Quello che solo il popolo di Charlie vede
La vita di Charlie Gard vale la pena: ecco tutto quello che è chiaro al popolo semplice che si è schierato a favore del piccolo inglese e della sua famiglia. Ma che purtroppo molti non vedono o per comodo, o per paura o per arroganza.
In attesa del giudizio definitivo dell’Alta Corte Inglese sulla possibilità o meno di continuare a curare il piccolo Charlie Gard, che ha letteralmente scosso il mondo senza fare apparentemente nulla, sì può dire, come ha gridato il popolo che si è schierato in suo favore, che il bimbo ha già vinto. Comunque vada.
Per il popolo semplice è stato chiaro fin dall’inizio che se la volontà dei genitori di curare il bambino fosse stata un “accanimento terapeutico” (come hanno sostenuto medici e giudici) Charlie, prima o poi, sarebbe comunque morto: quindi perché non tentare una terapia? Perché non lasciare provare ai genitori una via sperimentale offerta da un ospedale americano? Perché, visto che se avessero ragione i “tecnici” Charlie morirebbe comunque? La risposta dei medici e di chi ha remato a favore dell’“abbandono terapeutico”, travestendolo da “non accanimento terapeutico”, più o meno conscia che sia, è una sola: per non vederlo soffrire o vivere in condizioni che spaventano ergendosi a salvatori saggi ed esperti, ma travalicando addirittura la potestà genitoriale.
A questo popolo, che invece preferisce esistere accettando il dolore che la vita comporta piuttosto che morire, è quindi stata da subito chiara l’arroganza e l’orgoglio di quanti sono convinti, sempre inconsciamente o meno, della disperazione egoista dei suoi genitori colpevoli di accettare che il figlio soffra tanto pur di vederlo vivere. Perché è evidente, a questo popolo semplice, che ragionando come i medici e i giudici, ossia non pensando che la vita vada sostenuta in qualunque condizione (consapevoli del fatto che non c’è tentativo umano che possa evitare la morte se questa deve arrivare), qualsiasi altra sofferenza di qualsiasi altro malato diverrà sufficiente a giustificare atti di eutanasia passiva o attiva. Anche per questo il caso di Charlie ha chiamato in causa il mondo, consapevole che dal destino di questo piccolo, purtroppo affidato alla legge e alla tecnica, dipenderà quello futuro di innumerevoli uomini.
E’ chiaro dunque, lampante. Eppure tanti non hanno visto, perdendosi in mille disquisizioni, temendo di prendere posizione, di lottare, persino abbandonando il campo del giudizio in nome di una prudenza che sa tanto di ponziopilatismo. Mentre fra chi rema contro i genitori di Charlie ci sono appunto quelli spaventati dalla sofferenza o quelli che si stanno arrendendo al mondo, impregnato di ideologia mortifera travestita da pietismo, pur di continuare a farne parte e a lavorare, convincendosi del contrario, per coloro che non sopportano chi lotta per la vita in qualsiasi condizione essa si trovi. Come quei cattolici che giustificano giudici e medici, evitando in questo modo di apparire come stranieri da emarginare in un sistema sanitario efficientista e disumano.
Tutto questo è così chiaro al popolo semplice, che pur snobbato e accusato di fanatismo da tifoseria, si è mosso instancabilmente per settimane pregando, lanciando appelli, facendo passaparola, fino a risvegliare le coscienze di mezzo mondo e perfino a costringere i potenti a prendere posizione e a far parlare il papa. Sono poi innumerevoli le conversioni nascoste che questo piccolo innocente, fermo e sofferente (anche se persino la sua sofferenza è ancora tutta da provare) ma amatissimo dai suoi genitori e da tutto questo popolo che patisce e piange per lui, ha prodotto dimostrando che questo dolore innocente serve a salvarle i nostri cuori di pietra, a tenerli vivi, a non permettere che la mondanità se li rubi. E’ evidente per il popolo che fin dall’inizio si è lasciato interrogare dal fiume d’amore che gli occhi di questo Charlie innocente misteriosamente sprigionano, fino a toccare le corde più profende dell’animo.
Tanto evidente che appunto, comunque vada, Charlie ha già vinto. Ha vinto tanti cuori. Perciò diciamolo che sta producendo più vita e resurrezione questa esistenza di tante altre che, pur nel benessere, sono sterili e incapaci di generare qualcosa di nuovo. Solo questo dovrebbe bastare a dimostrare che quella di Charlie non è una vita destinata alla morte e che lottare per essa ne vale la pena. Tanto che verrebbe ironicamente da dire a chi si ostina a parlare di “accanimento” che se questo è quello che produce, ossia vita, domande, preghiere e conversione dei cuori, bisognerebbe elogiare chi si accanisce contro la morte fino alla morte, per affermare la vita eterna.