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L'UDIENZA

Quella luce nel buio di Giovanni della Croce

Nella catechesi settimanale il Papa ha ricordato la grande fede del mistico del '500: sentirsi amati è il segreto per superare le prove della vita.

Attualità 16_02_2011
giovanni della croce
Proseguendo nelle sue catechesi sui santi del Cinquecento, Benedetto XVI ha presentato all’udienza generale del 16 febbraio la figura di san Giovanni della Croce (1542-1591), il Doctor mysticus. Nato vicino ad Avila, in Spagna, da famiglia poverissima, ancorché di origini nobili, e rimasto orfano di padre in tenera età, Giovanni, superando ogni difficoltà, riuscì a compiere gli studi necessari per essere ammesso come novizio presso i Carmelitani, che lo mandarono a studiare alla prestigiosa Università di Salamanca. Nel 1567 fu ordinato sacerdote e incontrò santa Teresa d’Avila (1515-1582), da cui rimase subito affascinato e di cui divenne confessore, adottando per un gruppo di Carmelitani la regola riformata che Teresa aveva dato alle sue suore.

L’adesione alla riforma carmelitana di santa Teresa, nota il Papa, «non fu facile e costò a Giovanni anche gravi sofferenze. L’episodio più traumatico fu, nel 1577, il suo rapimento e la sua incarcerazione nel convento dei Carmelitani dell’Antica Osservanza di Toledo, a seguito di una ingiusta accusa. Il Santo rimase imprigionato per mesi, sottoposto a privazioni e costrizioni fisiche e morali. Qui compose, insieme ad altre poesie, il celebre Cantico spirituale. Finalmente, nella notte tra il 16 e il 17 agosto 1578, riuscì a fuggire in modo avventuroso, riparandosi nel monastero delle Carmelitane Scalze della città». Come tutte le opere benedette dal Signore, anche la riforma carmelitana di Giovanni alla fine fu accolta dalla Chiesa. Il santo assunse incarichi sempre più importanti, fino a che fu destinato alla nuova Provincia religiosa del Messico come superiore. Mentre si preparava a partire, però, si ammalò gravemente e morì nel 1591, «mentre i confratelli – come ricorda il Papa –  recitavano l’Ufficio mattutino. Si congedò da essi dicendo: “Oggi vado a cantare l’Ufficio in cielo”».

Il Pontefice ha ricordato i capisaldi delle quattro opere principali di san Giovanni: Cantico spirituale, Fiamma d’amor viva,  Ascesa al Monte Carmelo e Notte oscura.

Nel Cantico spirituale, san Giovanni «presenta il cammino di purificazione dell’anima, e cioè il progressivo possesso gioioso di Dio, finché l’anima perviene a sentire che ama Dio con lo stesso amore con cui è amata da Lui. La Fiamma d’amor viva prosegue in questa prospettiva, descrivendo più in dettaglio lo stato di unione trasformante con Dio. Il paragone utilizzato da Giovanni è sempre quello del fuoco: come il fuoco quanto più arde e consuma il legno, tanto più si fa incandescente fino a diventare fiamma, così lo Spirito Santo, che durante la notte oscura purifica e “pulisce” l’anima, col tempo la illumina e la scalda come se fosse una fiamma. La vita dell’anima è una continua festa dello Spirito Santo, che lascia intravedere la gloria dell’unione con Dio nell’eternità».

L’Ascesa al Monte Carmelo, che è forse l’opera più importante del santo, «presenta – ha detto il Papa – l’itinerario spirituale dal punto di vista della purificazione progressiva dell’anima, necessaria per scalare la vetta della perfezione cristiana, simboleggiata dalla cima del Monte Carmelo. Tale purificazione è proposta come un cammino che l’uomo intraprende, collaborando con l’azione divina, per liberare l’anima da ogni attaccamento o affetto contrario alla volontà di Dio. La purificazione, che per giungere all’unione d’amore con Dio dev’essere totale, inizia da quella della vita dei sensi e prosegue con quella che si ottiene per mezzo delle tre virtù teologali: fede, speranza e carità, che purificano l’intenzione, la memoria e la volontà».

