Quelle due o tre cose da sapere sul Papa
Sì, Francesco è un "Papa nuovo" ma ciò non significa che non sia profondamente radicato nella tradizione della Chiesa. Del resto, la tradizione è monca senza il ministero petrino.
Da quando è stato eletto, papa Francesco non ha smesso di essere tirato da una parte o dall’altra e le sue uscite sui giornali (colloqui con Scalfari e intervista alla Civiltà Cattolica) sono state oggetto di polemica anche in questi giorni. Al proposito è bene chiarire alcune questioni per evitare che si ingenerino confusione e false credenze.
1. Anzitutto è sotto gli occhi di tutti che papa Francesco non è solo un “nuovo Papa” ma un “Papa nuovo”, come ai tempi lo fu anche Giovanni XXIII. Ciò non significa che papa Bergoglio non sia profondamente radicato nella tradizione della Chiesa, anche per quanto riguarda il ministero petrino. Infatti il giorno della sua elezione si è presentato come il vescovo di Roma, cioè colui che succede a Pietro, che da Cristo ha ricevuto il compito per sé e per i suoi successori di confermare i fratelli nella fede, legare e sciogliere, pascere sia gli agnelli che le pecore. Il vescovo e la Chiesa di Roma, come afferma Sant’Ireneo di Lione (II secolo), costituiscono il parametro e la regola fidei che ha Cristo quale fonte. Nella Chiesa di Roma è il parametro cui tutte le altre Chiese devono fare riferimento. Senza ministero petrino, come afferma il Concilio Vaticano II, non vi è «pienezza della Chiesa di Cristo» (Lumen Gentium, 8).
2. Alcune polemiche arrivano al punto di lasciare intendere che sia possibile un conflitto tra tradizione della Chiesa e Papa, come se fosse concepibile la tradizione senza il Papa. Ma questo non è possibile: il vescovo di Roma è quell’anello qualificante della catena apostolica che dona senso all’intero collegio apostolico e alla successione di esso. E’ Pietro colui che nella comunità apostolica è il testimone qualificato del Risorto. Basta leggere la conclusione del vangelo di Luca quando i due discepoli di Emmaus riconoscono il Risorto allo spezzare del pane. Dopo quella rivelazione ritornano a Gerusalemme per testimoniare di avere incontrato e riconosciuto il Cristo ed essere loro i testimoni della Resurrezione. Si sentono dire che il Risorto è apparso a Simone. E’ questo che fa testo. E’ lui il garante di ciò che costituisce, come afferma Paolo, l’essenza del cristianesimo. Senza il ministero petrino la tradizione è monca, quindi manca del testimone qualificato.
3. Ciò non vuol dire che il sostegno al Papa si debba tradurre in un “il Papa ha sempre ragione”. Già papa Francesco ebbe a far notare che più che esaltare o inneggiare a lui come Papa si lodi e si esalti Cristo. Qui abbiamo una lezione di ecclesiologia. Il dialogo, come ebbe a dire Paolo VI, è importante anche nella Chiesa. La comunione ecclesiale non ha nutrimento dalla uniformità. La presenza nella Chiesa di diversi carismi indica sì l’azione dello Spirito ma anche l’importanza di una pluralità nella fede comune. Dare consigli anche al Santo Padre, come fece S. Caterina da Siena, non è certo un mancare di rispetto al suo ministero, ma l’intenzione deve essere quella di contribuire alla comunione della Chiesa e a una più efficace evangelizzazione.
4. Il rischio di far diventare il cristianesimo una ideologia è sempre presente, e non appartiene a un solo gruppo di cattolici. In questo senso il richiamo fatto da Papa Francesco la scorsa settimana durante un’omelia non può essere usato contro questo o contro quello, come anche qualche quotidiano cattolico ha fatto. Gli integralismi, da qualsiasi parte provengano, mancano di quella radicalità evangelica fatta di verità e misericordia. Del resto ciò che più ha deformato un vero impegno del laico cristiano nella realtà del mondo, soprattutto dopo il Concilio, è stato proprio l’avere da parte di laici cristiani fatto delle scelte ideologiche contrabbandandole come atteggiamenti evangelici. Questo ha molto danneggiato l'impegno cristiano anche nella vita sociale, culturale ed ecclesiale. Non possiamo non riconoscere che in tutti questi anni si è anche sviluppato un “magistero parallelo” che ha fatto molto male alla missione della Chiesa. Un esempio clamoroso fu la famosa “Lettera dei 63” teologi, pubblicata nel 1989 in cui si contestava esplicitamente il Magistero. Cosa grave è che fra i 63 vi erano anche docenti nei seminari. In questo caso è chiaro che non si è valutato adeguatamente il fatto che i firmatari hanno continuato con le loro idee, spesso difesi e legittimati anche da chi avrebbe dovuto correggere e vegliare. Al punto che qualcuno dei 63 è anche stato persino proposto all’episcopato.
Il cattolico non può che essere “cum Petro e sub Petro” nello spirito di quella matura comunione che nella lealtà stupisce e genera duttilità di mente e di cuore, pagando anche di persona, come fece don Primo Mazzolari che a Pietro rimase rispettosamente fedele.