Quelli che il colore bianco è razzista
Un progetto milionario finanziato dal Research Council of Norway si sofferma sulla “bianchezza” e pare rincrescersi per il “ruolo leader” avuto dalla Norvegia nel diffondere in tutto il mondo il bianco di titanio, contribuendo ad “affermare il bianco come colore superiore”. Pensavamo di averne sentite di tutti i colori… Ecco qualche appunto cromatico.
Sporco razzista di un bianco. L’insulto non è rivolto ad una persona, ma ad un colore. Tutto nasce in quel di Norvegia. Ingrid Halland, professoressa presso l’Università di Bergen in Norvegia, è la responsabile del progetto di ricerca «How Norway Made the World Whiter» - “NorWhite” (“Come la Norvegia ha reso il mondo più bianco”) finanziato dal Research Council of Norway per gli anni 2023-2028. Questo progetto, si legge nella sua scheda di presentazione, “studia un'innovazione norvegese, il biossido di titanio pigmentato bianco, attraverso una lente storica, estetica e critica, concentrandosi su come il pigmento ha trasformato le superfici nell’arte, nell’architettura e nel design”. E fin qui nulla di strano.
Però più avanti leggiamo: “La bianchezza è una delle principali preoccupazioni sociali e politiche di oggi”. Ci prenderà per sprovveduti la cattedratica di Bergen, ma non sapevamo proprio che la bianchezza fosse “una delle principali preoccupazioni sociali e politiche di oggi”. Pensavamo, da bravi cittadini ben inquadrati nel sistema, che le principali preoccupazioni di oggi fossero, ad esempio, l’immigrazione, il clima, la crisi energetica, le guerre, le future pandemie e, almeno per i bianconeri, le 5 sberle che la Juve ha preso dal Napoli di recente. Ma la bianchezza non aveva mai turbato i nostri sogni.
Desiderosi però di svegliarci da questo albino torpore delle menti, da questa nivea ingenuità della coscienza e di convertirci - la logica lo impone - alla negrezza, continuiamo la lettura, ormai avvinti dalla prosa allarmistica della Halland, la quale afferma che questa “innovazione norvegese […] ha reso il mondo più bianco” perché tale pigmento, per le sue ottime qualità tecniche, è stato usato in tutto il mondo. Da qui la conclusione: “Questo progetto mostrerà come la Norvegia abbia svolto un ruolo leader a livello globale nell'affermare il bianco come colore superiore”.
Oltre ad appurare che c’è del marcio non solo in Danimarca ma anche in Norvegia, ci viene da chiedere, noi moralmente neutri in fatto di colore: in che senso “superiore”? Dalla superiorità della razza bianca alla sola superiorità del bianco? Il bianco ora è scomunicato perché necessariamente collegato al colore della pelle di chi discrimina ingiustamente i colored?
La risposta pare affermativa: “In tutto il mondo - continua la Halland - all'interno e al di fuori del mondo accademico, azioni di rivolta connotate da pentimento tentano di fare i conti con il nostro passato razzista. Nei lavori fondamentali relativi agli studi sulla bianchezza, in ambito storico, artistico e architettonico, la bianchezza è intesa come struttura di privilegio culturale e visivo”. Credevamo di averne sentite di tutti i colori e invece… La Halland ha quindi sbianchettato il bianco, ha imporporato le sue guance per la vergogna, l’ha reso impresentabile appuntandogli una lettera scarlatta.
Ce l’avevamo sotto gli occhi ogni giorno questo subdolo nemico, nascosto sotto le sue candide vesti, e noi come stupidi ci vestivamo di bianco per sposarci, ci sbiancavamo i denti, usavamo spensierati il Dash perché “più bianco non si può”, cantavamo felici Bianco Natale, mangiavamo inconsapevoli la pasta in bianco, con incauta fiducia firmavamo assegni in bianco e ci rivolgevamo a Maria, con devozione tutta fanciullesca, chiamandola Turris eburnea. Tutte azioni potenzialmente discriminatorie. Allora maledetti noi razzisti, resi tali dalla natura matrigna, che ci ha fatto nascere caucasici e quindi bianchi.
E dunque fateci capire: il bianco perché bianco porta in sé un portato culturale segregazionista? E cosa dovremmo fare allora? Ridipingere le case imbiancate? Prima tra tutte la Casa Bianca? Sottoporre a sedute di bombolette spray il David di Michelangelo, il suo Mosè, la Pietà? Da ultimo qualcuno dovrebbe poi avere il fegato di avvisare il Santo Padre che il suo outfit non è più adeguato. Pure la natura richiamerebbe ad archetipi mentali razzisti. E quindi giù a sporcare la neve, a colorare il latte, a brunire gli orsi polari e i cigni, a tingere i gigli. Dovremmo infine insozzare la coscienza, renderla più nera della pece, più buia del fondo di un pozzo in una notte senza luna. Guai poi ad impallidire, ad avere un animo candido, ad incanutire (cosa che capita pure alle persone scure di carnagione).
Sì, il bianco discrimina perché, guarda un po’, non è nero, unico colore cromaticamente corretto e pure salutista perché sfina. D’altronde, si sa che il nero va su tutto e questo anche dal punto sociale, politico ed etico. Infatti le critiche delle persone di colore non bianco sono sempre ben accette perché - è proprio il caso di dirlo - il loro tono si abbina sempre al sentito comune. Eppure questa supposta supremazia bianca, che è imbrattata dal rosso del sangue del nostro passato razzista e del nostro presente non inclusivo, non ci convince. E non ci convince proprio sul piano cromatico. Il bianco assomma in sé tutti i colori. Caddero in errore gli lgbtisti quando scelsero per le loro battaglie l’arcobaleno, perché è solo il bianco a ricomprendere tutti i toni dello spettro elettromagnetico visibile. Quindi il bianco è il colore perfetto, completo, divino perché è pienezza della tavolozza del pittore, a lui non manca nessuna nuance, è il colore più inclusivo esistente. Oppure, se vogliamo lisciare il pelo della vulgata corrente per il verso giusto, il bianco è il colore più neutro, più pluralista che esista. È infatti acromatico. Sul foglio bianco puoi scrivere tutto quello che vuoi. È quasi diafano il bianco, è il colore che più si avvicina alla trasparenza, alla tanta desiderata immaterialità di chi non vuole riconoscersi in nessuna identità. È il colore più liquido che c’è.
Se il bianco è la totalità dei colori, di contro il nero - e non vorremmo così dicendo gettare nello sconforto i ricercatori norvegesi - è assenza di colori, è il vuoto cromatico, il niente visivo, l’abisso che inghiotte ogni tinta, il buco appunto nero che è il sepolcro della luce. Ed è per questo che il bianco è il colore che si associa alla gioia, alla purezza, al candore. E il nero invece al lutto, allo sconforto, alle tenebre. Naturalmente - e lo diciamo a beneficio dei rabdomanti delle eresie contemporanee - stiamo parlando solo dei colori e non dei colori della pelle.
Chiudiamo con una nota, che non poteva che essere una nota di colore: la ricerca è stata finanziata con 12 milioni di corone norvegesi, pari a 1,2 milioni di dollari: un-o vir-go-la du-e mi-li-o-ni di dollari. Vorrà perdonarci la prof.ssa Halland, ma non possiamo fare a meno di sbiancare in volto.