Al nostro tempo difficile parla però anche la quarta opera fondamentale di san Giovanni della Croce, la Notte oscura, che «descrive l’aspetto “passivo”, ossia l’intervento di Dio in questo processo di “purificazione” dell’anima. Lo sforzo umano, infatti, è incapace da solo di arrivare fino alle radici profonde delle inclinazioni e delle abitudini cattive della persona: le può solo frenare, ma non sradicarle completamente. Per farlo, è necessaria l’azione speciale di Dio che purifica radicalmente lo spirito e lo dispone all’unione d’amore con Lui. San Giovanni definisce “passiva” tale purificazione, proprio perché, pur accettata dall’anima, è realizzata dall’azione misteriosa dello Spirito Santo che, come fiamma di fuoco, consuma ogni impurità. In questo stato, l’anima è sottoposta ad ogni genere di prove, come se si trovasse in una notte oscura».

Messe insieme, le quattro opere salienti del santo spagnolo insegnano una dottrina mistica «il cui scopo è descrivere un cammino sicuro per giungere alla santità, lo stato di perfezione cui Dio chiama tutti noi». Questa chiamata è una persona, Gesù Cristo. «Tutto quello che Dio voleva comunicare all’uomo, lo ha detto in Gesù Cristo, la sua Parola fatta carne. Gesù Cristo è l’unica e definitiva via al Padre (cfr Gv 14,6). Qualsiasi cosa creata è nulla in confronto a Dio e nulla vale al di fuori di Lui: di conseguenza, per giungere all’amore perfetto di Dio, ogni altro amore deve conformarsi in Cristo all’amore divino. Da qui deriva l’insistenza di san Giovanni della Croce sulla necessità della purificazione e dello svuotamento interiore per trasformarsi in Dio, che è la meta unica della perfezione. Questa “purificazione” non consiste nella semplice mancanza fisica delle cose o del loro uso; quello che rende l’anima pura e libera, invece, è eliminare ogni dipendenza disordinata dalle cose. Tutto va collocato in Dio come centro e fine della vita».

Quando si è stati capaci di compiere questo cammino, «l’anima si immerge nella stessa vita trinitaria, così che san Giovanni afferma che essa giunge ad amare Dio con il medesimo amore con cui Egli la ama, perché la ama nello Spirito Santo. Ecco perché il Dottore Mistico sostiene che non esiste vera unione d’amore con Dio se non culmina nell’unione trinitaria. In questo stato supremo l’anima santa conosce tutto in Dio e non deve più passare attraverso le creature per arrivare a Lui. L’anima si sente ormai inondata dall’amore divino e si rallegra completamente in esso.»

Ma, nota Benedetto XVI, «alla fine rimane la questione: questo santo con la sua alta mistica, con questo arduo cammino verso la cima della perfezione ha da dire qualcosa anche a noi, al cristiano normale che vive nelle circostanze di questa vita di oggi, o è un esempio, un modello solo per poche anime elette che possono realmente intraprendere questa via della purificazione, dell’ascesa mistica? Per trovare la risposta dobbiamo innanzitutto tenere presente che la vita di san Giovanni della Croce non è stata un “volare sulle nuvole mistiche”, ma è stata una vita molto dura, molto pratica e concreta, sia da riformatore dell’ordine, dove incontrò tante opposizioni, sia da superiore provinciale, sia nel carcere dei suoi confratelli, dove era esposto a insulti incredibili e a maltrattamenti fisici. E’ stata una vita dura, ma proprio nei mesi passati in carcere egli ha scritto una delle sue opere più belle».

Studiando san Giovanni della Croce «possiamo capire che il cammino con Cristo, l’andare con Cristo, “la Via”, non è un peso aggiunto al già sufficientemente duro fardello della nostra vita, non è qualcosa che renderebbe ancora più pesante questo fardello, ma è una cosa del tutto diversa, è una luce, una forza, che ci aiuta a portare questo fardello. Se un uomo reca in sé un grande amore, questo amore gli dà quasi ali, e sopporta più facilmente tutte le molestie della vita, perché porta in sé questa grande luce; questa è la fede: essere amato da Dio e lasciarsi amare da Dio in Cristo Gesù. Questo lasciarsi amare è la luce che ci aiuta a portare il fardello di ogni giorno. E la santità non è un’opera nostra, molto difficile, ma è proprio questa “apertura”: aprire e finestre della nostra anima perché la luce di Dio possa entrare». Da questo punto di vista, l’insegnamento principale di san Giovanni della Croce è che la santità non è riservata a pochi eletti destinati agli altari, ma «è la vocazione di noi tutti».