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IL BELLO DELLA LITURGIA

Raffaello e il trionfo dell'Eucarestia

Nella stanza della Segnatura papa Giulio II convocò un giovanissimo Raffaello, all’epoca venticinquenne, che rappresentò l’immagine nota al mondo come La Disputa del Sacramento. Che l'affresco rappresenti una “disputa” è tutto da dimostrare: più che discutere gli astanti sembrano qui adorare il Corpo e il Sangue di Cristo, commossi e stupiti da questo dono gratuito, segno del tenace e persistente amore di Dio per le sue creature.

Ecclesia 13_06_2020

Raffaello Sanzio, Disputa del Sacramento, Roma – Musei Vaticani

“Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,51)

Il nome lo deve all’essere stata, per un certo frangente di tempo, la sede della più alta magistratura apostolica, la Segnatura Gratiae et Iustitiae, il tribunale, presieduto dal Pontefice, che in questa sala organizzava le sue riunioni. La Stanza della Segnatura, ora parte integrante del percorso dei Musei Vaticani, in origine fu concepita quale biblioteca da Giulio II, colui, per intenderci, che commissionò a Michelangelo la volta della Cappella Sistina. Per il suo studio privato, nel 1508, il suddetto Papa convocò un giovanissimo Raffaello, all’epoca venticinquenne e al suo esordio sulla scena romana. Così facendo, il della Rovere diede il via a una delle stagioni più straordinarie della storia dell’arte, non solo italiana.

Il denso programma iconografico, ideato dai teologi della curia papale, fu tradotto dall’urbinate in meravigliosi affreschi distribuiti sulle pareti, cui corrispondono rispettive allegorie sulla volta del soffitto. Ciò che s’intendeva celebrare, e figurativamente immortalare, erano i più alti valori cui tende lo spirito umano: il Bello, il Buono e il Vero, razionale e rivelato. Su quest’ultimo vigila la personificazione della Teologia, affiancata da putti che reggono un cartiglio con la scritta “Divinarum Notitia”.

E qual è la novella, l’annuncio per antonomasia?Verbo caro factum est”: che il Verbo si sia fatto carne è, se ci si pensa, notizia perfino inconcepibile per la ragione umana. Ed è proprio questo pensiero ineffabile che Raffaello magistralmente rappresentò a fresco, trasportandolo nell’immagine nota al mondo come La Disputa del Sacramento.

Sullo sfondo di un accennato paesaggio romano, la scena si sviluppa su diversi registri che s’intersecano a guisa d’ideale croce. Due emicicli sovrapposti ne sono le braccia orizzontali, popolate dalla chiesa militante, nel livello inferiore, e dalla chiesa trionfante: i convenuti sono Profeti, Patriarchi, Santi, Martiri, gli Apostoli e personaggi storici, più o meno noti. L’asse verticale parte nell’empireo da Dio Padre, che tiene nella mano il globo terrestre, e dalla Trinità, arrivando, in terra, fino al Santissimo Sacramento.

L’ostia consacrata, esposta in un ostensorio capolavoro di oreficeria tutta italiana e rinascimentale, svetta sull’ara centrale, imponendosi quale fulcro dell’intera composizione. Il Cristo, affiancato dalla Vergine e da San Giovanni Battista, è vestito di bianco e mostra le stimmate: è solo in virtù della Sua Resurrezione, infatti, che la Sua reale Presenza, scissa da ogni dimensione spaziale e temporale, può rinnovarsi nell’Eucarestia.

Che questo mirabile affresco rappresenti una “disputa” è tutto da dimostrare: il titolo scaturì da un’erronea interpretazione di un passo del Vasari. Più che discutere, infatti, gli astanti sembrano qui adorare il Corpo e il Sangue di Cristo, commossi e stupiti da questo dono gratuito, segno del tenace e persistente amore di Dio per le sue creature.

Il gesto del giovane biondo, dalle sembianze angeliche, accanto alla balaustra, ci invita a entrare nello spazio liturgico: non certo per discutere o, appunto, disputare. Quanto, piuttosto, per essere anche noi grati testimoni del Trionfo dell’Eucarestia.