il loro prossimo ritorno a casa parlando anche in alcune occasioni di trattative in corso per scambiarle con dei miliziani catturati e detenuti in carcere. Ma è stato sempre smentito da Boko Haram o semplicemente dai fatti: ed è forse anche per questo motivo che la liberazione delle 21 studentesse, vera questa volta, ha suscitato poco interesse, almeno in Italia.
Adesso nelle mani dei jihadisti di ragazze ne restano ancora 197, o forse meno perché è probabile che nel frattempo qualcuna sia morta: di stenti e privazioni, colpita a morte durante i combattimenti tra Boko Haram e l’esercito nigeriano, sacrificata in un attentato dinamitardo suicida o, ancora, uccisa per aver rifiutato la conversione all’islam e un matrimonio forzato. I racconti delle studentesse confermano infatti quello che già si sapeva per averlo sentito dire da Abubakar Shekau, il leader di Boko Haram, nei video spediti ai mass media. Le ragazze rapite erano in maggioranza cristiane e sono state costrette subito a convertirsi all’islam. Già nel primo filmato, pochi giorni dopo il rapimento, indossavano l’hijab, uno dei veli prescritti dall’islam. Inoltre sono state sposate a dei combattenti oppure sono state vendute come mogli o schiave. In un video del 5 maggio 2014 Abubakar Shekau diceva che data l’età – in media 16-18 anni – le ragazze avrebbero già dovuto essere sposate e non andare a scuola: “Dio mi ha incaricato di venderle. Appartengono a lui e io seguirò le sue istruzioni”.
Che cosa abbia indotto adesso Boko Haram a liberare le 21 studentesse resta da chiarire. Si sa che le trattative sono state condotte con la mediazione dalla Croce rossa internazionale e del governo svizzero. Secondo l’agenzia di stampa Associated Press i jihadisti hanno chiesto e ottenuto in cambio molti milioni di dollari che sarebbero stati pagati dalla Svizzera. Nelle ore immediatamente successive al rilascio un portavoce del governo nigeriano invece aveva detto alla Bbc che erano state liberate in cambio della scarcerazione di quattro comandanti Boko Haram. La sua affermazione è stata poi smentita. La restituzione sarebbe avvenuta senza condizioni, senza scambi di prigionieri né pagamento di riscatto: di certo la versione più conveniente per un governo come quello nigeriano ansioso di dare buone notizie e dimostrarsi credibile a un paese in recessione, deluso dalla nuova leadership uscita vincente dalle elezioni politiche del 2015. Proprio in questi giorni il presidente Muhammadu Buhari è stato criticato duramente persino dalla propria moglie, Aisha Buhari, che, dando voce a uno scontento crescente, lo ha accusato di aver formato un governo con persone che neanche conosce e che non condividono il programma del partito di maggioranza. La first lady, che ha partecipato molto attivamente alla campagna elettorale del marito lo scorso anno, è arrivata a dichiarare che, se le cose non cambieranno, non lo aiuterà più alle prossime elezioni: “di sicuro – ha detto – non tornerò a chiedere a ogni donna di votare per lui come ho fatto l’anno scorso”.
Non per niente il presidente ha voluto incontrare le ragazze e alle “sue carissime figlie” ha garantito personalmente che il governo provvederà alla loro riabilitazione e farà in modo che il loro reinserimento sociale avvenga in tempi molto brevi. “Dopo averle salvate – ha detto – ci assumiamo la responsabilità che possano realizzare tutti i loro traguardi e i loro obiettivi personali, educativi e professionali. Ovviamente potranno tornare a scuola e continuare gli studi. Saremo al loro fianco a ogni passo del loro cammino”.
In realtà non sarà così semplice e anzi il futuro delle studentesse ora riunite alle famiglie può rivelarsi tutt’altro che roseo nonostante le assicurazioni del presidente. Spesso i bambini rapiti da gruppi armati una volta liberati vengono respinti dai famigliari e subiscono l’ostracismo delle comunità a cui appartengono, a maggior ragione se si tratta di bambine che sono state usate come schiave sessuali o, come nel caso delle studentesse di Chibok, sono diventate mogli dei loro rapitori e tornano a casa con i figli nati dalle unioni forzate.
Che saranno oggetto di stigma sociale è quasi certo, sostiene il presidente della Chibok Development Association, Pogus Bitrus, secondo il quale per loro sarebbe meglio proseguire gli studi all’estero. Il timore dello stigma potrebbe spiegare in effetti come mai molte studentesse, a quanto si dice, non abbiano intenzione di lasciare i loro rapitori, rifiutino di tornare a casa. Sta di fatto che le trattative con Boko Haram proseguono, ma al momento si discute sulla liberazione di altre 83 studentesse soltanto.