Quorum o no, l'Ungheria difende l'Ue da sé stessa
Il referendum sull'immigrazione in Ungheria si è concluso, contro tutte le previsioni, con un mancato quorum, ma il governo Orban va avanti sulla sua strada. Anche perché, fra quel 45% di votanti, quasi tutti hanno votato No. Budapest si è auto-investita del compito di proteggere il confine Sud dell'Ue.
Si è concluso con un colpo di scena il referendum indetto dal Primo Ministro ungherese sul tema delle quote europee per la ripartizione dei migranti entrati in territorio della UE. Nonostante le previsioni della vigilia, infatti, non è stato raggiunto il quorum (l’affluenza si è fermata sotto il 45%), anche se il 95% dei votanti si è espresso contro la possibilità per Bruxelles di costringere Budapest ad accettare una parte dei richiedenti asilo.
Nonostante l’esito insoddisfacente, comunque, Orban e il suo Esecutivo non sembrano essersi persi d’animo, come confermano le dichiarazioni rilasciate alla stampa subito dopo la chiusura delle urne. Il Portavoce del Governo, infatti, ha affermato che, a suo avviso, la netta vittoria dei “no” rappresenta un chiaro segnale per le forze politiche e che, pertanto, il Primo Ministro ha tutte le intenzioni di dare seguito a quanto emerso dalle urne. Incalzato da un giornalista britannico che gli chiedeva su quali basi Orban intendesse agire, il rappresentante ha risposto seccato che l’Ungheria ritiene l’immigrazione un tema di assoluta competenza nazionale e che, pertanto, il suo Paese intende agire di conseguenza.
Gli stessi concetti sono stati ribaditi, quasi in contemporanea, anche dal Premier, che è parso comunque soddisfatto del risultato, anche se nel pomeriggio aveva affermato che si sarebbe dimesso in caso di vittoria dei “sì”, una provocazione che ha spinto alcuni quotidiani europei a ritenere che egli intendesse solamente invogliare i suoi avversari a recarsi a votare, facilitando in questo modo il raggiungimento del quorum.
Nonostante la gioia espressa in alcuni ambienti europei, la parziale sconfitta del Governo ungherese non sembra poter cambiare di molto la rotta intrapresa nei mesi scorsi da Orban perché, ancora una volta, non si è vista una vera e propria opposizione capace di contrastare efficacemente le sue politiche, né una chiara e netta presa di distanza da parte dell’elettorato. Singolarmente, la critica più forte mossa all’Esecutivo in seguito all’annuncio dei risultati parziali è giunta da Jobbik, partito di estrema destra, secondo cui il voto non è stato altro che un grande sondaggio politico pagato con i soldi dei contribuenti. Al di là di questo attacco, la volontà di Orban di non cedere di un millimetro dimostra che quella con l’Unione Europea è ormai una battaglia senza quartiere contro qualsiasi politica comunitaria che tolga agli Stati membri la possibilità di gestire autonomamente il numero di profughi da accettare.
Ciò che, comunque, risulta più difficile da comprendere agli occhi degli Stati fondatori della UE è la ragione ultima che porta l’Ungheria a contrastare con decisione qualsiasi proposta di introdurre una ripartizione obbligatoria dei profughi. A tal proposito può essere utile prendere in considerazione le parole di Edoardo Asburgo Lorena, ambasciatore magiaro presso la Santa Sede, che, intervistato da Rossoporpora.it, ha affermato:
“Il Governo ha considerato la situazione nuova creatasi alle frontiere d’Europa con l’arrivo di un milione di migranti l’anno scorso e presumibilmente altrettanti quest’anno. Il Governo ungherese ha voluto chiedere al suo popolo la legittimazione per agire in una contingenza che, in tali dimensioni, è del tutto inedita per l’Europa contemporanea.”
Particolarmente interessante risulta anche il passaggio nel quale il nobile diplomatico, con toni che riecheggiano un po’ l’eccezionalismo messianico statunitense, si concentra sulle decisioni che hanno maggiormente contribuito a far scontrare l’Esecutivo con la Commissione europea. Riferendosi al celebre “muro” lungo il confine con la Serbia, egli dichiara che: “Costruendo la recinzione l’Ungheria ha lavorato anche per l’Europa, ma molti in Occidente non l’hanno capito.”
Queste parole dimostrano come Budapest o, almeno una parte dei suoi uomini di punta, si siano attribuiti il compito di difendere l’Europa da sé stessa, un concetto che sembra essere confermato anche dalla volontà di Orban di organizzare un consiglio interno alla UE e composto dai Paesi orientali preoccupati per la propria sovranità. Si tratta, però, di iniziative che, pur lecite agli occhi di parte del popolo ungherese, non colpiscono nel segno, poiché l’opposizione alle politiche comunitarie è efficace se condotta all’interno delle istituzioni (Commissione, Parlamento, etc.), mentre in questo caso sembra piuttosto un tentativo di voler cambiare l’Unione dall’esterno, quasi l’Ungheria non fosse uno Stato membro a tutti gli effetti. Va ricordato, a tal proposito, che Budapest è uno dei principali beneficiari dei fondi europei, avendo ricevuto 25 miliardi di euro nel periodo 2007-2013 e dovendone ottenere altrettanti fra il 2014 e il 2020. Alla luce di ciò, sarebbe opportuno che Juncker e Orban sedessero attorno ad uno stesso tavolo e trovassero una soluzione condivisa in grado di salvaguardare l’integrità dell’Europa e, contemporaneamente, assicurare gli ungheresi che non saranno letteralmente invasi da richiedenti asilo.