Quell'assurda proposta di un Vaticano III
Con papa Francesco si sta ripetendo lo schema che alcuni intellettuali usano per il Concilio Vaticano II, ovvero la pretesa che si tratti di "un nuovo inizio". Da qui anche la pretesa improponibile di un nuovo Concilio.
Nel suo recente libro “Il Concilio segreto” (Piemme), il vaticanista di “Panorama” Ignazio Ingrao dedica l’ultimo capitolo ad esporre le ragioni per cui, secondo lui, sarebbe ormai necessario un nuovo concilio Vaticano III. La proposta comporta di considerare ormai superata la problematica della “interpretazione” (o ermeneutica) del Concilio, suscitata, coltivata e lasciata in eredità da Benedetto XVI. Comporta quindi di considerare superato il pontificato di Benedetto XVI.
Giuliano Ferrara, presentando a Roma il libro di Ingrao, ha detto che secondo lui, con Papa Francesco siamo ormai fuori e oltre il tempo del Concilio, non solo perché l’attuale pontefice è il primo Papa a non avervi partecipato personalmente, ma soprattutto perché le modalità dell’evangelizzazione così come lui la sta portando avanti sono mentalmente libere da vecchie categorie conciliari o postconciliari.
Credo che ambedue le posizioni abbiano molti punti deboli. Cominciando da quanto sostenuto da Ferrara, va osservato che, purtroppo, lo schematismo conciliarista viene continuamente applicato anche a Papa Francesco. Egli ne è certamente libero, però i conciliaristi non perdono occasione per presentarlo come un “nuovo inizio”, la ripresa di un vento che con Giovanni Paolo II si sarebbe fermato e con Benedetto XVI addirittura avrebbe cominciato a soffiare in senso contrario al Concilio. Luigi Alici ha parlato di «rigenerazione profonda».
E’ molto indicativo di ciò il modo con cui viene recepita la Lumen Fidei, la prima enciclica di Papa Francesco. Di fatto essa viene attribuita a Benedetto XV e ritenuta quindi arretrata e non espressiva del nuovo pontificato. Vito Mancuso su Repubblica dell’8 luglio scorso negava alla Lumen Fidei di rappresentare il programma del Pontificato di Papa Francesco in quanto dominata dal «freddo primato della dottrina» e dalla «paura della modernità». Alberto Melloni, intervistato da Tornielli su Vatican Insider il 16 luglio scorso, assegna invece questo significato programmatico al discorso di Lampedusa, che egli paragona al «discorso di apertura del Concilio di Giovanni XXIII». E’ frequente la presentazione di Papa Francesco come di un “nuovo Papa Giovanni”. Come si vede, la stessa ermeneutica della discontinuità applicata al Concilio, viene applicata anche al nuovo Papa rispetto ai due precedenti. E’ la vecchia idea che lo spirito del Concilio avrebbe subito una “normalizzazione” a cominciare da Paolo VI fino a Benedetto XVI e che ora Papa Francesco invece rilancerebbe. Non credo, quindi, che Ferrara abbia ragione, in quanto anche nell’era di Papa Francesco i conti non fatti con il Concilio continuano a pesare.
Quanto alla proposta di un Vaticano III, fatta parecchio tempo fa dal Cardinale Martini, ripresa poi da tanti altri prelati ed oggi tornata di moda, bisogna dire che è il motivo stesso della convocazione a convincerci della sua inopportunità. Ingrao dice che dopo cinquant’anni il quadro in cui la Chiesa vive è completamente cambiato. Indebolimento della Chiesa europea e crescita di quelle degli altri continenti, esigenze nuove della collegialità (Vatileaks sarebbe un effetto del ritardo in questo campo), carenze di sacerdoti con i problemi connessi del matrimonio per i preti, del diaconato femminile e dei sacramenti amministrati da laici, nuovo contesto della comunicazione digitale rispetto alla quale il decreto Inter mirifica sembra preistoria, difficoltà nuove nella selezione dei Vescovi, che non può più essere fatta adeguatamente da una Congregazione vaticana, la penetrazione della secolarizzazione dentro la Chiesa e così via.
Ora, chiedere un nuovo Concilio perché nuovo è il contesto sociologico, significa scegliere di celebrare un Concilio ogni trent’anni; significa decidere che l’unica forma conciliare è quella del concilio pastorale; significa dire tutto questo e, infine contraddirsi: se oggi, solo cinquant’anni dopo, il Vaticano II ha esaurito la sua capacità orientativa, perché convocare un Vaticano III che perderà, per gli stessi motivi, la sua capacità orientativa dopo soli trent’anni? Ci si vuol mettere a rincorrere cosa?
La richiesta di un Vaticano III enfatizza e canonizza l’indole pastorale dei Concili e, così facendo, ripropone le stesse problematiche aperte dal Vaticano II e non ancora chiuse, tutte più o meno legate al suo carattere pastorale. Se oggi il quadro descritto dalla Gaudium et spes risulta superato, perché chiedere una nuova Gaudium et spes che durerebbe ancora meno della prima? La richiesta di un Vaticano III mostra così che la Chiesa si troverà in grande difficoltà a procedere se non fa veramente i conti col Vaticano II e se non se ne riappropria pienamente. Benedetto XVI lo sapeva e ha dedicato molte delle sue energie, comprese le ultime, per dirlo.