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ARTE E CATECHESI /2

Quelle croci in Chiesa a marcare l'Infinito

Solitamente 12 come gli apostoli, le croci di consacrazione indicano il punto in cui il vescovo con l'olio ha suggellato uno spazio tutto per Cristo.

Cultura 25_06_2011
Salisbury Non basta una somma di pietre per costruire un edificio. Tanto meno una chiesa. Perché, a ben guardare, il tutto precede le parti. L’edificio precede le pietre che lo innalzano. L’edificio, per governare la collocazione delle pietre che lo costituiranno, in qualche modo, deve già esistere. È come un figlio che cresce. Non è che ogni giorno gli si aggiunge un pezzettino sopra la testa, ma cresce nella relazione delle parti. Il corpo, nella sua profonda unità, precede le membra.

Fin dall’inizio dell’annuncio cristiano
, prima ancora di costruire chiese e cattedrali, la comunità dei discepoli ha visto se stessa come un edificio armonicamente unito. Nei Vangeli troviamo che la Chiesa è casa edificata sulla roccia. Cristo è la pietra d’angolo. Nella Prima lettera di Pietro, nella lettera dell’apostolo che è stato chiamato ad essere la prima pietra, i credenti sono inscritti in questa sintesi grandiosa: “Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale” (1Pt 2,2-4). L’edificio inteso come un corpo vivo è l’immagine che avvicina e introduce al mistero della Chiesa.

Questa immagine ha innervato lungo i secoli il modo di concepire e progettare le chiese. Ad esempio, il rito di dedicazione di una chiesa è considerato in analogia al battesimo. Ugo di San Vittore, siamo nel XIII secolo, scrive che come il corpo è immerso tre volte nel fonte battesimale così la chiesa viene aspersa con l‘acqua per tre volte. Un altro segno analogo al battesimo che avviene nel rito della dedicazione è l’unzione delle mura della chiesa, o delle colonne portanti, per mezzo del crisma. Memoria visibile di questo gesto sono le “croci di consacrazione”, il più delle volte di forma circolare, che troviamo collocate sui muri. A volte di pietra, altre volte di bronzo, spesso sono solo dipinte. Indicano dove il vescovo ha tracciato una croce con l’olio santo. Nel loro insieme, marcano lo spazio consacrato, lo spazio dedicato interamente e per sempre al culto cristiano.

Il vescovo Durand, nel suo scritto Il Razionale del XIII secolo, scrive: “Dodici croci dipinte sulle mura vengono unte, perché le croci sono insegne di Cristo e segni del suo trionfo. Le croci quindi vengono dipinte a ragione affinché rendano manifesto che questo luogo è stato sottomesso al dominio di Cristo”. Il fatto che siano dodici ricorda gli apostoli, testimoni di Cristo e quindi le vere e originarie colonne del tempio. Solitamente sono così disposte: due all’ingresso, due nel presbiterio, le restanti nella navata. A volte sono solo quattro, poste nei quattro punti cardinali. Quando si entra in chiesa, ci si trova quindi dentro uno spazio delimitato da quelle piccole croci. Ricordano che quello spazio racchiuso è stato unto dal crisma, attestano che lì è avvenuto un conferimento di perfezione. Che è come dire che quello spazio è dedicato ad accogliere ciò che è incontenibile.

I segni della croce e dell’olio
si imprimono l’uno nell’altro per manifestare la grazia che trabocca. Come quando dopo il diluvio la colomba portò il ramoscello d’ulivo e con esso la pace tra il cielo e la terra. Come quando Maria di Betania versò l’olio sui piedi di Gesù, segno di amore e dedizione totale. E poi ancora. Il vescovo Durand scrive che “le dodici croci dipinte sulle pareti e unte dall’olio ricordano la passione di Cristo con la quale egli ha santificato la Chiesa”. E sappiamo anche che le dodici croci di consacrazione ricordano le dodici colonne della basilica vicina all’Anastasis di Gerusalemme, il luogo dove Gesù è risorto.

Le dodici croci di consacrazione presentano una ricchezza di significati che partono dall’Antico Testamento e giungono fino alla passione, alla morte e alla risurrezione di Cristo. E segnano uno spazio chiamato a testimoniare, oggi, una sovrabbondanza dove l’intero eccede sempre la somma delle parti.