Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giacomo della Marca a cura di Ermes Dovico
SANREMO

Quella famiglia che al Festival parla di Dio

Hanno fatto il loro ingresso sul palco dell'Ariston come calciatori annunciati dallo speaker allo stadio. Carlo Conti pensava di cavarsela con la solita passerella: una donna cannone, un fenomeno da baraccone non fa male all'audience. E poi sai che bel Festival: di qua la famiglia numerosa, di là il travestito Conchita.

Famiglia 12_02_2015
La famiglia Anania a Sanremo

Hanno fatto il loro ingresso sul palco dell'Ariston come calciatori annunciati dallo speaker allo stadio. Carlo Conti pensava di cavarsela con la solita passerella, che sarà mai: una donna cannone, un fenomeno da baraccone non fa male all'audience. E poi sai che bel Festival: di qua la famiglia numerosa, di là il travestito Conchita: son contenti tutti e il palco di Sanremo riunisce l'Italia. Troppo facile. 

Invece la famiglia Anania, da Catanzaro, 16 figli 16, la famiglia più numerosa d'Italia ha spiazzato l'altezzoso pubblico sanremese con una frase che proprio non doveva uscire in prima serata, sull'ammiraglia della Tv di Stato, tra un Tiziano Ferro pronto a occupare la scena e una bellona spagnola rossa come una banderilla. Il primo applauso è previsto da contratto. Ed è stato quando il papà Aurelio ha ricordato che il vero applauso va «fatto al Signore perché tutto questo è opera di Dio», ha detto lui sorridente e spaesato ricordando che una famiglia di 16 figli 16 non è né normale né straordinaria, ma è straordinariamente normale, come ha tagliato corto dopo mamma Rita. Ma poi papà Aurelio ha voluto “esagerare” e ha detto ciò che non doveva dire: «Siamo così grazie allo Spirito Santo» e giù risate e mormorii imbarazzati da parte del pubblico.

Poi, sempre Aurelio, che provenendo dal Cammino neocatecumenale ha mostrato di impiparsi bellamente dei riti stantii e flaccidi del Festival della canzone, ha insistito: «Quello che ci fa straordinari è la presenza di Cristo che abbiamo tutti nel Battesimo». Gelo in sala, un gelo così tetro che non calava sull'Ariston da quando vinsero i Jalisse. 

Ma Carlo Conti, di nome e di fatto, sa che bisogna fare alla famiglia Anania la domanda delle domande, quella più facile, quella che non si deve mai fare per paura di scoprire che le famiglie numerose sono umane, terribilmente umane. «Come fate a campare?». Forse il pubblico si aspettava che papà Aurelio dicesse che ci pensano i fondi neri del Sisde, diversamente non si spiega l'enorme e crassa risata degli invitati quando il capofamiglia ha rotto il tabù: «Semplice, c'è la Provvidenza. É tutto grazie a Dio».

In sala le signore con pelliccia guardano in basso, qualcuno abbozza un commento: i cumenda tossiscono per cavarsi di imbarazzo. Provvidenza? Chi era costei? sembrano chiedersi gli attoniti ospiti della rassegna canora. Al che Conti, che bravo è bravo e l'imbarazzo lo sa gestire meglio di Galliani dopo l'ennesima domanda su «perché Bonera?» rompe gli indugi e chiede qual è la canzone preferita di Sanremo. Il figliolo, uno dei tanti parla a nome della comitiva: «Gli occhi verdi dell'amore, perché nostra mamma ha gli occhi verdi». Tutto preparato certo, decisamente nazionalpopolare, ma almeno vero: canto, sguardo commosso e pubblicità, si volta pagina con altri casi umani.

I cinque minuti che hanno sconvolto Sanremo sono un bel pugno in faccia ai benpensanti. Uno shock, che il pubblico ha affrontato con i risolini in sala. I risolini infantili dei bambini quando per la prima volta scoprono che a portare i figli non è la cicogna. Numerosi vabbè, passi, ma cattolici e anche orgogliosi di esserlo poi no! Senza vergogna, ne parlano pure in pubblico mentre dovrebbero parlare di banalità tipo: «Vorremmo un mondo dove tutti si vogliono bene». Invece questi impertinenti degli Anania hanno rotto il protocollo secondo il quale si può parlare di tutto tranne che di esperienze umane dove la Provvidenza ad un certo punto fa capolino scombinando i piani che ci costruiamo per tenere il divino fuori dalla nostra quotidianità, relegandolo al minimo sindacale di buona creanza. Un protocollo codificato dai tempi in cui in Rai si è iniziato a lottizzare tutto tranne il laicismo, che invece ha invaso tutti, conduttori, sceneggiatori e giornalisti.

Tutto ciò, lo scandalo, il risolino, l'imbarazzo dello star system di fronte a quelle parole Gesù, Spirito Santo e Provvidenza, che secondo regole teologiche ormai autoimpostesi dal cattocomunismo di cui siamo imbevuti, devono rimanere nel privato, ricorda l'incipit di Ipotesi su Gesù di Vittorio Messori. Best sellers di fama, pietra miliare della moderna apologetica e un altro pugno in faccia, se vogliamo, al perbenismo clericale. «Di Gesù non si parla tra persone per bene». Infatti, le persone per bene che si sono accomodate all'Ariston erano pronte a sorbirsi i lagni banali di Siani, uno che in quanto a cabaret ingrigisce più di un ritratto in bianco e nero del presidente Mattarella. Ma a sentir parlare di cose da preti no, «mi dispiace, ma ho pagato il biglietto per distrarmi, se volevo andare a messa, dovevate dirlo». Invece a sparigliare le carte ci hanno pensato gli Anania, che accogliendo 16 figli 16 si sono lasciati sprogrammare la vita da Gesù. Lasciandosi alle spalle calcoli, egoismi, vittimismi e altre rotture tipiche della nostra modernità quando deve decidere da che parte stare. 

Eroi? No solo dignitosi e ricchi di una Grazia che hanno certo ricevuto in dono, ma che sicuramente hanno anche chiesto e accolto. Se Siani non fosse stato così attento al birignao sugli 80 euro e sulle tasse avrebbe chiuso forse in un modo diverso la sua performance e avrebbe invitato le signore “risolini” a guardare la realtà da un altra prospettiva, decisamente fuori schema: «Adesso che avete visto che questi qua sono umani come voi, cantano e si innamorano come voi, fanno la spesa e sognano come voi, provate un po' a sprogrammarvi la vita facendovi dettare l'agenda da un Altro. Chissà che non vi capiti di cambiare finalmente canale».