Quelli che la carità la fanno pagare sempre agli altri
Si susseguono gli esempi, incoraggiati dall’alto, prodotti da un formidabile equivoco da catechismo della dottrina cattolica. Ma l’altra guancia da porgere è la tua, non quella altrui, e se il cuore ti trabocca di amor del prossimo, è alle tue tasche che devi attingere, non a quelle degli altri. Eppure…
Bene ha fatto il nostro direttore a puntare il dito sul trito slogan terzomondista, risuonato nel recente convegno della Caritas, che l’accoglienza che «dobbiamo» agli immigrati è solo «un atto di restituzione». Insomma, la solita menata che i poveri sono tali per colpa dei ricchi. Inutile estenuarsi in spiegazioni per dimostrare, dati alla mano, che ciò non è vero. Proprio inutile.
Purtroppo, spesso si ritrovano con alti incarichi persone che un buon talent-scout avrebbe classificato come caporali di giornata: uno, che sarebbe atto all’organizzazione del servizio quotidiano in caserma, fa invece il comandante di distretto militare senza nemmeno aver frequentato la scuola di alti studi strategici.
Premesso questo, ricordo, anni fa, una puntata di talkshow in cui un intero quartiere, esasperato, inveiva contro il parroco. Costui, sovrabbondante di carità, aveva aperto le porte delle strutture parrocchiali a una quantità spropositata di immigrati africani.E in breve l’intero quartiere, già lindo, ordinato e pacifico, era diventato un posto invivibile: risse, piccolo spaccio, degrado, bisogni corporali open air, molestie sessuali, minacce, intimidazioni; insomma, la solita coreografia a cui, ormai, abbiamo fatto il callo noi italiani.
Risultato: bambini tappati in casa, saracinesche abbassate, ronde in strada autogestite di cittadini. Ovviamente, queste ultime avevano scatenato i centri sociali e le anime belle del buonismo blindato ai Parioli. I leghisti a quel punto erano scesi in piazza e i riflettori mediatici si erano accesi, abbaglianti, su un pezzo di provincia fin lì tranquilla. Il vero responsabile di tutto questo casino (mi scuso, ma è il termine ormai corrente) era quel parroco, persona assolutamente incompetente e inadeguata. Ma in tivù seguitava a prendersela con la «durezza di cuore» dei suoi parrocchiani, il cui grave deficit di «solidarietà» era meritevole di disprezzo e biasimo.
Era, quell’uomo, il perfetto esempio di un formidabile equivoco da catechismo della dottrina cattolica. Infatti, così come l’altra guancia da porgere è la tua, non quella altrui, allo stesso modo, se il cuore ti trabocca di amor del prossimo, è alle tue tasche che devi attingere, non a quelle di chi ama un prossimo diverso da quello per cui tu stravedi.
Ecco un altro esempio. In un pellegrinaggio di gruppo in Terrasanta ci fu imposto un prete d’accompagnamento. Il quale, per tutto il tempo, non risparmiò panegirici ai «nostri fratelli ebrei» e ai «nostri fratelli musulmani». Né ci risparmiò la sua faccia, non dico disgustata ma quasi, quando tirammo fuori i rosari e li recitammo in latino, cosa che, ai suoi occhi, ci classificava come cattolici “di destra” o “integralisti”. Cioè, il male assoluto. In tempi di confusione come quelli presenti, nei quali i preti fanno i laici e i laici fanno i preti, ognuno spara il suo concetto di “vero cristianesimo”, che diventa giacobinismo quando pretende di costringere tutti a professarlo.
Così, spesso mi capita qualche lettore che vuol spiegare a me come si comportavano i Santi. A me. Dopo essermi armato di (santa) pazienza, rispondo che il cattolico deve imitare Cristo, non i Santi; infatti, i Santi, lungi dall’imitarsi l’un l’altro, così facevano. E chi, avendo letto qualche alata biografia curiale, insiste, lo rimando alla saggistica seria. Che è, certo, faticosa, così piena di aride pagine, di note, di bibliografia. Ma è l’unico modo per conoscere il cristianesimo, quello dei fatti, non il fai-da-te sentimentale ed emotivo corrente.
Ebbene, i fatti ci dicono che quando i teologi francescani medievali si accorsero che alcuni erano troppo ricchi e tanti troppo poveri, non organizzarono invasioni con scasso nelle case dei primi, ma, cristianamente, cercarono una soluzione che non facesse male a nessuno, nemmeno ai «duri di cuore». E inventarono i Monti di Pietà, istituzioni foraggiate, volontariamente, si badi, da ricchi di buona volontà, alle quali i poveri potevano attingere per sollevarsi dalla loro condizione.
I nomi di questi teologi ve li risparmio perché la Chiesa li conosce bene, avendoli tutti canonizzati. Ecco i (veri) Santi. Gli odierni caritatevoli forse sono in buona fede, ma la santità è intelligente. Travasare l’Africa e il Medioriente in Italia, sperando che dall’Italia possano sciamare per tutto l’Occidente (così impara) è ideologia, non santità. Non è nemmeno bontà. Come tutte le ideologie si fonda sull’odio per alcuni, non sull’amore per tutti. E, come tutte le ideologie, finirà in un disastro.