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INDIA

Quella lezione che viene dall'Orissa

Il rapimento di due turisti italiani riaccende i riflettori su questo stato indiano già teatro nel 2008 di un violento pogrom contro i cristiani.

Editoriali 20_03_2012
Italiani rapiti
La vicenda dei due turisti italiani – Paolo Bosusco e Claudio Colangelo - rapiti nello stato indiano dell’Orissa, ha fatto scoprire all’opinione pubblica che in India non c’è solo il problema del fondamentalismo indù, ma anche quello dei gruppi maoisti che, in alcuni stati, godono anche di un seguito rilevante. In Orissa, dove le popolazioni tribali sono numerose, i gruppi maoisti combattono per la difesa di alcune minoranze etniche che il governo sfrutterebbe per fini soprattutto commerciali. Vale a dire che la presenza di tribù tradizionali viene usata per attrarre turisti ma ai tribali, di tutti i proventi, arrivano soltanto le briciole. I maoisti hanno perciò imbracciato le armi, provocando la reazione dell’esercito che, a sua volta, dà la caccia ai ribelli nelle foreste. Il rapimento dei turisti italiani, con conseguente ultimatum posto dai ribelli, avviene in questo contesto difficile e segna l’ulteriore escalation della violenza.

Un aspetto curioso della vicenda è che essa avviene nel distretto di Kandhamal, lo stesso che fu teatro nel 2008 del violento attacco contro i cristiani, fomentato dai fondamentalisti indù. Allora alcuni villaggi vennero incendiati, decine di cristiani uccisi, circa 20mila feriti, case e chiese bruciate. Ai cristiani veniva – e viene – addossata sostanzialmente la stessa colpa attribuita ai maoisti: interessarsi del popolo, dei tribali, dei fuori casta.

Eppure una grande differenza salta agli occhi, e su questa vale la pena soffermarsi. In Orissa - così come da tante altre parti - abbiamo detto che ci sono situazioni di palese ingiustizia, ma la risposta dei maoisti e quella dei cristiani sono decisamente diverse. Per rispondere all’ingiustizia i maoisti hanno imbracciato le armi, si sono messi in guerra contro il governo, e ora rapiscono gli stranieri per fare pressione attraverso il ricatto.

Molto diversa è la presenza della Chiesa che pensa invece a costruire scuole per dare anche una formazione; i missionari insegnano a usare l’agricoltura nel modo corretto, insegnano l’igiene e la sanità. Ma soprattutto, attraverso questa presenza operosa i missionari insegnano e conferiscono dignità a queste persone che nella rigida struttura sociale indiana sono destinate a non averne. Ed è anzitutto per questo che i cristiani sono odiati, da chi vuole invece mantenere l’attuale situazione di sfruttamento.

Ecco dunque: stessa ingiustizia, due risposte molto diverse. Da una parte la violenza, che genera nuove ingiustizie e nuove violenze. Dall’altra una presenza, una condivisione che rende gli uomini consapevoli della propria dignità, creando spazi di umanità nuova.

Non dovrebbero esserci dubbi su quale risposta sia più umana, più adeguata alla nostra umanità e alla realtà. Non è casuale: perché il cristianesimo non è una religione che consola l’anima o risponde soltanto alle nostre esigenze spirituali, ma è un fatto che abbraccia tutta la persona, è una risposta all’uomo, a tutto l’uomo, nei suoi bisogni anche materiali.
E questo, ovviamente, non vale solo per l’India. Anche qui da noi, davanti alla crisi economica, davanti al degrado morale cui assistiamo, c’è la possibilità di una risposta che non sia ribellione violenta, ma paziente opera di costruzione di un’umanità nuova, nella certezza che ci è donata da Dio.